domenica 29 luglio 2012

Il bianco e il nero #7: Rita Hayworth, la contessa scalza.




"Aspetta aspetta, questa è la parte che mi piace. Qui è quando fa quella cosa coi capelli" Red (Morgan Freeman) in Le ali della libertà mentre proiettano Gilda.

Per anni Rita Hayworth è stata considerata l'emblema della femminilità e della sensualità e per molti lo è ancora. Nei suoi film interpretava spesso ruoli di donne provocanti, eccitanti, con quel corpo agile impegnato in danze pirotecniche. Era il sogno di ogni uomo, era la foto che ogni soldato si portava al fronte (oltre a quella della fidanzata), era la top tra le pin up, la più dotata delle ballerine, la rossa per eccellenza.
Ma Rita non era quella che vedevano su schermo. "Tutti gli uomini vogliono andare a letto con Gilda, ma si svegliano il giorno dopo con me" ironizzava, eppure era la verità. Gilda era una bambola sfrontata e fatale, mentre lei era chiusa, timida, lontana dal glamour e dalla stampa e soprattutto molto insicura. Sembra difficile crederlo ma una volta spente le telecamere si trasformava letteralmente in una sconosciuta.

Margarita Carmen Cansino nasce a Brooklyn (anche lei, giuro non lo faccio apposta) il 17 ottobre 1918, prima di quattro figli di due ballerini, Volga Hayworth, ex Ziegfield Follies, e Eduardo Cansino, di origine spagnola. Mamma la vuole attrice, papà ballerina. All'inizio vince lui e appena riesce a stare in piedi da sola, le insegna i rudimenti della danza. Non ne va pazza ma è talmente legata al babbo che farebbe di tutto per lui. A cinque anni è già a livello professionista e mentre i fratelli vanno a scuola, lei studia danza e lavora con i genitori. Fin da piccola appare come una persona solitaria e timida, con la madre come migliore amica e un padre possessivo che non le concede molte libertà o tempi morti.
Intanto la famiglia si trasferisce a Hollywood nel 1927, pensando di poter avere qualche chance di riuscire a essere scelti come corpo di ballo per qualche film. Il padre apre il suo studio di danza dove insegna a gente del calibro di James Cagney e Jean Harlow, ma la crisi del 29 incombe e perderà tutti i suoi investimenti. Per raggranellare qualche dollaro parte per delle tournèe al confine col Messico e a Tijuana, località turistica molto rinomata per gli americani. La scelta è dovuta a Rita, ora partner del padre nei Dancing Cansino's, che essendo solo 13enne non può esibirsi in locali notturni legalmente.
La grande opportunità per i Cansino spunta a cavallo tra il 1934 e il 35, quando vengono scelti per delle piccole parti nei film Il segno di Robin Hood, In Caliente e La nave di Satana. Il produttore della Fox Winfield Sheenah, nota la giovane ballerina mora, con tratti latini e chiede se può fare dei test, da sola. All'inizio il padre è riluttante, e lei pure, perchè impaurita di dover lavorare da sola, ma infine accetta e i test vanno una meraviglia. La Fox la mette sotto contratto standard per sei mesi quindi, sotto il nome di Rita Cansino.

Purtroppo però gli eventi prendono una piega negativa e nonostante riesca a fare cinque film in quel breve periodo, sono tutti ruoli minori e dopo che la Fox diventa 20th Century Fox e subentra Darryl Zanuck a Sheenah, il contratto non le viene rinnovato e viene scaricata. Credendo in lei e nel suo potenziale sullo schermo, il pubblicitario Edward Judson, la prende sotto la sua ala e la fa comparire spesso in pubblico, in serate mondane e in club per farla notare e farla fotografare. Rita se ne innamora, forse, e lo sposa non appena compie la maggiore età nel 1936. Judson invece la vede come un investimento e la tratta come tale. Questa unione causerà una piccola rottura con sua madre, a cui non piace quell'uomo.
Judson però lavora bene e riesce a concordare un provino con la Columbia dove il boss, Harry Cohn, ne rimane ammaliato e le fa firmare un contratto. Come alla Fox però, nessuno sa dove piazzarla, così o è una semplice ballerina di varia etnia (russa in Paddy O'day, argentina in Under the Pampas Moon e egiziana in Charlie Chan in Egypt) o viene prestata a altri studios (addirittura la 20th Century Fox tornerà a chiedere i suoi servigi) facendo così la fortuna della Paramount che ci guadagna parecchio.
Sotto consiglio di Cohn, passa dalla tipica ragazza ispanica alla pin up americana. Cambia cognome in Hayworth, quello della madre, cambia colore dei capelli, da mora diventa rossa e con l'elettrolisi riesce a alzare l'attaccatura dei capelli, troppo bassa. Si libera del primo marito, quel Judson che la controllava troppo e che dava fastidio a Cohn che lo paga 30 mila dollari per levarsi di torno per sempre e non infangare l'immagine di lei.
Dopo varie pelllicole di serie B per la Columbia, arriva il suo momento in una grande produzione sotto la direzione di Howard Hawks, nel film del 1939, Avventurieri dell'aria, in coppia con Cary Grant e Jean Arthur. Il film è un discreto successo di botteghino e per la prima volta non viene usata semplicemente come ballerina esotica. Le lettere dei fans non si contano, le lodi pure, così Cohn decide di promuoverla a prima stella della Columbia, che fino a quel punto non ne aveva mai avute sotto contratto, ad eccezione di Jean Arthur, in aria però di rescindere il contratto.


Gli anni 40 segnano la sua salita al top di Hollywood grazie a scelte azzeccate, un matrimonio famoso e all'impegno profuso per aiutare i soldati americani impegnati al fronte.
Il primo grande successo è Sangue e arena in coppia con Tyron Power a cui seguono i "danzanti" L'inarrivabile felicità e Non sei mai stata così bella entrambi con Fred Astaire e soprattutto Fascino in coppia con Gene Kelly. La troviamo nel suo ambiente naturale, affiancata ai migliori ballerini della sua generazione. La fama raggiunge le stelle ma è solo l'inizio.
Finisce sulla cover di Life magazine per ben cinque volte e uno scatto per la rivista in cui è sul letto in un risicato neglige (foto a destra) avrà un successo clamoroso. Siamo in piena seconda guerra mondiale e ogni soldato ne ha una copia con se, e sospira, sperando di tornare a casa sano e salvo.
Sul set di Follie a New York si innamora di Victor Mature ma durerà ben poco perchè uno spasimante di grande calibro si erge all'orizzonte e riuscirà a cambiarla radicalmente.
Questi non è altri che Orson Welles, uno dei più grandi maestri del cinema. Dopo averla vista in un film si dichiara rapito e dice "Quella donna sarà mia moglie". Le scrive una lunga lettera d'amore (dove dice "Credo che molti di noi siano soli a questo mondo, ma per scoprirlo, dobbiamo innamorarci in maniera folle") e la conquista facilmente. Nel 1943 si sposano. Orson ha in comune una cosa con Judson e papà Cansino, sarà tremendamente possessivo, sfruttatore e severo con lei.

Sappiamo che sa ballare, ma sa recitare? Nel dopo guerra, grazie anche al nuovo marito, si metterà seriamente alla prova in ruoli tutt'altro che simili a quelli precedenti. Nel '46 gira il suo film icona, Gilda. Rita balla, canta ma soprattutto si destreggia alla grande in ruolo di femme fatale in un noir che deve gran parte del suo successo a lei. La canzone Put the blame on Mame è canticchiata ancora oggi in tutto il mondo.
Nello stesso anno viene diretta dal marito in La signora di Shangai. Harry Cohn che mal sopporta Welles, viene convinto da Rita a produrre il film e a aiutare quindi Orson, caduto in lista nera dopo Quarto potere. Come se non bastasse, Welles distrugge la Rita plasmata con tanta fatica da Cohn e la ricostruisce da zero. Da rossa dai lunghi capelli, tanto buona e positiva nei suoi ruoli, diventa bionda dal taglio corto, cattiva, fredda e manipolatrice. I fans scrivono inferociti, Cohn blocca l'uscita della pellicola per ben due anni e toglie la regia a Welles, ma non può licenziarlo, in quanto lo ha assunto come attore-regista-produttore. Questo spiega il fallimento al botteghino di un grande film che verrà rivalutato col tempo. Cohn è terrorizzato che possa distruggere la carriera a Rita e così impone in seguito la scena dove canta Please don't kiss me. La scena finale del film invece, somiglia ironicamente alla fine della loro unione.
Nonostante la figlia avuta, Rebecca, la relazione sta naufragando e lui la tradisce spesso con altre donne. Dopo soli cinque anni, Rita divorzia per la seconda volta (dichiara "Non sopporto più il suo genio"). Insieme alla morte della madre a cui era molto legata, rappresenta due colpi molto forti che la fanno chiudere ancora di più nel suo guscio.

Ora che la critica ha constatato che è un'attrice a tutto tondo, la vede tornare a vecchi ruoli in film come Gli amori di Carmen, forse nel tentativo di riaccaparrarsi il pubblico. Ma questi è anche l'ultimo prima di una pausa di quattro anni.
Durante una vacanza in Europa incontra il principe Aly Khan a un ballo. I due danzano tutta la sera e scatta la scintilla. Una volta ottenuto anche lui il divorzio, Rita è pronta a risposarsi, a soli cinque mesi dal suo precedente divorzio e soprattuto a mollare la carriera per questa nuova vita. Diventa così la prima principessa di Hollywood e gira il mondo a fianco del consorte. Si mescola tra la gente dal sangue blu, vive in Francia e presenzia agli eventi più in del pianeta.
Non è la sua vita e Aly Khan, modaiolo, playboy, è molto diverso da lei. Regge per un pò, da alla luce un altra figlia, spera che finalmente possa crearsi quella famiglia perfetta da sempre sognata, ma poi non regge più e nonostante i due rimangano grandi amici fino alla morte di lui, sette anni dopo, divorzia ancora una volta. La storia ispirerà il film di Mankiewicz, La contessa scalza, con Ava Gardner.
Torna così a casa, in America, per fare la mamma a tempo pieno, non più interessata alla carriera nel cinema. Siccome però le bollette non si pagano da sole, cede e torna alla Columbia dove Cohn è ancora inviperito per essere stato mollato così bruscamente quattro anni prima. Forse è per questa ragione che i successivi ruoli sono minori e poco rilevanti. Lei si sente profondamente a disagio in questo ritorno, solo quando può ballare sembra tornare la ragazza spensierata di una volta.
Un altro dispiacere è dietro l'angolo e così un altro matrimonio e un ulteriore pausa di quattro anni. Nel 1953 sposa Dick Haymes, uno spiantato cantante da night club con due divorzi alle spalle e migliaia di dollari di alimenti non pagati e addirittura un mandato d'arresto se mette piede in California. Rita pagherà tutti i suoi debiti, anche quelli col fisco e lo sposerà per donargli la cittadinanza americana, perchè, si, aveva anche problemi con l'immigrazione, essendo nato in Argentina. Insomma un uomo, un problema.
Lo segue spesso nelle sue tourneè e in occasione di una di queste lascia a casa le due figlie incustodite tanto che viene accusata di negligenza. E' letteralmente devastata dall'accusa e senza un soldo (non ha un salario da due anni) per le spese legali. Per fortuna in tribunale Welles e Khan testimoniano in suo favore ma lei rimarrà segnata a vita dalla vicenda. Divorzia per la quarta volta dopo che Haymes le sferra un destro in pieno volto in pubblico al Coconut club di Los Angeles.

