martedì 28 maggio 2013

Filmbuster(d)s - Stagione 2 - Episodio 4

Nell'episodio 4:
Chiacchieriamo sui film presentati a Cannes negli ultimi giorni del Festival (Jarmusch, Polanski, Payne, Gray) e massacriamo senza pietà La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino

[00:00:30] News varie
[00:18:00] Cannes
[00:43:10] La Grande Bellezza











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lunedì 27 maggio 2013

Il bianco e il nero #39: I protagonisti del noir - La femme fatale

loc. sost. f. inv. Donna fatale, affascinante e perfida seduttrice.
Prendi una donna con un passato scomodo e un uomo senza un futuro. Come per ogni grande uomo, non esiste un noir senza una donna dietro. Paradossalmente, uno dei generi più sessisti, vede tra le sue colonne portanti proprio il genere femminile. 
Dei tre tipi di donna del noir (gli altri sono la moglie devota e la fidanzatina/brava ragazza), la femme fatale rappresenta il più diretto attacco alla tradizionale femminilità e al nucleo familiare. Si rifiuta di interpretare i ruoli di mogliettina perfetta o madre amorevole che la società le impone. Trova che il matrimonio sia confinante, privo di amore, privo di sesso e sciocco, e usa così tutta la sua astuzia e la sua carica sessuale per ottenere una totale indipendenza.
Solitamente non viene vinta dall'amore per l'eroe di turno, lei è l'eroina, o per lo meno si sente tale. Non ha bisogno di aiuto, non lo cerca, anzi, anche davanti alla propria autodistruzione, preferisce affrontarla in solitudine che costringersi a supplicare l'aiuto di un uomo.
La classica femme fatale ricorre all'omicidio per ottenere la libertà da una relazione insopportabile con un uomo che cerca di possederla e imprigionarla, come se lei fosse un semplice oggetto, di sua proprietà. Nei noir le donne sono spesso rappresentate in tale modo, ricchi premi, laute ricompense, oggetti del desiderio. In Situazione pericolosa tre uomini discutono di una donna, uno dice "Le donne sono tutte uguali" e un altro gli risponde "Bè, bisogna averle attorno, sono un'equipaggiamento standard"". Questa attitudine, che prevede che siano appunto un'equipaggiamento standard è ben compreso dalle stesse donne che si sentono intrappolate da mariti o amanti e da un istituzione -il matrimonio- che permette questo trattamento possibile. Per la femme fatale il matrimonio è quindi sinonimo di noia, infelicità e assenza di desiderio sessuale o di amore romantico.
Phyllis Dietrichson (Barbara Stanwyck) in La fiamma del peccato descrive la sua relazione con il marito, in questa maniera "E' come se lui mi guardasse. Non che gli importi, non più almeno. Ma mi tiene al guinzaglio, così stretto che non mi lascia respiro". Questo dialogo avviene in casa, nel salotto, luogo ogni sera di interminabili ore e spazio comune di due persone che si odiano e non si possono sopportare. L'omicidio è l'unico modo per togliersi le catene, ed è causato dalla mancanza assoluta di attenzione e di affetto da parte del compagno.

Altrettanto spesso accade che queste giovani e bellissime donne sono sposate con uomini vecchi, brutti e/o malfermi. Come Cora (Lana Turner) in Il postino suona sempre due volte, o Rita Hayworth in Gilda e La signora di Shangai o la stessa Phyllis.
E così l'eroe di turno, il protagonista della nostra storia, giovane, fuori dagli schemi, appetibile, rappresenta sia una via di fuga che un valvola di sfogo, sia un amore fugace che un mezzo per raggiungere la propria indipendenza. La femme fatale non ama, usa, non può legarsi a un uomo, non in questa situazione per lo meno. Una volta che il nuovo maschio ha compiuto il suo scopo, viene appallotolato e buttato via, sennò il circolo si compirebbe di nuovo e si ritroverebbe in un altro matrimonio senza amore. Inoltre, il semplice tradimento del proprio compagno, rappresenta una trasgressione a cui è impossibile rinunciare. Una trasgressione che negli anni 40-50 era ancora particolarmente forte.
Altro segno della sterilità del matrimonio è la totale o quasi assenza di figli. Può capitare che esista una coppia con un figlio, sempre cresciutello, non piccolo, ma è evidente che egli è del marito che l'ha avuto da una relazione precedente, il che implica un'attività sessuale ferma al palo da molti anni.
La casa infine, il focolare, non fa che intensificare questa atmosfera di gelo e intrappolamento per la donna sposata. Le protagoniste camina e camminano da un lato all'altro del salotto, come fiere in gabbia, con una sola finestra, con tanto di inferriate, come unico occhio sul mondo esterno.
La messa in scena e l'illuminazione di questi ambienti, non fa che aumentare l'idea di trappole o di mausolei. Letti divisi, scale ripide e anguste, divisori che spezzano in due una sala - come se una parte fosse di lui e una di lei- o ancora ombre, buio, fumo. Case piene zeppe di ritratti troppo grandi, ninnoli, bocce per pesce; in una parola claustrofobiche.
Tutto questo è in ampio contrasto con l'idea di casa, sede di sicurezza, amore, calore e appagamento. Tutte queste cose, derivanti da un'unione felice e sana, sono assenti nei film noir.

