martedì 27 maggio 2014

Filmbuster(d)s - Stagione 2 - Episodio 20

Nuova settimana, nuova puntata.
Nel frattempo il festival di Cannes si è concluso, quindi news, domande da casa, un commento sul palmarés e poi tutto su Cronenberg e il suo Maps to the Stars.

[00:00:29] L'angolo del tripudio
[00:10:35] La posta del cuore
[00:31:00] Cannes 
[00:43:10] David Cronenberg
[01:07:00] Maps to the Stars


Buon ascolto!

Potete ascoltare l'episodio al link diretto al file MP3 (per scaricarlo basta cliccare col destro e poi "Salva link con nome"): Clicca qui!

Potete abbonarvi su iTunes: Clicca qui!

Oppure potete ascoltare il podcast con Podtrac player:

lunedì 26 maggio 2014

Maps to the Stars di David Cronenberg

Nelle sale dal 21 maggio
Julianne Moore Prix d’interprétation féminine a Cannes 2014


Maps to the Stars continua quel monologo lungo e alienato su cui piombavano i titoli di coda di Cosmopolis. O ancora meglio, Cosmopolis e Maps to the Stars sono l'ideale continuazione di A Dangerous Method, il molto dopo, quell'oracolo terribile e sibillino pronunciato da Jung mentre scruta le nubi all'orizzonte. Non (solo) la guerra e l'olocausto quindi, ma quegli orrori ancora di là da venire: la tragica perdita d'orientamento che la mano ferma di Cronenberg ha tratteggiato e continua a tratteggiare così bene.
Se Cosmopolis era a suo modo una mappa delle stelle, gli astri nascenti dell'economia che decidono le sorti del mondo dentro bozzoli di sughero e acciaio, Maps to the Stars ci parla delle stelle per antonomasia, i divi e le dive di Hollywood, dopo Wall Street, un altro microcosmo fuori dal mondo e a cui il mondo tuttavia continua a guardare. E Cronenberg ce lo racconta proprio così, attraverso una struttura corale di prototipi e stereotipi che gravitano intorno a Mulholland Drive: abbiamo Havana Segrand (Jullianne Moore, premiata a Cannes), attrice non più giovane che lotta per rimanere a galla e uscire dall'ombra di sua madre. Il suo terapista Stafford Weiss (John Cusack), psicologo/massaggiatore delle celebrità diventato a sua volta celebrità. La di lui moglie, figura insignificante che vive solo per assicurare il successo al figlio Benjie, divo tredicenne con problemi di droga. Jerome Fontana (Robert Pattinson), tipico autista di limousine (echi cosmopolisiani) aspirante attore aspirante sceneggiatore. E in fine, al centro e al di fuori di tutto, Agatha (Mia Wasikowska), la ragazza baciata dalle fiamme salita (o scesa ?) tra le stelle per scatenare un caos purificatore.
Bravissima e bellissima, anche sfigurata
Uno spietato affresco di Hollywood in cui paradossalmente il cinema è il grande assente, sempre distante, fuori campo, relegato a poche brevissime scene in cui viene semplicemente consumato, sulla televisione di una roulotte, oppure sugli schermi domestici, ma sempre a bocconi, piccole scene decontestualizzate e svuotate di ogni significato. Un bene di consumo appunto, che permette ad un'attricetta di mantenere il suo assurdo stile di vita, o di liberarsi di un'ingombrante figura materna. O ancora, squallide commedie per adolescenti che incassano centinaia di milioni e alimentano gli stravizi di attori bambini. Persino il sognatore Jerome, altro prototipo/stereotipo classico dell'ecosistema Hollywood, finisce per perdersi e scendere a compromessi, moderno Joe Gillis pronto a concedersi ad una versione laida e volgare di Norma Desmond pur di salire qualche gradino.
Se The Canyons raccontava la metamofosi del cinema nell'era del digitale, Maps to the Star racconta invece la paralisi del mondo che ruota intorno a quel cinema, lo showbusiness e i divi nell'era di The Canyons. Hollywood diviene una terra dei morti viventi, figure irrimediabilmente corrotte che complottano, tradiscono, si degradano e nascondono orribili segreti, con dinamiche e sviluppi degni delle peggiori soap-opera, come se fossero incapaci di sfuggire al loro ruolo, condannati a ripeterlo all'infinto. I corpi cronenberghiani si fanno sfacciatamente finti, fantasmi effimeri e patinati che potrebbero esistere soltanto sullo schermo e sarebbero disposti a tutto pur di rimanere nell'inquadratura. Nelle loro case, nelle loro vasche da bagno e nei loro letti, si agitano altri tipi di fantasmi, incorporei, o forse emanazioni di psicologie frammentate (eppure sanno cose che i personaggi non sanno), depositari di un'umanità perduta che tentano inutilmente di riportarli alla ragione, oppure osservatori come noi, che scendiamo dall'alto, cogliamo le loro vite per qualche istante e poi finalmente usciamo "a riveder le stelle".
Totentanz
Personaggi (nel vero senso del termine) senza speranza, condannati e pronti a condannare la propria prole, perché in ogni dramma famigliare che si rispetti le colpe dei padri devono necessariamente ricadere sui figli, e qui, proprio come in un girone infernale, il contrappasso consiste in una condanna a ripetere. Eppure la stiuazione è più complessa, basti pensare ad Havana Segrand, uno dei personaggi su cui il nostro sguardo si posa più a lungo, con cui dovremmo in qualche modo identificarci, una vittima, come si definisce lei, della madre, di un business spietato, dell'età... eppure quasi subito la sua maschera cade rivelando un altro tipo di fragilità, patetica e disgustosa, capace di nefandezze sempre più grandi e sempre più impensabili. Perché Maps to the Stars non è altro che una versione capovolta e incancrenita di Viale del Tramonto, l'affresco di un mondo rimasto fermo, condannato a ripetersi all'infinito, a perdersi ogni volta, una mappa delle stelle senza cordinate e senza via d'uscita. O forse la via d'uscita è proprio Agatha, unico vero personaggio cronenberghiano, carne lacerata e quindi viva, imperfetta, non patinata. Nella sua lucida follia, cerca di ritrovare l'amore e l'umanità che i genitori, messi di fronte alla loro mostruosità, hanno lasciato morire, una mostruosità che invece lei abbraccia in un brutale atto d'amore, plateale e ostentato come ogni gesto nel film, ma pur sempre un atto d'amore, come il poema di Paul Éluard recitato a più riprese dai personaggi, a cui Cronenberg e Wagner restituiscono un senso perduto: "quando poi, retrospettivamente, sono andato a studiarmi nel dettaglio tutta la sua genesi, ho visto che le intenzioni iniziali non erano quelle che sono state attribuite storicamente, ma c’era dietro la dedica d’amore nei confronti di una donna. In pratica è come se Bruce avesse riscoperto in modo istintivo il significato originario e nascosto nella poesia”.
E in fondo è un atto d'amore anche quello di Cronenberg e Wagner, perché per raccontare Holywood con uno sguardo così disilluso, devi amarla almeno un po', o forse semplicemente crederci, come ha osservato enrico ghezzi durante la conferenza stampa: "Personalmente non ho mai visto un film come questo, è una brillante e tragica dimostrazione del fatto che per realizzare un film devi credere in Hollywood o comunque credere in tutto oppure in niente."