Al verde e avanti con gli anni, non più l'icona sexy di un tempo, decide di dedicare la sua carriera a ruoli più seri e drammatici e la scelta si rivela più che azzeccata. Con successi come Pal Joey a fianco di Frank Sinatra e Tavole separate (in un ruolo simile alla sua vita in quel momento) con Burt Lancaster, la sua carriera riceve un nuovo slancio e con esso un nuovo marito, James Hill, produttore, il quale si rivelerà un violento. Anche questa volta dura poco, tre anni appena di continue baruffe.
All'alba degli anni sessanta, Rita tenta la svolta teatrale con un provino per Broadway ma incomincia a manifestarsi una malattia sconosciuta che unita alla forte assunzione di alcolici la porterà prima a perdere la memoria a breve termine e poi quella a lungo. Non riesce a così a ottenere nessuna parte a Broadway, in quanto non ricorda le battute e sembra confusa sul palcoscenico.
La memoria peggiora sempre più (addirittura, racconta un amica, una sera invitò lei ed altri amici di lunga data a una cena, una volta presentati alla porta, Rita li accolse con un coltello da cucina, chiedendo chi fossero e che se volevano autografi li avrebbe colpiti. Il giorno dopo chiamò l'amica chiedendo perchè non fossero venuti) ed è costretta a lasciare la recitazione, non prima di fare un ultimo tentativo con la TV dove le preparaono dei cartonici o dei copioni nascosti appositamente in modo da aiutarla. Il continuo cambio di umore, l'ubriachezza molesta e la morte nel giro di una settimana dei suoi due fratelli fanno il resto.
Negli ultimi anni di vita, ormai ritirata, gira il mondo ed è proprio in occasione di un volo di ritorno dall'Inghilterra, nel 1977, che da in escandescenze sull'aereo All'arrivo a New York viene immortalata da mille scatti in uno stato pietoso. Ora la sua malattia, poi diagnosticata in alzheimer, è nota a tutti.
Nonostante ciò non chiederà mai aiuto a nessuno e passerà gli ultimi mesi della sua vita a letto, immobile, incapace di parlare, spesso con gli occhi chiusi e con i ricordi di una vita ormai sfumati. Il simbolo del movimento, della danza e della sinuosità, è ormai un involucro raggrinzito. Si spegne nel 1987 a New York all'età di 68 anni.

Donna fragile e allo stesso tempo molto forte, capace di vincere le battaglie per i propri figli ma incapace di trovare l'uomo giusto e quindi quella stabilità e quella famiglia che le serviva. Da semplice ballerina latina, divenne icona e attrice drammatica stimata. Della sua vita disse "Non ho avuto tutto dalla vita, ho avuto troppo [...] Tutto quello che desideravo era quello che desiderano tutti, di essere amata". E si può dire, che anche se indirettamente, milioni di persone l'hanno amata e l'amano tutt'ora.

Dopo la rossa, la bruna e la bionda dei noir, ora tocca alla donna dagli occhi viola: Elizabeth Taylor.

sabato 28 luglio 2012

Bed Time di Jaume Balaguerò


Tanto per cambiare mi ritrovo a recensire un film dell'anno scorso che arriva nei cinema italiani solo adesso, ma forse non dovrei nemmeno lamentarmi perché fino a poco fa ero praticamente certo che sarebbe stato rilasciato direttamente per il mercato home video, non perché sia scadente o eccessivo, ma semplicemente perché appartiene a quella categoria di thriller che al cinema non vendono bene, soprattutto in estate, quando gli spettatori più giovani pasteggiano a horror adrenalinici (?) e truculenti.
Jaume Balaguerò abbandona i frenetici horror in POV della saga Rec, o forse è meglio dire che si prende una pausa, e confeziona questo thriller assolutamente atipico, in cui riecheggiano un po' del Roman Polanski di L'inquilino del terzo piano (o almeno così dice il regista), un po' di Pedro Almodovar e qualcosa di Alex de la Iglesia, insomma uno di quei film spagnoli che a me piacciono tanto, in cui ironia e cinismo si sposano alla perfezione.
César (Luis Tosar, il Malamadre di Cella 211) è il portinaio di un classico condominio spagnolo, è quasi impeccabile sul lavoro e gentilissimo con tutti i condòmini, persino quelli più insopportabili, bambine pestifere, anziane signore logorroiche con cagnolini odiosi e soprattutto il terribile proprietario del palazzo, che lo tartassa per ogni disattenzione; ambientazione e personaggi che richiamano alla memoria quelli di Rec, e i riferimenti non finiscono qui perché Mientras Duermes, titolo originale del film, era anche il nome del programma in cui lavorava la giornalista Angela Vidàl.
Gentile e sorridente dicevo, soprattutto con la bella Clara (Marta Etura, che nella vita è la compagna di Tosar) una ragazza solare che non affronta mai una giornata senza un grosso sorriso stampato sul viso. Ma, come si intuisce facilmente, César non è quello che sembra, odia il suo lavoro, odia le persone che incontra ogni giorno e soprattutto odia il sorriso di Clara. E' un uomo malato, come spiega lui stesso nel monologo che accompagna tutto il film, incapace di provare felicità, l'unico modo che ha di provare sollievo da quella terribile apatia è rendere infelici gli altri. Ed evidentemente non c'è nulla di più gustoso che strappare il sorriso dalla faccia di un'inguaribile ottimista come Clara. Di notte quindi si introduce nel suo appartamento, si nasconde sotto il letto in attesa che si addormenti e la mette al tappeto con dell'etere per agire indisturbato e mettere in atto una serie di scherzi che col tempo diventano sempre più macabri e morbosi. Ma un giorno viene scoperto e il suo piano spaventosamente accurato viene messo in pericolo...
 Sono molti i thriller in cui il vero protagonista è un antieroe, ma sono assai pochi quelli che riescono nell'impresa di creare almeno una lieve empatia tra spettatore e personaggio. Bed Time ci riesce per diverse ragioni, prima di tutto perché il personaggio in questione non è un criminale recidivo o un feroce assassino con un viso da bel tenebroso, ma una persona “normale” con un volto normale. E la seconda ragione è proprio questa, César ha un aspetto ordinario, è quasi calvo ha una fronte da cavernicolo e due sopracciglia foltissime, e come se non bastasse fa un lavoro estremamente comune, spesso umiliante. Insomma è difficile non tifare per lui, e il film gioca in modo intelligentissimo proprio con questo aspetto, all'inizio ci presenta un individuo malato i cui gesti sembrano quasi del tutto innocui e poi lo rende sempre più perfido e audace, portando la sua ossessione ad un punto di non ritorno, ma ormai è troppo tardi, César si è già guadagnato la simpatia dello spettatore, che in un certo senso è diventato un complice un po' voyeurista delle sue incursioni notturne, e quando il punto di vista dell'intruso e quello dell'osservatore passivo finiscono per coincidere si può tranquillamente parlare di immedesimazione. Un'immedesimazione che risulta così facile perché al personaggio non viene fornito nessun background, nessun trauma infantile che giustifichi le sue azioni, nessuno spiraglio sul suo passato, nemmeno la madre, che per ironia della sorte è anche lei immobilizzata in un letto con una maschera per l'ossigeno che le impedisce di parlare. César è un vuoto, eppure quando vediamo il suo sorriso irresistibile dopo l'ennesima efferatezza non possiamo fare a meno di sorridere con lui, magari sentendoci un po' in colpa.

venerdì 27 luglio 2012

Filmbuster(d)s - Episodio#7




Il Monco aveva gioito in seguito alla news che la Warner, dopo Man of Steel, non avrebbe prodotto film di supereroi per 3 anni, ma il Comic-Con di San Diego è intervenuto a piedi uniti sulle tibie del nostro caro menomato, portando con se una caterva di news sui prossimi comic movie di casa Marvel.
E per punizione, alexdiro e Intrinseco hanno discusso per decine di minuti di fumetti (che potrete saltare perché per la prima volta abbiamo dato ascolto a voi ascoltatori e abbiamo inserito una scaletta con il minutaggio).
Nel settimo episodio di Filmbuster(d)s:

TRAILERS
[00:01:45]Man of Steel
[00:10:45]REC 3 - Genesis
[00:16:50]Il Grande e potente Oz
[00:25:55]Epic
[00:29:25]Senza Freni
[00:36:05]Ralph Spaccatutto

NEWS
[00:43:26]Silent Hill Revelation 3D
[00:52:51]Godzilla reboot
[01:06:40]Marvel Studios - Fase 2