Una donna indomabile. Il suo corpo, i suoi vestiti, le sue parole, le sue azioni, e la sua capacità di tenere lo sguardo della macchina da presa, creano un'immagine di grande carica sessuale che sfida i tentativi da parte degli uomini della sua vita, e del film stesso, di controllarla o di riportarla alla sua "corretta sfera" di donna.
Anche nei pochi film in cui lei è infine convertita in un ruolo più tradizionale, la violenza e la potenza della sua ribellione contro questo ruolo impostole supera questo cambiamento e nell'immaginario dello spettatore, rimane la donna terribile e sregolata che è stata in precedenza.
I film noir creano questa immagine di donna forte, senza freni, quindi tentano di contenerla distruggendo la femme fatale o convertendola a una femminilità più tradizionale. Ma la femme fatale non può essere piegata così facilmente - anche se questa è l'intenzione del film, il suo sporco lavoro è ormai fatto, riesce efficacemente a minare i valori della famiglia tradizionale, perchè le sue tragsressioni costituiscono un'immagine più duratura, nella mente dello spettatore, che piuttosto la sua punizione finale. Nonostante la punizione rituale di questi atti di trasgressione, la vitalità di cui sono dotati, produce un eccesso di senso che non può, infine, essere contenuto, smacchiato.
Cosa ricordiamo all fine del film? Una donna punita giustamente o una donna potente, libera, pericolosa?

La femme fatale riesce nel suo intento perchè è una fredda, cinica, calcolatrice e manipolatrice, ben a conoscenza dei suoi mezzi, e della sua bellezza. Non esiste la procreazione ma il sesso come mero mezzo per ottenere piacere, e l'uomo è solo un tramite. Il suo erotismo, non viene mai nascosto, anzi è la prima cosa che viene fatta notare -a volte è proprio il protagonista maschile, raccontando con un flashback, a mettere subito in luce le forme e sessualità della signorina di turno- tipica infatti è la ripresa dal basso, che indugia sulle interminabili gambe, sinuose e pericolose come una curva stradale.
Persino quando non è in scena, la femme fatale aleggia nell'aria, è una presenza irremovibile da ogni fotogramma della pellicola. Alcune volte, anche dopo la morte, rimane in scena, rimane nel film. In Vertigine, è sempre presente un enorme ritratto raffigurante la femme fatale, Laura (Gene Tierney). Il detective assunto per scoprire chi l'ha uccisa, non l'ha mai conosciuta, eppure se ne innamora, si innamora della sua immagine, della sua presenza. Il "ritorno dalla tomba" di Laura infine, è il completamento della sua affermazione del suo potere e della sua indipendenza.
Non sempre la femme fatale va incontro a un finale negativo per se e per il film. Vi sono alcuni esempi dove finisce per sottomettersi allo status quo e innamorarsi dell'eroe (La fuga (Lauren Bacall) o Una donna nel lago (Audrey Totter), che hanno in comune anche la particolare della soggettiva) ma come già detto, sono salvataggi all'ultimo minuto, che non cancellano la vera essenza dela donna che abbiamo conosciuto in precedenza.

Le sospettate.
Per aiutare voi e noi a individuarle, diramiamo ora una serie di identikit di possibili femme fatale. Non tutte loro lo sono, almeno non sempre, ma è meglio diffidare o quanto meno, sapere a cosa si va incontro. A volte è meglio correre il rischio e divertirsi con loro.

domenica 26 maggio 2013

La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino

Nelle sale dal 21 maggio e in concorso al 66esimo festival di Cannes.