lunedì 19 maggio 2014

Filmbuster(d)s - Stagione 2 - Episodio 19

Si, siamo tornati, e con una puntatazza di due ore carica di rabbia e frustrazione:
-Tante news ma nessuna posta del cuore, perché siete delle persone spregevoli
-Cannes: com'è andato fino ad oggi ? Quali film tenere d'occhio ?
-Film rimasti indietro: un veloce riassunto di cosa è passato in sala durante la festa del cinema.
-The Sacrament: Ti West sarà uscito indenne dal suo horror in POV ?
-Godzilla di Gareth Edwards: una delusione di proporzioni gozzilliane.

Buon ascolto!

[00:00:45] L'angolo del tripudio
[00:18:58] Cannes 
[00:39:40] Film rimasti indietro 
[00:50:00] The Sacrament
[01:12:00] Tutto su Godzilla


Potete ascoltare l'episodio al link diretto al file MP3 (per scaricarlo basta cliccare col destro e poi "Salva link con nome"): Clicca qui!

Potete abbonarvi su iTunes: Clicca qui!

Oppure potete ascoltare il podcast con Podtrac player:

domenica 18 maggio 2014

The Sacrament di Ti West

Nelle sale da MAI!

Da grande ammiratore di Ti West, si può dire che lo stessi aspettando al varco, dopotutto non girava un lungometraggio dal lontano 2011, e i suoi contributi ad horror collettivi come V/H/S e ABCs of Death hanno destato più di qualche perplessità. Insomma da un regista che ti abitua a film come The House of the Devil e The Innkeepers (ma anche prima con The Roost, che è un gran bell'esordio) ci si aspetta sempre lo stesso straordinario livello. Per cui, quando The Sacrament è stato finalmente annunciato, all'entusiasmo sono seguiti i dubbi: anche Ti West si era fatto sedurre dalla moda del found footage ? Persino lui, paladino dell'horror indipendente, aveva ceduto alle lusinghe del sottogenere più commerciale, per di più nella sua fase calante ? Gli ingredienti per il disastro c'erano tutti, a partire dall'assenza di Larry Fessenden tra i produttori, al suo posto il nome più ingombrante e minaccioso di Eli Roth, simpatico quanto volete ma parecchio distante dal tipo di horror "praticato" da West. E poi, altro terribile presagio, il film prendeva spunto da una storia vera...
Sam (AJ Bowen, già visto in The House of the Devil), Patrick e Jake (il regista Joe Swanberg) lavorano per il programma terlevisivo VICE come "immersionisti", cronisti coinvolti in prima persona negli eventi che scelgono di raccontare.