FILM IN SALA
[01:24:17]La Leggenda del cacciatore di Vampiri

[01:36:45]CONSIGLI



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giovedì 26 luglio 2012

L'immondo profondo #7: Dan O'Bannon Parte 1


Magari molti di voi lo conosceranno già molto bene, ad altri il suo nome farà suonare qualche campanello, altri ancora probabilmente non ne hanno mai sentito parlare, fatto sta che Dan O'Bannon tra le tante cose è stato anche lo sceneggiatore di Alien, motivo per cui si merita un posticino di riguardo nella storia del cinema e un piccolo spazio in questa rubrica. Più che parlarvi degli anni di Alien però preferisco fare una piccola panoramica sulla sua vita, perché la prima parte della sua carriera da un certo punto di vista è ancora più interessante.
Dan O'Bannon nasce a St. Louis nel Missouri il 30 settembre 1946, da bambino passa il tempo a divorare racconti fantascientifici e fumetti horror, e probabilmente sono proprio quelle storie ad influenzare lui come tanti altri registi della sua generazione. Queste letture sono un forte impulso per la sua creatività e Dan sviluppa molto presto un interesse per la scrittura e per il modellismo, passioni che a loro volta lo spingono ad intraprendere una carriera nel mondo dell'arte. Prima studia disegno e pittura alla Washington University e poi viene ammesso alla University of Southern California, e qui avviene il fatidico incontro con il destino; Dan stringe subito amicizia con un compagno di corso appassionato di cinema che un giorno gli propone di recitare in un progetto cinematografico da presentare come esame finale. Dan accetta, ma pretende di partecipare anche alla stesura della sceneggiatura e alla realizzazione degli effetti speciali. Il compagno accetta e i due studenti si mettono subito al lavoro su una sceneggiatura fantascientifica, la storia che avevano in mente però si trasforma molto presto in qualcosa di completamente diverso, una sorta di parodia della fantascienza cinematografica classica. Il progetto si intitola Dark Star e il giovanotto in questione si chiama John Carpenter.
I due studenti squattrinati faticano sempre di più a mettere insieme i soldi necessari per il set e le altre spese, così quello che doveva essere un progetto a breve termine si trascina per più di quattro anni. Quando il mediometraggio è finalmente completato Dan festeggia tagliandosi i lunghi capelli, ma per ironia della sorte poco dopo si fa avanti un investitore che si offre di finanziare il progetto affinché diventi un lungometraggio. I due studenti si rimettono a lavoro e Dan finisce di girare le sue scene con una bella parrucca.
Nel 1974 Dark Star arriva addirittura nelle sale cinematografiche ma il risultato è molto deludente, forse perché viene pubblicizzato come una normale pellicola fantascientifica mentre in realtà è un prodotto particolarissimo che riesce ad omaggiare contemporaneamente due capolavori di Stanley Kubrick piuttosto diversi, 2001 Odissea nello spazio e Il Dottor Stranamore. E qui apro una doverosa parentesi per consigliarvi il film in questione, divertente e particolarissimo, non dovrebbe nemmeno essere troppo difficile da trovare.
A questo punto si verifica un'altra svolta importantissima, dopo quattro anni di convivenza e collaborazione i due amici si separano. Anzi, secondo la versione di O'Bannon è Carpenter a tagliare definitivamente i ponti per prendersi tutto il merito del progetto, e lo fa con una telefonata.
Ora, permettetemi di sollevare le giuste perplessità: non dico che Carpenter sia un santo e non nego che possa aver fatto il furbacchione, però queste sono pur sempre le accuse di un ragazzo che ha visto un amico arrivare ad Hollywood molto prima di lui, e leggendo le interviste di O'Bannon è difficile non captare un po' di condivisibilissima invidia. E poi diciamo le cose come stanno, O'Bannon avrà anche scritto la sceneggiatura di Alien, ma Carpenter è Carpenter, e a me basta uno solo dei suoi film a giustificare un gesto da infame come questo, ammesso che sia mai accaduto.

Ecco questa doveva essere un'introduzione ma mi sono dilungato abbastanza, quindi mi lascia la parte più succulenta per la prossima volta. Si parlerà sempre di Dan O'Bannon ma anche di Il ritorno dei morti viventi, Alien, Hans Ruedi Giger e Mario Bava.

mercoledì 25 luglio 2012

La memoria del cuore di Michael Sucsy


Nelle sale italiane dal 25 luglio.
A voler essere davvero cattivi e brevi, il commento che esce subito fuori di bocca a fine film potrebbe essere tipo: la solita romanticheria con Rachel McAdams che è la bella, eclettica, intelligente e difficile ragazza da conquistare e il divo teen di turno che fa di tutto per farci sentire brutti e poco romantici, noi uomini, e che alla fine la conquista al fotofinish. Per Diana, persino le locandine si assomigliano in questi film, guardare per credere.
Però sono bravo e per dovere di informazione e devozione a Rachel McAdams, scriverò qualche impressione aggiuntiva. Chicago, fuori dal comune, due sorprendentemente bellissimi giovani si incontrano per caso. Lui le chiede di uscire, lei accetta e bam, dopo un breve montaggio della loro relazione, quattro anni dopo sono felicemente sposati (con un matrimonio dentro un museo con i voti scritti sui menu del loro ristorante preferito). L'idillio finisce una sera, dopo un cinema, quando la loro macchina viene travolta da un camion e accartocciata contro un palo. Lui, Leo, sta bene, ma Paige ha riportato danni gravi alla testa e soprattutto al cervello.
Dopo un periodo in coma, ritorna in sè e purtroppo non ricorda più nulla della loro relazione. La sua memoria si è fermata a circa cinque anni prima, quando era ancora una ragazzina e viveva coi genitori, era fidanzata con un certo Jeremy e invece di essere un'artista rinomata, stava iniziando gli studi, sotto spinta del padre, per diventare avvocata. Leo per lei non è quindi nessuno e nonostante le provi che è suo marito, non vuole più stare con lui, ne ha quasi paura e preferisce tornare a casa dalla sua famiglia. Riuscirà il nostro energumeno a ricordarle il loro amore?
Letta così sembra più una commedia divertente, tipo Quel pazzo venerdì, o simile, piuttosto che un dramma sentimentale uscito (sembra ma non è così) dalla penna di Nicholas Sparks. Ed invece, passato un primo stage dove lei torna davvero una stupida adolescente con tanto di amiche urlanti e cotta per l'ex fidanzatino, il tono si fa un pò più serio e ne siamo felici.
Niente di nuovo, amore e amnesia vanno spesso a braccetto al cinema (a tal proposito mi viene subito in mente Un amore tutto suo con Sandra Bullock) e le similitudini con altri film sono molteplici, come dicevo in apertura, ma durante la visione mi è venuto un paragone flash con una pellicola recente, ben riuscita, che si presta perfettamente per una disamina di questa.
In Un amore all'improvviso, Erica Bana ha il dono incontrollabile/sventura di viaggiare nel tempo. Un giorno incontra sua moglie, Rachel McAdams (no!?), ancora bambina. All'inizio non vuole dirle chi è, per paura che possa condizionarla, ma dato che quel futuro già esiste, si rivela. Lei cresce con la convinzione che le cose andranno così, quello sarà il suo uomo, fine, non importa cosa accadrà, perchè sa che tutto quello avverrà. Ecco qui, a parte lei che in entrambi i film è un artista che lavora tutto il giorno nello studio attiguo casa, le cose sono totalmente inverstite. Leo fa una sorta di viaggio nel tempo in un mondo dove lei è intrappolata mentalmente per poterla, di nuovo, fare innamorare di sè. Mentre nell'altro film era un compito assai semplice, questa volta è complicatissimo. Lei sa che si tratta di suo marito e che lo amava, ma sta parlando di un altra Paige, che è esistita ma al contempo non è ancora "nata", lei è quella ragazza anni prima. Un tipo di ragazza che non si metterebbe mai con Leo, perchè troppo diversi, provenienti da ambienti molto differenti. Questa Paige è ancora succube del padre e legata agli ambienti ricchi dove è cresciuta, deve ancora compiere tutte quelle esperienze che la cambieranno.
Insomma da artista con la testa sulle nuvole, diventa una fighettina con tailleur e tinta bionda più interessata ai soldi e ai beni materiali piuttosto che alla salvaguardia degli animali (diventa pure vegetariana) o alla naturalezza e la bellezza interiore delle persone.
A complicare le cose ci si metterà quindi anche la famiglia che ha una seconda possibilità di manovrare la propria figlia e non permetterle di buttare ancora una volta via gli studi di legge per andare a fare sculture con il polistirolo o altri materiali simili. Perciò faranno di tutto per allontanarla da lui e magari proporgli di divorziare.
Se è giusto lamentarsi per l'infinità di capitoli dedicati ai super eroi (genere maschilista) è giusto quanto meno sbuffare per l'ennesimo rom-com o dramedy, come volete chiamarlo, di questo genere. Storie d'amore che vivono di dramma e film con medesima struttura, in cui è impossibile non azzeccare il finale. Sucsy è abile dietro la macchina da presa, aiutato da una meravigliosa Chicago e ha imparato molto bene la lezione dai precedenti esempi. Un finale forse affrettato (guai superari sti 95-100 minuti) e carico di retorica, gli abbassano un pochettino il voto.
Compito ingrato quindi per il buon Channing Tatum, qui scultoreo (e chiappe al vento per le sue fans), sia fisicamente che espressivamente, e a tratti gorillesco, ormai sempre più affermato come co protagonista di questo genere di film con questo target di pubblico. Niente male per uno che era nato come modello di intimo e aveva continuato con il riprovevole Step Up. Però ecco, avendolo visto e bene in 21 Jump Street, sappiamo che doti recitative ha, che le sfrutti.
Mentre Rachel McAdmas è una brava attrice, lo sappiamo, anche se quesit ruoli, troppi!, li fa ormai con il pilota automatico. E' il solito medesimo ruolo. Potrebbero usare scarti degli altri suoi film e lei potrebbe evitarsi la produzione e le riprese e magari concentrarsi su qualcosa di meglio. Nel cast anche i redivivi Sam Neill e Jessica Lange (già diretta dal regista in Grey gardens).
In definitva o questo o un altro film della serie non cambiano molto. Leggetevi il retro del DVD o una breve sinossi e scegliete quello che per singole, piccole modifiche vi aggrada di più. In fondo, seppur simili sono sempre, seppur costruiti con un obbiettivo preciso, guardabili e vi faranno passare un oretta e mezza con la vostra fidanzata in maniera piacevole. Se invece siete soli, bà, prendete nota come si fa a essere dei romanticoni e commuovetevi un pò.

lunedì 23 luglio 2012

Il bianco e il nero #6: Marilyn Monroe VS Billy Wilder


"Eravamo in pieno volo e c'era un pazzo sull'aereo" Billy Wilder.