Cara nonna Isotta,
ti scrivo questa lettera per raccontarti di quel mio viaggetto a Roma che ho fatto recentemente. Nella capitale c'ero stato molte altre volte, ma una volta in più non guasta mai, vero? Sono andato perchè tentato da questa offertona della Sorrentino Line, una compagnia di bus molto quotata anche all'estero che proponeva il pacchetto "La Grande Bellezza", comprendente un tour di due ore e mezza (ma che poi si sa, sono sempre di più) della città, con soste organizzate nei punti più famosi e in quelli più nascosti. Per 8-9 euro, dipende da chi fai il biglietto, e senza l'extra 3D che tanti ti piazzano dappertutto, mi sembrava un'occasione irrinunciabile.
Che poi, la Sorrentino, l'avevo già presa per un tour in America, un viaggione da New York allo Utah tipo, pure bello eh, perchè i paesaggi erano proprio da cartolina e la guida, era tanto simpatica, con quella faccetta un pò così, ma che alla fine del viaggio dicevi "Embè, ma tutto qui?". Insomma non è che ti lasciasse tanto dentro oltre quei bei scorci.
Siamo partiti di mattina e con me c'erano anche tanti romani che volevano provare l'ebrezza di vedere la città da turisti. Proprio loro sono sbottati quando sulla fiancata del pullman pronto a partire abbiamo intravisto una grossa scritta, diverse frasi tratte da Viaggio al termine della notte di Cèline. "Annamo bene, annamo, mò vuoi vedè che parlano di nuovo tutti i personaggi per aforismi come quel Divo", hanno commentato.
Prima tappa al gianicolo con tanto di colpo di cannone. Vedessi quanti giapponesi c'erano, tutti con la macchinetta, come te li immagineresti. Poi c'hanno portato a sta mega festa che più che un party pareva uno spot della Martini. In pratica a sta festa c'era tappezzato da tutte le parti -che dopo un pò dà pure fastidio- decadenza, persone vuote, dissolutezza, cafonaggine, barocco. Qui c'hanno presentato la nostra guida, Gep Gambardella, uno giornalista ex scrittore. La festa è sua, per i 65 anni. Gep c'ha la classica faccia da schiaffi, e anche di gomma, ma nonostante sia una faccia che si fa vedere un pò troppo e che non azzecca proprio sempre tutte le volte che decide di mostrarsi, è così bravo e simpatico che alla fine te lo fai piacere.
Gep si è presentato attaccando sin da subito con queste frasi, con questa filosofia spiccia, gigante tra i suoi invitati al compleanno. Cita grandi autori europei, Celine, Flaubert, Dostoevskij -"Hu come la Poline de Il giocatore!"- e le persone gli muoiono attorno come mosche, stecchite dalla sua magniloquenza.
Quando Gep partiva con le sue tiritere, rovinava tutto il gusto della nostra gita. Apriva queste enormi parentesi con cardinali, spogliarelliste, Isabelle Ferrari, artisti del cavolo, e noi che volevamo vedere Roma o per lo meno seguire il percorso organizzato -ma poi c'era?- dovevamo starci (stacce rmn.) e subire un altro pippotto. 
Sorrentino, presente, appariva ogni tanto, a ridestare il gruppo, facendoci scoprire punti inaccessibili di Roma, irrintracciabili, e a cospargere tutto di mistero, di surreale, anche quando non c'era alcuna necessità. Tutto bello da vedere, il bus volava sui tetti di Roma, poi andava anche sull'acqua del Tevere, ma sembravano più esercizi di guida, di stile, al punto da risultare inutili. 