venerdì 16 maggio 2014

Godzilla di Gareth Edwards

Non si vede Godzilla nella locandina e
rispecchia alla perfezione il film
In sala dal 15 maggio.
"Let them fight".

Le premesse erano tra le migliori. Un pessimo, orripilante, disgustoso precedente capitolo, datato 1998 e diretto da Hal Emmerich. Così brutto e fuori luogo che era impossibile fare peggio, e questo già dava ampie speranze, ampie aspettative, ma anche ampie pacche sulla spalle. "Dai che stavolta j'a famo". Un regista giovane, esperto conoscitore della materia e con alle spalle un buon (non eccezionale) monster movie, come Gareth Edwards. Ed infine, forse la cosa più importante, l'apporto produttivo della Toho, la vera mamma di Godzilla, insomma, ai giapponesi spettava una parola importante all'interno del progetto.
Tutto molto bello, se poi pensiamo al livello raggiunto oggi dalla CGI e dal buon successo ottenuto con Pacific Rim. E invece niente. Per dirla molto in breve, il nuovo Godzilla è come andare allo stadio e sedersi dietro una colonna, come ascoltare una canzone alla radio dove prende poco il segnale, andare a una festa per rivedere un vecchio amico ma trovarlo troppo impegnato in altre conversazioni, come andare a fare un tour turistico di notte e sotto la pioggia. Un vedo non vedo fastidioso, o in questo caso un vero e proprio Mostro non Mostro.

martedì 13 maggio 2014

Alabama Monroe - Una storia d'amore di Felix van Groeningen

In sala dall'8 maggio.

Non vorrei neanche tornarci, ne parlarne, anzi non dovrei proprio. Perchè il cinema non vive di o viene consacrato dai premi, ne tanto meno dagli Oscar. Però dopo aver visto un altro concorrente de La Grande Bellezza mi prudono le mani, mi da ancora più fastidio che quel film di Sorrentino abbia potuto vincere e vincere così tanto. Mi piacerebbe sfogarmi, fare un paragone impietoso, continuare a discutere su quel premio, ma lascio perdere. Non ha importanza, le ragioni di quella vittoria sono abbastanza evidenti e banali, che non vale neanche la pena di perderci altro tempo.
Ecco finalmente che è arrivato nei nostri cinema Alabama Monroe, (The Broken Circle Breakdown) film belga di Felix van Groeningen, che racconta, come suggerisce il solito sottotitolo italiano non necessario, una storia d'amore, quella tra Didier e Elise, due anime molto diverse tra loro ma complementari, conosciutesi nella campagna belga. Lui cantante di bluegrass, con la barbona, un orso che vive in una roulotte perchè pigro, invece di restaurare la bella casa che sta a 100 metri sotto il suo naso.

lunedì 12 maggio 2014

La Stirpe del Male di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Nelle sale dall'8 maggio

Ve li ricordate i Radio Silence ? No ? Tranquilli, sicuramente non giete gli unici, perché il gruppo di registi in questione non ha diretto altro che cortometraggi, e, più di recente, l'episodio conclusivo dell'horror antologico V/H/S, quello in cui quattro ragazzi, interpretati dai registi stessi, finivano per caso in una vecchia casa dove era in corso uno strano rito demoniaco.
Due di quei ragazzi, Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, hanno approfittato del successo dell'operazione per passare finalmente ai lungometraggi (al contrario di registi più "navigati" come Ti West, che hanno compiuto il percorso inverso). Il loro esordio s'intitola La Stirpe del Male (in patria Devil's Due) e sembra proprio prendere spunto dall'episodio horror di cui parlavo poco fa.
Zach e Samantha stanno per convolare a nozze. Lui, influenzato dal padre, decide di immortalare la propria vita coniugale fin dai primissimi passi, compresa ovviamente la luna di miele a Santo Domingo. Qui i due sposini si lasciano trascinare in un locale esotico, dove però Samantha viene drogata e sottoposta ad uno strano rito religioso (non è chiaro perché la telecamera resti accesa). Al ritorno a casa lei scopre di aspettare un bambino, ma la gravidanza avrà degli sviluppi drammatici.