Signori e signore benvenuti allo scontro di questa sera fra due pesi masimi di indubbia fama. Alla mia destra, nell'angolo rosa, per il peso approssimativo di 54 kili per 166 cm di altezza, the Blonde Bombshell from Hollywood, Mariiiilyyyynn  Monroe. E alla mia sinistra, nell'angolo bianco e nero a pois, con il peso approssimativo di 80 kili per 180 cm di altezza, the Viennese Pixie, Billyyyyyy Wilder!
L'atmosfera è elettrica ma prima dell'incontro, una breve introduzione degli sfidanti.

Marilyn Monroe nasce Norma Jeane Mortenson (cambiato subito in Baker) in quel di Los Angeles il 1 giugno 1926. Abbandonata dalla madre malata mentale passa da una casa famiglia all'altra, rischia la morte a due anni, lo stupro a sei e a nove è in un orfanotrofio dove lavora dietro ai fornelli. A sedici sposa un uomo che chiama "papino" e che vede poco (è un militare e parte per la guerra nel pacifico) e intanto inizia a fare la modella. Legge qualsiasi libro (Tolstoj, Dostojevsky, Joyce), ascolta Beethoven, studia recitazione e letteratura. La Fox la dà un contratto da sei mesi e diventa co-protagonista nel B-movie Orchidea bionda, dove canta pure. Divorzia dal primo marito. Grazie a un piccolo ruolo in La jungla d'asfalto, la nota Mankiewicz che la da un altra piccola comparsata in Eva contro Eva. La dura infanzia sembra ormai un ricordo.
A 26 anni, Norma-Marilyn ha svoltato. Iniziano gli anni 50 e con questi una serie di filmetti e ruoli secondari che la portano al primo ruolo da protagonista nel film drammatico, La tua bocca brucia. Non è il massimo ma la critica inizia a notarla e dopo tutto a elogiarla. Fra il 52 e il 53 appare solo in successi di pubblico e critica. Prima a fianco dello smemorato Cary Grant in Il magnifico scherzo, poi nel meraviglioso noir Niagara, per poi ballare e cantare per Howard Hawks in Gli uomini preferiscono le bionde
E' una vera e propria star e icona sexy con tanto di stella sul viale di Hollywood e marito famoso (appena sposato il campione di baseball Joe Di Maggio) ed è in questo momento della sua vita che sulla sua strada compare Billy Wilder.

Samuel "Billy" Wilder nasce nel 1906 in terra austro-ungarica (ora Polonia). La famiglia lo vuole avvocato ma è evidente fin da subito che non è tagliato. Lavora quindi come giornalista per una quotidiano viennese e così riesce a trasferirsi a Berlino. Si imbatte nel cinema per caso e inizia la sua carriera di sceneggiatore nel 1929. Scrive diverse pellicole tedesche (La terribile armata, Uomini di domenica, Sua altezza comanda) fino al 1933 quando sale al potere Adolph Hitler. Essendo di origine ebrea scappa di corsa a Parigi dove co dirige il suo primo film, Amore che redime, insieme a Alexander Esway. Poi emigra ancora, negli Stati Uniti. Vive insieme a Peter Lorre e scrive commedie insieme all'amico Charles Brackett tra cui Ninotchka di Lubitsch (anch'esso suo amico e mentore) e Colpo di fulmine.
Nel 1942 dirige il suo primo film in america, Frutto proibito con Ginger Rogers, una deliziosa commedia. Il sodalizio con Brackett continua e funziona benissimo ora nel ruolo di uno regista e l'altro produttore. I due sbancano regolarmente l'Academy. Giorni perduti con Ray Milland vince l'oscar per film, regia e sceneggiatura, Viale del tramonto per miglior sceneggiatura, altri come La fiamma del peccato o Stalag 17 o Sabrina non vincono ma denotano l'estrosità del regista che passa da un genere all'altro senza perdere colpi. Intanto però si dissolve la coppia formata con Brackett.
Nel 1955 mentre prepara Quando la moglie è in vacanza, successo di Broadway, gli propongono Marilyn.

Primo round: -Quando la moglie è in vacanza.
La piece teatrale è un successone, ma la trasposizione cinematografica necessita diversi ritocchi. Siamo nell'era del codice Hayes, non bisogna dimenticarlo, e tutti i riferimenti sessuali espliciti o impliciti necessitano una limatina con la mannaia. Figuriamoci in un film che parlerà di un uomo che intende tradire la moglie con una super sexy vicina di casa.
Il primo ritocco che Wilder (qui al lavoro per la prima volta con la Fox) deve affrontare è drastico e se ne lamenta a gran voce ma non potrà farci niente. A teatro, Sherman (il protagonista) e la vicina di casa finiscono a fare sesso. Guai se la cosa dovesse accadere sul grande schermo. Tutto dovrà succedere nella testa dell'uomo.
Per il cast si è pensato di scegliere Walther Matthau nel ruolo di Sherman, ma è un principiante e la Fox non vuole prendersi il rischio, così sceglie Tom Ewell, l'attore del ruolo originale a Broadway. Per la ragazza invece sembrava quasi certa la scelta di Vanessa Brown anch'essa a Broadway nel medesimo ruolo. Dopo che il progetto passò dalla Paramount alla Fox la casa di produzione cambiò idea e impose la scelta della sua diva, Marilyn, la quale però venne obbligata a fare un film prima, Follie dell'anno, robetta, ma poteva rendere bene al botteghino.
Marilyn è ansiosa di lavorare con Wilder e accetta di tutto, ma una volta arrivato il giorno delle riprese, si ritrova in uno stato pietoso, al culmine della sua depressione autodistruttiva. Molto spesso dimentica le battute, i dialoghi, il senso delle scene e la produzione accumula ritardi incredibili. Non arriva sul set mai in orario (Wilder sdrammatizza "Mia zia Milly è tanto gentile e carina, arriva sempre in orario, ma chi vuole vedere mia zia sullo schermo? Nessuno") e quando si presenta ci vogliono finanche 40 ciak per raggiungere un risultato soddisfacente. Il budget lievita di colpo a 1.8 milioni di dollari, una cifra folle per l'epoca, ma la Fox è sicura di poterne ricavare ancora un profitto.
Il rapporto tra il regista e l'attrice è ai ferri corti e il meglio deve ancora venire. Una vittoria però va alla Monroe che grazie alla Fox e al suo contratto con essa, impone che il film venga girato a colori, più congeniale per lei, piuttosto che uno scialbo e antiquato bianco e nero. Wilder abbozza, in seguito, come dirò più avanti, avrà la rivincita.
Il culmine dell'instabilità sul set viene toccato proprio mentre si gira la scena iconica del film: la gonna bianca di Marilyn che svolazza sopra la grata della metropolitana. Sul set, quel giorno, è presente anche il marito Joe Di Maggio che ha sempre mal sopportato le focose attenzioni che chiunque riversa sulla neo sposa. Insomma, c'è un regista nervoso, una attrice disperata e un marito geloso, il tutto davanti a migliaia di persone perchè si è deciso di girare la scena dal vero, a Manhattan tra la Lexington e la 52esima.
E' l'1 di notte del 15 Settembre 1954 e nonostante ciò ci sono cinque mila persone. Marilyn continua, al solito, a sbagliare battute e il pubblico non da una mano. Ogni volta che si alza la gonna partono fischi e urla. Di Maggio è più rosso di un camion dei pompieri. Non resiste più e a fine ripresa segue un furioso litigio. Può sembrare ironico ma un film che parla della crisi del settimo anno di coppia pone fine al matrimonio di soli 9 mesi tra i due. Wilder dirà in seguito "Anch'io rimarrei turbato, sapete, se ci fossero ventimila persone che guardano la gonna di mia moglie svolazzarle sopra la testa".
Le riprese sono inutilizzabili, per gli schiamazzi in sottofondo, e verranno rifatte in studio. Ecco quindi che mi e vi crolla un mito. Quella grata sulla Lexington (vista dal vivo) non è quella del film. E l'immagine iconica, di lei a figura intera con la gonna che svolazza, non la vedrete, perchè è stata fatta a parte. Abbastanza triste.
Dopo tutto la produzione continua bene, o almeno senza altri scossoni. La pubblicità sarà di proporzioni bibliche, come la Marilyn di 52 piedi appesa a Times Square per la prima fissata il 1 giugno 1955, 29esimo compleanno dell'attrice.

Secondo round: -A qualcuno piace caldo.
Per un certo periodo i due si separano e con grande gioia di Billy, Marilyn diventa la gatta da pelare di qualcun'altro (Laurence Olivier, che la dirige ne Il principe e la ballerina. Per i disastrosi aneddoti, guardare Marilyn, uscito qualche settimana fa in Italia).
A tre anni di distanza però l'esperimento viene ritentato. Wilder dopo la prima esperienza disse di lei "Qualsiasi cosa facesse, la dovevamo stampare, e andava incredibilmente bene. Aveva una volgarità elegante e capiva sempre dove fosse la battuta, aveva un vero talento. Aveva allo stesso tempo paura e un certo feeling per la macchina da presa. Non lo sapeva neanche ma lei aveva quella cosa, quel dono".
Frasi di circostanza o no, sembra pronto a perdonarla e a darle un altra chanche. Inoltre Wilder vince la sfida del colore. Il contratto del "colore o niente" di Marilyn è ancora in vigore ma dopo alcuni screen test, si decide che il film sarebbe stato in bianco e nero, perchè il trucco femminile sui volti di Lemmon e Curtis, risulta migliore. Rivincita!
Questa volta Marilyn non è sposata a un focoso sportivo ma a un mansueto scrittore, Arthur Miller, eppure c'è comunque qualcosa a complicare le riprese. Marilyn è incinta, (per la seconda volta da Miller, e come per la prima, finirà per perdere il bambino) e questo comporta un cambiamento di set. Tutte le scene girate al resort, sono spostate al Hotel Del Coronado in San Diego, California, scelto da Wilder, di modo che lei viva sul set e sia reperibile in ogni momento e velocemente (Wilder sui suoi ritardi continui ora dice "Un tempo, se la convocavi alle nove di mattina compariva regolarmente a mezzogiorno. Adesso la convochi a maggio e si presenta a ottobre".
Se Quando la moglie... fu una tragedia, Wilder non poteva minimanete aspettarsi qualcosa di ancora peggio. Marilyn era comunque in ritardo medio di due o tre ore e a volte disertava proprio, nonostante fossero tuti pronti. Le storie e gli aneddoti sulle dificoltà sul set hanno raggiunto col tempo dimensioni epiche. Nella scena della telefonata d'addio tra lei e Curtis, si può vedere chiaramente come lei legga da un gobbo fuori schermo. Ma ogni scena è un impresa, anche le più semplici.
Per dire la frase "Sono io, zucchero" corretta invece di "Zucchero sono io" o "Sono zucchero, io" ci vollero 47 ciak. Dopo la trentesima Wilder scrive la battuta su un cartoncino che dovrà solo leggere. Ma non basta, perchè poco dopo deve dire la frase "Dov'è il bourbon?" e  sono necessari altri 40 ciak perchè sbaglia e dice "Dov'è la bottiglia/bonbon/whiskey" e Wilder deve scrivere altri cartoncini. Ora però Marilyn non capisce quale deve leggere e quale no, così Wilder deve cancellare il pezzo appena letto dopo ogni battuta.
Ben 59 ciak dopo la scena riesce ma Marilyn da la schiena alla macchina da presa e Wilder ci rinuncia, ridoppiandola in post produzione.
Arrivati all'ultimo giorno di riprese Wilder è distrutto. Marilyn avrebbe un suggerimento per la scena finale, ma forse per punirla, Billy rimane fedele alla sceneggiatura nonostante l'idea gli piaccia. Wilder dichiarerà, mesi dopo, "Eravamo in pieno volo e c'era un pazzo sull'aereo", chissà a chi si riferisce. Marilyn non verrà neanche invitata alla festa di fine riprese, dato che nessuno, soprattutto Curtis, la regge più.