Passavamo poi da una festa all'altra dove c'era sempre la stessa gente, le stesse facce, lo stesso vuoto e gli stessi problemi. Tutti infelici, tutti alla ricerca non tanto della bellezza ma della normalità, senza sempre dover apparire come qualcosa che non si è, e magari ogni tanto stare a casa a guardare la tv, piuttosto che andare d qua e di la a fare presenza. Io però alla terza festa di fila m'ero già rotto le scatole e sinceramente dei problemi dei ricchi cafoni me ne facevo anche a meno.
Perchè, abbiamo capito che vuoi renderli macchiette, delle maschere, esagerare i difetti, ma sembrava di assistere a un tour parodia, con attori da teatro sperimentale e dialoghi al limite della commedia dell'assurdo -"Oggi nel jazz va la scena etiope". E quando compare Dario Cantarelli, sei sicuro che sia una presa in giro. Tanto più che la cafona del gruppo, Romina, è la vera coscienza, l'unica a capire e condannare -co' 3 G.
Il viaggio proseguiva a strattoni nonna, sempre, non ci fermavamo mai troppo in un posto, saltavamo subito in un altro e lasciavamo persone e personaggi che dopotutto poco avevano da dire. Tutto questo sali e scendi dal bus, e inchioda, e parti, l'ho trovato insopportabile. Anche perchè quando Sorrentino voleva fermarsi a un angolo, tendeva a sottolineare didascalicamente alcuni concetti sui monumenti o sui personaggi, in maniera sufficientemente tediosa da far sbuffare tutti quanti.

giovedì 23 maggio 2013

Filmbuster(d)s - Stagione 2 - Episodio 3

Puntata tutta dedicata al Festival di Cannes!
Dopo il chiacchiericcio vario (c'è una parentesi videoludica improvvisata) e qualche news commentiamo i film presentati a Cannes fino a questo momento, con particolare attenzione alle reazioni e alle recensioni della critica.
Chiudiamo in bellezza con una recensione del film che ha aperto il Festival quest'anno, Il grande Gatsby di Baz Luhrmann.

[00:00:30] Chiacchiericcio videoludico
[00:07:40] News
[00:15:10] Cannes
[01:11:20] Il grande Gatsby






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martedì 21 maggio 2013

Dal nostro inviato speciale a Cannes: Quarta e quinta giornata

Giorno 4

Il quarto e penultimo giorno si inizia male, grossa anzi grossissima delusione per aver perso Inside Llewyn Davis. Per il resto ecco i film di questa giornata, domani vedró solo The Last Days on Mars di Ruairi Robinson e finirà lì la mia esperienza di quest'anno a Cannes.

Ain't Them Bodies Saints di David Lowery

Dopo un crimine finito male, due fuorilegge vengono arrestati. Lui (Casey Affleck) finirà in prigione, lei incinta (Rooney Mara) verrà rilasciata. Quattro anni dopo lui fugge di prigione tentando di ricongiungersi con lei e la figlia che non ha mai visto. Questa la premessa di questo Ain't them bodies saints, un buon film che però non eccelle in niente, la trama parte e prosegue senza particolari guizzi e i personaggi sono troppo poco abbozzati per creare un legame emotivo con loro, l'unico che sfugge alla regola è il poliziotto interpretato da Ben Foster (che è anche il miglior attore del trio dei protagonisti). Tenendo conto di anche una regia sì buona ma che non crea nessuna immagine memorabile ecco che si avrà un film comunque guardabile ma facilmente dimenticabile, d’altra parte però ha dalla sua almeno un’ottima colonna sonora.

Blind Detective di Johnnie To

Il titolo dice tutto, un detective diventato cieco indaga a modo suo su dei casi irrisolti da cui può guadagnarsi una taglia per vivere, la conoscenza di un'agente di polizia lo porterà ad indagare sulla sparizione di una bambina.
Il nuovo film di To si rivela essere niente di più di un filmetto per famiglie, leggero, pieno di buoni sentimenti e comico, sarebbe tutto ok se non fosse però che la comicità non è praticamente mai divertente e la recitazione degli attori è davvero troppo esasperata. Se si aggiunge una durata esagerata per questo tipo di film (due ore piene!) il risultato è un film altamente deludente che non riesce ad essere salvato nemmeno da qualche buona trovata registica.

Giorno 5

Quinto ed ultimo giorno per questa mia esperienza a Cannes, come anticipato oggi commenteró un solo film.