Qualche anno dopo Wilder dichiarerà "Ne ho discusso con il mio dottore e il mio psichiatra e entrambi concordano nel dire che sono troppo vecchio e troppo ricco per ritentare la sorte con lei". Eppure i risultati finali sono due commedie da manuale del cinema che ancora oggi attraggono nuove generazioni. I pregi sono ovviamente di entrambi, della bravura nella scrittura e nella regia di Wilder e nella presenza e nella comicità volontaria o no di Marilyn. Direi quindi che lo scontro non può che finire in una onesta parità.
Che io sappia, tra di loro non ci fu più nessun rapporto, sia personale, sia lavorativo, (anche perchè Marilyn morirà pochi anni dopo) ma vi fu un ultimo tentativo di riunirli. Matt Malneck, compositore delle musiche di A qualcuno piace caldo, andò a New York dopo le riprese per far registrare una canzone che era rimasta fuori durante la produzione a Marilyn. Dopo il lavoro andarono a mangiare fuori e Matt, che riteneva il litigio tra loro ridicolo, prese un telefono e compose il numero di Wilder, poi diede il ricevitore a Marilyn.
M: "Pronto Audrey (moglie di Wilder) c'è Billy?"
A: "No, è ancora fuori."
M: "Appena lo vedi puoi dargli un mio messaggio?"
A. "Ma certo Marilyn, dimmi."
M: "Digli di andare a fanculo."
Silenzio.
M: "E i più sinceri e affettuosi saluti a te Audrey."
Fine.


Nella prossima puntata: miss Margarita Carmen Cansino, la contessa scalza.

sabato 21 luglio 2012

La leggenda del cacciatore di vampiri di Timur Bekmambetov

In sala dal 20 luglio, anche in 3D.
Questo è uno di quei titoli tradotti in italiano che perde completamente appeal e gusto. Letto così, davanti agli schermi delle sale, in coda per scegliere cosa andare a vedere, nessuno gli darebbe due lire. Il solito film sui vampiri. E invece no, almeno sulla carta perchè trattasi di Abraham Lincoln: Vampire Hunter, ovvero il sedicesimo presidente degli stati uniti a caccia dei succhiasangue. E già le cose stuzzicano di più.
Non è una novità, anzi si potrebbe parlare di moda negli ultimi anni, quella cioè di mischiare l'horror con famosi personaggi, reali o inventati, della storia. C'è chi l'ha messa evidentemente sul trash, come la TROMA, paladina del genere, con il suo celeberrimo Jesus Christ Vampires Hunter, dove il figlio di Dio torna sulla terra per salvarci da vampiresse lesbiche, o sempre rimanendo in tema Lincoln, il nuovo di pacca Abraham Lincoln vs. Zombies (dev'essere l'anno dell'onesto Abe). Chi l'ha messa in maniera ironica senza eccedere nel becero come Don Coscarelli, che ha trasposto il racconto di Lansdale, Bubba Ho-tep, in un film dove Elvis è ancora vivo ed è un anziano in una casa di riposo che si ritrova a combattere contro una mummia. E la lista potrebbe continuare, anzi, già dare uno sguardo al futuro, con l'annunciata trasposizione dell'omonimo romanzo di Seth Grahame-Smith Orgoglio e pregiudizio e zombie, ovvero il romando della Austen intriso però di kung fu e non morti. 
Per ora ci cucchiamo questo (sceneggiato proprio da Grahame-Smith), dove un giovane Abraham Lincoln, non ancora presidente, si trova a combattere contro i principi delle tenebre. Una notte infatti, il nostro Abe, viene attaccato da un uomo dotato di una forza bruta e una agilità animalesca. Sembra spacciato ma viene salvato da Henry Sturges, che gli rivela che quell'ossesso non era altro che un vampiro vero e proprio. Henry lo addestra alla difesa e alla caccia di essi, molto presenti sul suolo americano, e mentre di giorno lavora in una bottega, di notte corre a staccare teste con la sua fedele ascia d'argento.
Tra combattimenti vari, dopo la scoperta che l'amico Henry è anch'esso un vampiro, decide di smettere e dedicarsi alla vita politica. Diventa presidente degli Stati Uniti e redige la proclamazione dell'emancipazione. Però gli schiavi sono molto importanti per i vampiri che li usano come cibo e questo non va loro giù, tanto da allearsi coi sudisti nella guerra di secessione. Ecco che il presidente Lincoln dovrà salvare la sua amata nazione da un nemico ben più temibile della schiavitù.
La leggenda de... è qualcosa che non ti aspetti. Un personaggio, un icona come Lincoln, che accetta dei vampiri, tse, sarà una cazzata. No, perchè l'intento di Bekmambetov è quello di rimanere il più possibile seri e se gli si concede ciò, se si accetta questo patto di finzione, si possono passare 100 minuti di discreto intrattenimento. Astenersi chi vuole una vaccata pieno di humour o gag di basso livello, ma certo, astenersi anche quegli appassionati di storia che si sentiranno insultati da quello che vedranno.
A proposito di esperti di, in questo caso vampiri. Anche in questo caso si ridefiniscono le leggi e le regole che li definiscono. Prima di tutto possono vagare liberi alla luce del sole, ecco, magari con un paio di occhialetti da sole à la page. Secondo sono fortissimi e velocissimi, tanto da sparire alla vista (una cosa che non capirò mai, cosa li renderebbe superdotati?). E terzo, non possono uccidersi a vicenda, un'aspetto molto importante verso fine film.
Siamo dalle parti di un Burton (qui produttore maddai!) in epoca Sleepy Hollow, di cui magari il film cerca di rubare un pò di atmosfera, ma con una sceneggiatura e un impalcatura più rigida e però anche più impacciata. Grahame-Smith (che ha curato la scrittura anche di Dark Shadows, sempre di Burton) è di sicuro un creativo con idee piuttosto particolari, non rivoluzionarie, a cui manca ancora un pò di pratica, e magari un grande regista, prima di sfornare un vero cult. Però siamo sulla buona strada. Il mix di veri fatti storici e trovate da slasher non sono per nulla male, bisognerebbe solo sfruttarle il meglio possibile. Esempio lampante il finale, notevole e curioso. 
Bekmambetov da parte sua invece è un uomo indecifrabile. Impossibile bocciare in pieno i suoi lavori, ma impossibile salvarli da bordate più che meritate. Qui è per la prima volta alle prese con il 3D (presente poco e come "livellatore" e in qualche scena concitata o paesaggistica) e non sembra voler esagerarne l'uso o la qualità, cosa che invece fa con il rallenty, suo fedele alleato, usato in maniera più che fastidiosa. Insomma, con un materiale simile, forse era meglio essere più coraggiosi, in generale. 
Nel cast non spicca nessuno. Benjamin Walker assomiglia il giusto a Lincoln ma di certo non ha la sua enfasi o possenza. Dominic Cooper si trova parecchio a suo agio in costumi d'epoca e belle donne, ma non cambia mai espressione. Mary Elizabeth Winstead (la moglie di Linki) sta purtroppo prendendo la brutta china dei film horror adolescenziali, e seppur sempre tanto carina, la vorremmo in ben altri lavori.
In definitva La leggenda de... è un film che si lascia guardare, ma che passata la prima sorpresa per la storia, può perdere un pò di mordente, trasformandosi nel classico horror-vampire. Tutto sommato però è gradevole, anche se il Lincoln che più aspettiamo è quello di Spielberg, in uscita, pare, il 16 novembre in USA, e che tra i tre addirittura film dedicati al presidente nel solo 2012, dovrebbe essere quello più meritevole. Si spera.

Voto: 6 politico o presidenziale.

Nota: C'è anche un quarto film su Lincoln in produzione http://www.comingsoon.it/​News_Articoli/News/Page/​?Key=15172

venerdì 20 luglio 2012

L'immondo profondo #6: Io credo in Federico Zampaglione


Gironzolando sui vari forum che parlano di cinema mi imbatto spesso e volentieri in commenti e recensioni di Shadow di Federico Zampaglione, e nella maggior parte dei casi il film viene più o meno brutalmente massarato. Ecco, non nascondo che in quelle occasioni provo un po' di dispiacere, non tanto perché Shadow non si meriti qualche critica tagliente ma perché nonostante tutto è un tentativo, magari non completamente riuscito, ma pur sempre un tentativo.
In fondo basta guardare al desolante panorama italiano, le alternative quali sono ? Le vecchie glorie, ovvero Dario Argento ? Macifacciailpiacere dico io, un vecchio biascicante e rimbambito che è diventato la parodia della parodia di se stesso, il vecchio zio pazzo di cui si vergognano tutti, lo chiudi in cantina ma lui trova sempre il modo di scappare e ogni volta fa la cacca per terra, in attesa di Dracula 3D che se esiste una giustizia non troverà mai un distributore disposto a portarlo nelle sale, un po' come era successo per Giallo.
Oppure i volti nuovi (oltre a Zampaglione ovviamente) ? Ci sono i Manetti Bros, ma con Paura 3D (da qualche parte qui sul blog trovate la mia recensione) ci hanno subito tolto ogni dubbio, l'horror, anzi, la regia non fa per loro. E nemmeno la produzione, perché gli altri esordienti del mondo dei film de paura li producono quasi tutti loro. Tra questi c'è Gabriele Albanesi, che per quanto mi riguarda dovrebbe essere processato per crimini contro l'umanità, ma per fortuna ultimamente anche lui si è dato alla produzione di filmetti a episodi, quindi almeno per un po' siamo al sicuro.
Panorama desolante appunto, e con questo non voglio dire che bisogna prendere per buono tutto quello che passa il convento, perché come dicevo Shadow ha i suoi difettacci. Primo fra tutti il finale, il problema più evidenziato nelle mini recensioni da forum, quello che fa crollare drasticamente il voto. Giustamente aggiungo io, perché una conclusione del genere in un film come Shadow stona parecchio, nel tentativo di sfuggire ai soliti cliché dell'horror contemporaneo cade in quelli di altri generi cinematografici e ci infila pure una morale spicciola su quanto è brutta la guerra. Peccato perché sarebbero bastati un pò più di idee e di coraggio.
Poi appunto ci sono i cliché, a partire proprio dalla trama, però a quelli ci abbiamo fatto il callo e Shadow non è neanche un caso particolarmente grave, quindi si può anche chiudere un occhio e guardare il film nel suo insieme, magari per rendersi conto che Zampaglione almeno tecnicamente ha poco a che spartire con i giovinastri di cui sopra, e per capirlo basterebbe osservare la fotografia molto europea ed elegante con cui vengono immortalate quelle azzeccatissime location, oppure basterebbe ascoltare le musiche, a partire da quel “C'è una strada nel bosco” che da canzone sdolcinata si trasforma in motivetto angosciante e terribile presagio. Insomma con Shadow Zampaglione riesce a far coesistere l'horror contemporaneo e la tradizione italiana, senza però rimanere troppo debitore nei confronti di quest'ultima, quindi senza cadere in quel baratro di ingenuità e cattivo gusto in cui sprofondano i filmacci a cui accennavo prima.
Fatta questa lunga e doverosa premessa posso finalmente passare all'argomento più succoso: Tulpa, l'ultima fatica di Federico Zampaglione, un vero e proprio giallo all'italiana moderno, un horror che rielabora gli stilemi classici del genere in modo nuovo e personale, senza cadere nel circolo vizioso del citazionismo sfrenato e della fredda riproposizione di topoi vecchi di 40 anni. O almeno così dicono le primissime recensioni, e io mi voglio fidare.
Tulpa verrà proiettato in anteprima mondiale al Frightfest di Londra (a cui magari si potrebbe dedicare una delle prossime rubriche) il 25 agosto, tra i protagonisti figurano Claudia Gerini (che interpreta la protagonista), Michele Placido, Gianmarco Tognazzi, Crisula Stafida e Nuot Arquint (il mostro di Shadow). Alla sceneggiatura ci sono Federico Zampaglione, Giacomo Gensini (sceneggiatore anche per Shadow) e il mitico Dardano Sacchetti, di cui personalmente mi fido poco ma che magari ha ancora qualcosa da dire.


giovedì 19 luglio 2012

Filmbuster(d)s - Episodio#6


Vi ricordate quando The Road rischiò di non arrivare mai nelle sale italiane perché i nostri distributori pensavano fosse un film "deprimente"? Il film di John Hillcoat alla fine ce l'ha fatta, esistono però una quantità spropositata di film meritevoli, che hanno percentuali da capogiro su Rottentomatoes.com, che hanno ricevuto riconoscimenti nei festival di cinema di tutto il mondo, che non in Italia non arriveranno mai. Noi di Filmbuster(d)s abbiamo deciso di dedicare una puntata ad alcuni di questi film "dispersi" che riteniamo meritino almeno una visione.








Nel 6° episodio di Filmbuster(d)s:

- A Better Life
- The Raid
- The Grey
- Helpless
- Kill List
- Coriolanus
- Las Acacias
- The Innkeepers
- The Secret of Kells
- Everything must go
- The Woman

Potete ascoltare l'episodio al link diretto al file MP3 (per scaricarlo basta cliccare col destro e poi "Salva link con nome"): Clicca qui

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mercoledì 18 luglio 2012

La leggenda di Bela Lugosi e Boris Karloff - Parte 3

Dopo la morte di Bela, Karloff dichiarò che il suo rivale aveva <<ottenuto in vita molto meno di quanto meritasse. Era un uomo timido, sensibile e molto talentuoso, ma commise un errore: non si prese mai la briga di limare il suo accento e imparare la nostra lingua.>>
Il suo modo di parlare non gli permise mai di ottenere ottimi ruoli da protagonista e il contratto da 3500 $ di cui sopra convinse le major che Lugosi fosse un affare a buon mercato, remunerandolo sempre a cifre ben inferiori dei suoi colleghi.
Il caso de Il Figlio di Frankenstein fu emblematico.
Dopo una serie di insuccessi e l'aver perso una fetta pari al 40% del mercato estero, la Universal decise di rispolverare i suoi classici e, nel 1939 avviò la produzione del 2° sequel della saga del mostro interpretato ancora una volta da Karloff e diretto da Rowland V. Lee al quale fu concesso un budget elevato. Fu offerto il ruolo del barone Von Frankestein a Peter Lorre, che rifiutò; la parte fu quindi offerta a Basil Rathbone al quale fu offerto un lauto compenso simile a quello di Karloff. 
A Lugosi, scritturato per il ruolo dell'assistente Igor, non andò altrettanto bene: i produttori infatti, conoscendo i problemi finanziari dell'attore Ungherese, gli offrirono inizialmente un misero contratto da 1000 $ a settimana, per poi ridurlo a 500 $ a settimana e organizzare le sue riprese in modo tale da farle rientrare tutte in una settimana!
Quando Karloff e Rowland lo vennero a sapere andarono su tutte le furie e il regista decise di riscrivere lo script in modo da rendere il personaggio di Igor centrale e dare carta bianca a Lugosi per la caratterizzazione. <<Che brutti figli di puttana! Gliela faccio vedere io a questi. Terrò Bela sul set dal primo all'ultimo giorno di lavorazione di questo film! Viene sottovalutato troppo dallo studio!>>
Lugosi disse che:<<Per il ruolo di Dracula non utilizzai un pesante make up, ma per Il Figlio di Frankestein... Dio fu grandioso! All'inizio la mia parte era piccolissima, ma poi il regista ogni giorno aggiunse elementi, fino a renderlo il ruolo più importante del film.>>
Risale al 1940 l'ultima collaborazione tra Bela e Boris con la Universal: Black Friday, diretto da Arthur Lubin, segnò un drastico calo dell'interesse del pubblico per il duo di star del cinema horror e fu un fiasco al botteghino. 
La sceneggiatura iniziale, che prevedeva Lugosi in un ruolo principale affianco al rivale, fu rimaneggiata da Curt Siodmak, che lo relegò a un ruolo minore dato che, a suo dire: <<Bela non era capace di uscire dal suo orticello. Era capace soltanto a dire Mee-Ster Dra-cula con quelle sue movenze Ungheresi.>>
La Universal, quando si rese conto che nel rimaneggiamento non c'era una singola scena in cui Lugosi e Karloff recitavano insieme, decise di inserire una scena di morte del personaggio di Bela che il regista più tardi definì: <<Una scena di morte orribile!>>
Negli anni 50, Richard Gordon, produttore, difese l'attore ungherese dall'onta subita da Siodmak, asserendo che Lugosi era uscito da “quell'orticello” quando Siodmak era ancora un bambino.
Lasciata la Universal, le carriere dei due attori presero strade diverse, e, mentre Karloff continuava a mietere successi, quella di Lugosi culminò nell'incontro con Ed Wood, il regista protagonista del film di Tim Burton. I bei tempi erano ormai andati, l'abuso di farmaci scandiva le giornate e quelli di Wood erano filmacci a basso budget. Un nostalgico Bela dichiarava a un giornalista: << Un tempo ero padrone del mio destino professionale, interpretavo ruoli che spaziavano da Romeo ai classici di Ibsen e Rostand. Poi divenni il pupazzo Dracula... più di ogni agenzia di casting, a dettare il tipo di ruolo che potevo interpretare fu l'ombra della figura di Dracula... non credo che esista al mondo un altro ruolo che abbia condizionato così pesantemente la carriera di un attore...>>.
La moglie di Bela riferì che una notte del 1955, l'attore si svegliò e insistette che al piano di sotto, nel soggiorno, ci fosse l'amico Boris e che dovesse prepararsi perchè non aveva intenzione di incontrarlo in camicia da notte.
Bela Lugosi morì il 16 agosto del 1956 a 73 anni.
Karloff invece continuò a lavorare al cinema, in TV e alla radio in maniera costante fin quando la salute glielo permise. Morì ad 81 anni il 2 febbraio 1969.
Spero che questa storia vi sia piaciuta, confesso che terminato l'articolo mi sia scesa sulla guancia una lacrimuccia, la trovo estremamente malinconica e affascinante. E' la storia di due personalità tra le più importanti della storia del cinema, è una storia di amicizia e di sana rivalità, è la storia della fondazione del genere Horror e della definizione delle sue forme. C'è tanto dentro, c'è tutto.
Nonostante Bela negli ultimi anni avesse sviluppato un'amarezza per i successi dell'amico, mi piace pensare, e i fatti lo dimostrano, che non fosse mai venuto meno il rispetto reciproco. 
Vi lascio con una simpatica sfida a scacchi. :)

lunedì 16 luglio 2012

Il bianco e il nero #5: Gene Tierney, la più bella di tutte


"The most beautiful woman in movie history" Darryl F. Zanuck.

A un primo sguardo veloce, Gene Tierney, sembra avere molti difetti. I denti leggermente sporgenti, gli zigomi piuttosto pronunciati, un aria fredda. Ma basta darle un secondo sguardo per innamorarsene definitavemente e capire che quei piccoli difetti compongono un insieme di rarissima bellezza. 
Era un mix di classe e esotismo, melanconia e mistero ma anche un sorriso che illuminava le città, un’attrice nota per il suo aspetto ma ancora di più per la sua sensibilità, l’etica lavorativa e l’impegno. Per certi versi simile alla collega Veronica Lake (puntata 2),  nacquero nello stesso posto, ebbero fama nello stesso periodo e la carriera di entrambe ebbe una brusca e tragica interruzione, con tentativo di riavviarla, in seguito.