The Last Days on Mars di Ruairì Robinson

Mancano poche ore alla fine della prima spedizione umana su Marte, uno degli scienziati scopre un organismo cellulare e si dirige ad investigare il luogo in cui è stato trovato non sapendo che scatenerà una reazione a catena che porrà in pericolo di vita tutto l'equipaggio.
Film d'esordio per Robinson, questo sci-fi dimostra da una parte un'interessante approccio estetico ma viene affossato da una sceneggiatura superficiale che tratta la vicenda alla base della trama in modo banale senza mai approfondire niente e dando vita ad una minaccia che sa di già visto. Gli attori hanno poco materiale su cui lavorare e quindi si limitano a fare il proprio lavoro. Peccato perché, come già detto, la regia crea delle scene interessanti mischiando un modo di girare classico con dei tocchi da film indipendente e l'ambientazione spaziale è sempre affascinante, un'occasione persa.

[Sephiroth'88]

Qualcuno da amare - Like someone in love di Abbas Kiarostami

In sala dal 24 aprile. Eh che ritardo!
1999. Abbas Kiarostami è in vacanza a Tokyo. Una sera mentre sta tornando in albergo in taxi, a colpire la sua attenzione guardando fuori dal finestrino,  non sono le mille insegne luminose della capitale nipponica, ne i localetti pieni di vita, ma una giovane ragazza, seduta sul ciglio della strada, su un marciapiede. Indossa un tradizionale abito da sposa. E' rapito da quella immagine ma il taxi continua la sua corsa e vede la sposa piano piano scemare in lontananza dentro lo specchietto retrovisore. 
Anni dopo Kiarostami tornerà a Tokyo per la premiere di alcuni suoi film e ogni volta tenterà di ritrovare quella ragazza, ritornando in quella strada. Ovviamente non la vedrà mai più. Da quel dì gli è rimasto un vuoto dentro, il senso di un incontro avvenuto ma mai proseguito o completato. Da qui, diciamo, nasce l'idea del suo nuovo film.
Diciamo, perchè dietro c'è in realtà un bell'assegnone con tanti yen e tanti zero. Secondo film di fila in trasferta per l'esiliato regista iraniano (prima era in Toscana per Copia conforme) per la prima volta in estremo oriente. La trama si riassume in due righe. Akiko è una giovane ragazza che si prosituisce per guadagnare qualche soldo. Una sera deve andare a casa di Watanabe, un simpatico vecchietto, con cui alla fine non combina niente. Nasce però tra i due un rapporto di amicizia e di reciproco aiuto nel nascondere e nel perpetrare alcune bugie. Come quella di nascondere a Noriaki, il fidanzato di Akiko, il vero lavoro della ragazza. Quando però la verità viene a galla, le cose volgono al peggio.

Kiarostami vende un film di maniera, ma privo di contenuto al suo fedele pubblico, che platealmente abbocca e ringrazia. Allo spettatore senza paraocchi, o senza un debito di eterna gratitudine verso il regista per i precedenti ottimi lavori, però Qualcuno da amare si rivela in tutta la sua pochezza.
Registicamente è senza dubbio interessante, dato che i 100 minuti e rotti del film di esauriscono in circa 6 macrosequenze dense di dialoghi, dove i movimenti della macchina da presa sono limitati al minimo come il dinamismo dei personaggi o l'evolversi della trama o gli ambienti. Mattone? Niente affatto, il tempo vola e in men che non si dica siamo già alla parte finale (che è stata scritta dal regista per prima. Il film si sarebbe dovuto chiamare The end). Un immersione totale nelle vicende dei protagonisti, nelle loro chiacchiere senza contenuto, talvolta, che fa perdere totalmente il senso del tempo e dello spazio. Ma c'è chi ha spento Somewhere, molto simile, dopo 10 minuti, quindi parlo a titolo personale.

lunedì 20 maggio 2013

Il bianco e il nero #38: Il noir, una piccola guida.