Nasce a Brooklyn il 19 novembre del 1920 in una famiglia benestante. Il padre è un assicuratore e la madre un ex insegnante. Cresce tra la casa dei genitori a New York e quella dei nonni, anch’essi molto facoltosi, nel Connecticut.  Riceve un educazione tra le migliori e le più costose che la east coast possa proporre. Una delle sue prime passioni è la poesia che per tutta la vita continuerà, nel privato, a coltivare.
Nel 1936 lascia gli Stati uniti per trascorrere due anni in Svizzera, a Losanna, dove frequenta una scuola di perfezionamento per signorine e dove impara il francese.  Tornata a casa fa una piccola gita sulla west coast dove va a visitare gli studi della Warner Bros. Qui la nota, nonostante fosse una delle tante turiste, il regista Anatole Litvak che le suggerisce la carriera di attrice. La Warner bros. le offre pure un contratto ma i genitori sono contrari (anche per la paga poco onerosa) e la ragazzina, non ancora maggiorenne, deve rinunciare.
Gene non è animale da alta società, si annoia spesso e alla fine del ballo delle debuttanti annuncia al padre che vuole fare l’attrice. “Bè se proprio vuoi farlo, lo farai nel migliore dei modi” riceve come risposta. Si iscrive quindi in una scuola nel Greenwich village con Benno Schneider e diventa in breve una protegè del regista e produttore di Broadway, George Abbott.

Il suo primo ruolo a teatro è nel 1938 in What a Life! dove tutto quello che fa è trasportare un secchio pieno d'acqua da una parte all'altra del palcoscenico. Nonostante ciò, un critico di Variety scrive "Miss Tierney è sicuramente la più bella portatrice di secchi d'acqua che abbia mai visto". La sua carriera teatrale è breve quanto promettente. Appare in ruoli minori nelle piece Mrs. O' Brien Entertains e Ring Two. Ancora una volta la critica non può che parlarne bene, stavolta non per come porta i secchi, e Richard Watts (NY Heradl Tribune) non fa in tempo a dire "non vedo come non possa  avere una grande carriera, a meno che il cinema non ce la rapisca" che la Columbia le mette sotto contratto per sei mesi (incontra anche Howard Hughes (RKO) che tenta di sedurla con le sue ricchezze ma lei non ci casca).
A Hollywood le suggeriscono di perdere qualche kiletto, perchè un viso più snello le gioverebbe (seguirà una dieta per 25 anni, la durata della sua carriera, "un periodo terribile per me che adoro mangiare" dirà poi), ma non fa in tempo a apparire sul grande schermo che scade il contratto e il film a cui doveva lavorare continua a ritardare la produzione.
Torna quindi a Broadway dove il padre ha fondato una società per supportarla e sfruttarla (lo farà anche una volta famosa e ricca) e raggiunge un successo enorme con il suo primo ruolo da protagonista in The Male Animal. Appare quindi su Life magazine, Collier e Vogue. La sua fama è alle stelle quando arriva a New York per vederla, Darryl Zanuck, il magnate proprietario della 20th Century Fox. La vede in scena, gli piace, si segna il nome. Poi la sera va a mangiare allo Stoke Club, qui nota una bella ragazza che balla in sala. Dice all'assistente "lascia stare quella la, prendiamo questa". Forse è ubriaco, forse Gene ha molti look, ma le due ragazze sono incredibilmente la stessa persona, Miss Tierney. Inizia quindi la sua carriera nel cinema.

Il debutto è nel western di Fritz Lang Il vendicatore di Jess il bandito insieme a Henry Fonda a cui segue un piccolo ruolo in La baia di Hudson. Dopo essersi vista e ascoltata per la prima volta dice "quella è la mia voce? Sembro Minnie arrabbiata" ed inizia a fumare per abbassare il tono della voce e renderla più suadente. Il 1941 si rivela un anno piuttosto impegnato per Gene grazie alle sue apparizioni in I misteri di Shangai (il suo primo noir), La via del tabacco di John Ford e Inferno nel deserto.
La sua carriera si impenna inavvertitamente nel 1943 grazie alla commedia del maestro Ernst Lubitsch, Il cielo può attenderein cui mostra una verve comica niente male. Sul set ebbe diversi problemi con il regista che le gridava contro in continuazione e che ricorda "era un tiranno, il più esigente di tutti. Dopo una scena che richiese 5 ore lo affrontai a muso duro, lui urlò di nuovo e infine si mise a ridere. Da li in poi diventammo amici". Sempre durante la produzione realizza di essere incinta (era sposata da due anni con il costumista Oleg Cassini, fratello del più famoso Ivan).
I due film successivi sono forse i suoi più famosi. Prima, sotto la direzione di Otto Preminger, interpreta la protagonista nel noir Vertigineinsieme a Vincent Price (che disse "solo lei poteva interpretare Laura. Nessuna ha quel mix di fascino, erotismo e mistero") e Dana Andrews, con i quali collaborerà spesso. La pellicola è uno dei migliori del genere mai prodotti da Hollywood. Ancora meglio farà con Femmina folle di Stahl che le varrà una nomination all'oscar. Il film, in technicolor (citando sempre Vincent Price "ora potrete quindi godere dei suoi meravigliosi occhi"), diventa il maggior successo della Fox dell'intera decade.
Purtroppo però non ci sono solo fortune. Sua figlia è nata mentalmente ritardata, perchè durante la gravidanza Gene contrasse la rosolia nell'unica volta in cui andò alla Hollywood canteen. Howard Hughes, ora grande amico, pagò tutte le cure mediche.

Durante la lavorazione de Il castello di Dragonwyck, nel 1946, conosce un giovane John Fitzgerald Kennedy. I due diventano amanti ma JFK la molla perchè in contrasto con le sue aspirazioni politiche (almeno così dice). Il filo del rasoio dello stesso anno è un altro grande successo della sua carriera e la critica elogia la sua prova come una delle sue migliori.
Gene non sbaglia un colpo e nei successivi film, benché non ottenga mai nomination all'oscar, diviene una delle più acclamate attrici del suo tempo. Il fantasma e la signora Muir di Mankiewicz, I trafficanti della notte di Dassin, Sui marciapiedi e Il Segreto d'una donna di Preminger sono tutti ottimi film nei quali è diretta dal gota della regia di Hollywood.
Arrivano gli anni 50 e anche una lunga pausa nella sua formidabile carriera. Intanto scade il contratto con la Fox e passa alla MGM. Forse i troppi amanti (Tyron Power e Spencer Tracy, in seguito il principe Aly Khan) portano alla fine del matrimonio con Cassini, da cui aveva avuto un'altra bambina. La figlia malata e il divorzio sono dei duri colpi per la sua natura molto sensibile. Inizia così a soffrire di depressione e disturbi bipolari e è costretta a lasciare il set del film Mogambo (le subentra Grace Kelly).
Durante la realizzazione de La mano sinistra di Dio le è ormai impossibile nascondere la malattia. Dimentica in continuazione le battute, è sempre stanca e nervosa. Bogart (che aveva una sorella malata anch'essa) cerca in tutti i modi di aiutarla, ripassando insieme il copione e convincendola infine ad andare da qualche dottore.

Dopo aver consultato uno psichiatra, viene ricoverata a New York e poi in una clinica nel Connecticut. Qui viene sottoposta a 27 elettro shock, credendo così di guarirla (ai tempi non c'era altro modo, si sa). Gene riesce a scappare ma viene subito ripresa. Si oppone strenuamente alla terapia, sostenendo che le sta cancellando gran parte della memoria e nel 1957, dopo due anni di cure, viene vista da un uomo mentre tenta il suicidio, in bilico sul cornicione di un palazzo. E' ovvio che il trattamento non funziona.
Viene ricoverata una terza volta in Kansas. Dopo un periodo di miglioramenti, il programma prevede che esca e che lavori come commessa in un negozio. Viene chiaramente riconosciuta e la Fox le propone di fare il film Vacanze per amanti (1959), ma lo stress è troppo grande e deve lasciare dopo pochi giorni.
Nel 1960 si sposa per la seconda volta, con il petroliere Howard Lee (primo marito di Hedy Lamarr) e dopo sette anni di cure, torna al cinema nel 1962 con Tempesta su Washington del fedele Preminger. Dimostra di essere ancora una grandissima attrice ma ormai non è più molto richiesta e trova spazio solo in miniproduzioni televisive. Si ritira quindi definitivamente.
Negli ultimi anni di vita privata pubblica la sua biografia, che riscuote un notevole successo, e muore di enfisema nel 1991 a due settimane dal suo settantunesimo compleanno. Una malattia causata dal forte consumo di sigarette condotto nella sua vita. Non era più una Minnie arrabbiata ma ha pagato un prezzo molto alto.

In Vertigine per tutta la prima parte del film, il detective Dana Andrews si stupisce come tutti possano essere innamorati folli di questa Laura Hunt. Lui che è un duro, è sicuro di non cedere, ma poi la vede, la incontra, si perde dentro di lei, nel suo mistero e nella sua bellezza. Questo era l'incredibile potere di Gene. Neanche te ne accorgi e sei già caduto nella sua trappola.
Conludo con le parole di Oleg, primo marito: "Gene è la ragazza sfortunata più fortunata del mondo; tutti i suoi sogni sono divenuti realtà, ad un costo."


Nella prossima puntata: Billy Wilder VS Marilyn Monroe, un match in due riprese.

sabato 14 luglio 2012

Freerunner di Lawrence Silverstein


Nelle sale dal 13 luglio anche in 3D.
Nel totale vuoto delle sale italiane (sia di pubblico, sia di proposte) arriva questo film, spero, low budget, girato a Cleveland, nota per essere the mistake on the lake, con regista quella mente perfida che ha osato produrre The cell 2 (si esiste) e che qui si cimenta per la prima volta dietro la telecamera. Come se non bastasse ve lo potrete godere in 3D se vorrete, ma avendolo visto in versione normale, non capisco dove ce la metteranno sta tecnologia dato che non c'è una singola scena degna o non c'è neanche una qualità video decente per dare profondità o comunque rendere tale scelta sensata. 
Ma cos'è Freerunner? Presto spiegato. Trattasi di film adrenalinico con al centro un gruppo di ragazzotti dediti al parkour (quella moda di scalare i palazzi e correre e saltare per le stradine delle città). Questo gruppetto partecipa alla Freerun, una corsa per la città di Metro, nella quale non ci sono regole, basta raggiungere tre bandiere di colore diverso e in un ordine preciso, sparse per una zona molto vasta. Si può scommettere, ci sono telecamere sparse per tutto il percorso e molti ragazzini locali ne vanno matti. Tutto bene, tranne che la competizione è solo un antipasto per qualcosa di ben più grosso e pericoloso. Un giorno i ragazzi si svegliano in un capannone e con un collare esplosivo addosso. Su uno schermo appare il temibile Mr. Frank che annuncia le nuove regole: 3 scanner da passare in 60 minuti sparsi per la città, l'ultimo dei concorrenti che viene scannerizzato ha soli tre secondi dal penultimo per non esplodere, chi si leva il collare muore, chi esce dalla zona di gioco esplode premio finale di un milione di dollari. Il tutto sotto lo sguardo compiaciuto e divertito di multimilionari che scommettono ben più della paghetta settimanale.
Oh, ma che bello, eh? Si, in effetti l'idea è interessante, forse un pò scopiazzata (impossibile non pensare a Crank ma più grezzo), molto stile videogame, giovanile, che frulla dentro le mode del momento, dal parkour, alle riprese da mix tape di skate ai gesti spericolati degni delle fail compilation di Youtube. Allora perchè è brutto? In primis perchè è scritto evidentemente da un ragazzino dodicenne, amante appunto dei videogiochi e di tutte queste cose adolescenziali. Si parte già male, con una trama riassunta didascalicamente circa quattro volte che fa venir voglia di gridare allo schermo "Ok ho capito!", per poi continuare con inverosimiglianze, forzature nella "sceneggiatura", tipiche, per carità, del genere, ma eccessivamente fastidiose (una su tutte è l'esplosione finale), passando per dialoghi e battutine irritanti.
Il resto lo fa una regia che sulla carta dovrebbe essere l'unica scelta possibile. Molta POV, moltissima camera a mano e qualche camera fissa simil circuito chiuso di sicurezza, almeno per le sequenze movimentate. Eppure si rivela una scelta terrificante perchè in alcuni casi non si capisce una mazza e in altri spezza il ritmo, non aiutando quindi il montaggio frenetico. Insomma, un disastro.
Ma l'apice della "schifezzeria" si raggiunge nei segmenti di trama, quella poca che c'è. Parlavo di videogiochi prima, ecco avete presente quelle cut scene tra un livello e l'altro? Quella qualità pessima di recitazione legnosa, dialoghi orripilanti e scenette dirette da un anziano impaurito? Qui le ritrovate tutte. Incomprensibili zoomate degne della comunione del piccolo Simoncino, scambi di battute tra i personaggi che passano dall'infantile al fuori sincro (sembra parlino di cose diverse tra loro), evoluzioni della trama che lasciano a bocca aperta e occhi roteanti. E tutte le scenette e litigi tra riccastri, se non entrano nella storia del cinema, poco ci manca.
No, purtroppo ancora non basta. Manca il formidabile cast, composto da sconosciuti raccattati per strada. Gente che fa sembrare la recitazione hard di Sara Tommasi una vetta irraggiungibile. Sembra sempre che leggono da un gobbo nelle vicinanze e cosa ancora peggiore, che in Italia non si potrà godere, hanno dei seri problemi con l'inglese, perchè tutti parlano in maniera abbastanza strana, con diversi accenti bislacchi. 
Non funziona nulla in Freerunner, tanto da non riuscire neanche a far dire "potenziale mal sfruttato", perchè per materiale del genere, basta guardarsi dei video amatoriali su internet o giocare a un Mirror's Edge o uno Skate qualsiasi. La sensazione finale è proprio questa: ma vuoi vedere che questo doveva essere un gioco per consolle e non un lungometraggio? Il dubbio è più che plausibile vedendo il risultato finale.
In definitiva Freerunner è un prodotto giovanile di infimo livello, che può difendersi dietro il basso budget a disposizione (5 milioni di dollari però, mica pochi) ma fino a un certo punto. Un film degno della Asylum production (e guardate gli effetti splatterosi), un videogioco mancato. Una corsa breve e che può sembrare senza ostacoli, ma che, come gli idioti protagonisti della pellicola, deve complicarsi la vita rimbalzando su un muro, picchiando su un cassonetto, inciampando in una ringhiera e cadendo in una pozzanghera.
Ma magari!


Voto 4-

Ma non andate via subito di corsa a sciacquarvi gli occhi e a punirvi con il cilicio per accomunare nella memoria, la visione al dolore, perchè a fine film c'è anche una scenetta extra del tutto inutile e deprimente. Come affondare ancora meglio il coltello nella piaga.

venerdì 13 luglio 2012

L'immondo profondo #5: Le nuove Scream Queen


Questa settimana faccio un po' il paraculo e vi propino il classico riempitivo, una bella classifica, anche se più che una classifica sarà un elenco, perché faccio davvero fatica a mettere in ordine di preferenza queste belle e talentuose donzelle. Ebbene si, oggi si parla di donne, di scream queens per l'esattezza. Per tutti quelli che non sanno cosa significa o non ci sono arrivati per intuito, la scream queen è la protagonista o comunque uno dei personaggi principali di un film horror, in poche parole l'urlatrice, la vittima sacrificale che non può far altro che urlare disperata di fronte alla creatura mostruosa di turno. Con il tempo però l'espressione è slittata verso un significato più ampio, ed è passata ad indicare in modo generico il personaggio femminile principale, anche quando il personaggio in questione è più carnefice che vittima.
Pare che il titolo Scream Queen sia stato usato per la prima volta nei confronti di Fay Wray, la protagonista femminile del King Kong del 1933, mentre l'espressione nella sua forma più ampia viene solitamente collegata a Barbara Steele che nel 1960 interpretò la vendicativa strega Asa in La Maschera del Demonio, esordio alla regia di Mario Bava.
L'argomento è stuzzicante, e probabilmente ci tornerò in una delle rubriche successive, magari per dedicare un po' di spazio anche alle scream queen del passato. Per ora accontentatevi di quelle contemporanee, ho scelto attrici abbastanza conosciute, quindi anche i non appassionati di horror dovrebbero trovare qualche volto famigliare.


Angela Bettis
















Di lei vi ho già parlato nella rubrica su Lucky McKee.
Non è proprio un'attrice famosissima ma magari qualcuno di voi se la ricorda in Ragazze Interrotte dove interpretava una paziente anoressica. Nel mondo dell'horror ha partecipato a un paio di schifezze, un remake televisivo di Carrie e ai due film di Lucky McKee di cui parlavo l'altra volta.
Il più rappresentativo dei due è sicuramente May, qui Angela è perennemente al centro della scena e si accolla un ruolo veramente tosto, probabilmente se gestito diversamente sarebbe sfociato nel grottesco involontario, invece lei se la sbriga benissimo, è divertente, adorabile e tremendamente inquietante. Probabilmente il successo del film è quasi tutto merito suo, non avrei mai pensato di commuovermi guardando un horror.
Secondo me è un'attrice che sa rappresentare benissimo la fragilità, ed effettivamente questa è una caratteristica che accomuna un po' tutti i suoi personaggi.


Sara Paxton














Vi ho già parlato anche di lei, quindi sarò breve.
Se come me vi siete macchiati dell'orribile crimine, l'avrete già vista in Superhero – Il più dotato dei supereroi, o in un'altra delle vaccate adolescenziali televisive e non a cui ha partecipato.
Ultimamente si sta dando all'horror, ma anche qui non si può dire che abbia molto criterio. Ha recitato nell'infame remake di L'ultima casa a sinistra e nell'altrettanto infame Shark Night 3D, a noi però interessa il film tra questi due, Innkeepers di Ti West.
Immaginatevi la solita biondina dal volto angelico che compare negli horror scadenti per attirare gli allupati, ecco, ora riducete la sua femminilità ai minimi termini, levatele il make-up, accorciatele i capelli, vestitela da maschiaccio e trasformatela in una nerd impacciatissima e senza ambizioni. Non so di chi sia l'idea ma lei è fenomenale, le serve solo un regista competente alle spalle, quindi spero che per il futuro si dia una regolata.
Una scena memorabile:



Sheri Moon Zombie















Immagino che lei non abbia bisogno di troppe presentazioni.
E' la moglie del musicista/regista Rob Zombie che fortunatamente la piazza in tutti i suoi film, anche i più orridi. E' stata Baby Butterfly nei bellissimi La casa dei 1000 corpi e La Casa del Diavolo e ha interpretato la madre di Michael Myers nei due dimenticabili Halloween.
Al primo impatto potrebbe sembrare la classica sventolona messa lì tanto per gradire, e in un certo senso lo è, ma poi apre la bocca ed inizia a muoversi e non te la dimentichi più. Sexy e divertentissima:



Mary Elizabeth Winstead














E va bene sarò onesto, lei è qui solo per il suo bel visino. Nah non è vero, e comunque non è colpa sua, o si ? Insomma è colpa di chiunque le scelga i ruoli, perché a parte Grindhouse il resto è quasi tutta spazzatura (parlo solo di horror e affini ovviamente).


Melissa George














Uh lei mi piace molto, è un po' freddina e come attrice mi ha sempre lasciato del tutto indifferente, per non dire peggio, ma ultimamente la sto rivalutando parecchio, se non altro per le scelte professionali degli ultimi anni, in particolare per Triangle e A lonely place to die (prendete nota).


Pollyanna McIntosh












Lei è qui solamente per The Woman, un film solo ma un'interpretazione che vale per tre. Una femminilità prorompente e animalesca messa al servizio di un ruolo difficilissimo e interamente basato sulla fisicità. Credo che poche attrici avrebbero accettato una parte del genere, e comunque non so quante sarebbero riuscite ad affrontare la cosa con il giusto distacco. Eppure lei è lì, perfettamente naturale, sporca, nuda, incatenata ad un muro, mentre mangia da una ciotola sotto gli occhi straniti di un'allegra famigliola.