. agg. Di genere letterario o cinematografico che racconta storie paurose, raccapriccianti e violente, ambientate in atmosfere tenebrose; di romanzo, racconto o film appartenente a tale genere; in it. nero.
Recentemente ho preso coraggio, e portafoglio, e mi sono deciso a comprare il mio primo libro fotografico. Con questo particolare tipo ho sempre avuto un rapporto contradditorio; da una parte non li ho mai voluti, sono solo foto, le posso trovare online, cosa me ne faccio, costano troppo, dovrei esporli ma non sono poster o quadri. Dall'altra li volevo tutti, sempre bellissimi, con foto magnifiche e introvabili ovunque, stampati su formati enormi e con carta patinata profumata e avvolgente. E quindi ne ho preso finalmente uno. 
Si tratta di Il noir di Alain Silver e James Ursini a cura di Paul Duncan (edito da Taschen, leader del settore). E' un libro meraviglioso con all'interno un centinaio di foto sui set/di film noir dagli anni 30 ai primi anni 60. Una gioia per gli occhi. D'altronde, rimanendo nell'ambito cinema, penso che il noir insieme alla fantascienza sia il genere che merita di più un libro fotografico.
Non è solo composto da foto tuttavia, ma ci sono anche alcuni esaustivi capitoletti che raccontano e spiegano cos'è questo genere semi morto, versatile come pochi e poco conosciuto. Tutto ciò mi ha dato l'ispirazione per una serie di episodi di questa rubrica per analizzare ed approfondire il noir, passando da un'approfondimento di tutti i sotto generi, ai suoi protagonisti e protagoniste, dai suoi luoghi, ai suoi elementi principe, e poi i suoi registi, i suoi esempi più fulgidi fino al noir oggi. Spero vi interesserà.
Fine premessa e introduzione.

Che cos'è il noir?
Sopra vi ho messo una definizione da dizionario (ormai chi va più a guardare quei grossi e polverosi libri? Nell'epoca di wikipedia, di yahoo answer di tutto il resto) ma non restituisce a pieno quello che il noir è veramente e soprattutto la sua complessità. Se ne sono dette di tutti i colori a riguardo: è una variante del
poliziesco; è una variante si ma solo americana, massimo francese; è una variante del giallo; vede per protagonista sempre il cattivo o un anti eroe; no, vede protagonisti i buoni o degli anti eroi; si ma sottoforma di un detective privato...etc... Diciamo che è tutto questo e che nessuna di queste esclude le altre.
Il noir, che con il francese ha in comune pressoche nulla, è un genere prettamente americano nato agli inizi degli anni 40. Le sue radici sono profonde e molteplici, dal punto di vista letterario il genere ha attinto a piene mani da opere di giallisti hard-boiled (semplificando, branca del giallo, spesso con protagonista un detective, perchè di genere deduttivo) come Hammet (Il falcone maltese), Chandler (tutta la serie con Marlowe), Cain (Il postino suona sempre due volte), Goodis (Non sparate sul pianista) e Woolrich (La sposa era in nero). Ma altrettanto significativa è stata l'influenza di scrittori naturalisti come Zola o Hemingway, soprattutto per i dialoghi e la prosa schietta ma poetica.
Sul piano formale invece l'unica influenza determinante fu l'espressionismo tedesco con il suo chiaroscuro, le inquadrature distorte e le figure simboliche. Non sorprende che i valori dell'espressionismo fossero assorbiti da questo movimento cupo e oscuro, ma ha certo avuto un peso il fatto che i più grandi registi del noir classico - Lang, Preminger, Siodmak, Wilder, Ulmer, Tourneur, Renoir- fossero emigrati dall'Europae avessero lavorato in Francia e Germania dove per oltre un decennio i movimenti artistici dominanti erano stati il realismo poetico e l'espressionismo. 
Terza ma non meno importante influenza fu la grande diffusione negli anni 30 e 40 dell'esistensialismo e della psicologia freudiana. Entrambe le teorie erano incentrate tanto sull'assurdità dell'esistenza che sull'imprescindibile ruolo giocato dal passato nelle azioni dell'individuo e trovarono terreno fertile in una nazione messa in ginocchio dalla depressione economica prima e dalla seconda guerra mondiale poi; due temi fondamentali del noir, il fantasma del passato e il fatalismo, attingono direttamente a queste fonti.

domenica 19 maggio 2013

Il grande Gatsby di Baz Luhrmann

Nelle sale dal 15 maggio

Mi cavo subito il dente: Baz Luhrmann non lo reggo proprio, lo trovavo estremamente sopravvalutato già prima del disastroso Australia, e in generale ho sempre faticato a considerarlo un buon regista, forse perché il suo talento si manifesta quasi esclusivamente nella regia interna alla scena, quindi nella gestione delle coreografie e in tutto ciò che riguarda la costruzione dello sfondo, mentre il resto mi ha sempre lasciato un po' freddino.
Non è quindi con il migliore degli atteggiamenti che mi sono avvicinato alla sua ultima fatica, Il grande Gatsby (in 3D!), adattamento di uno dei grandi classici della letteratura americana, che, consciamente o inconsciamente, asseconda il recente interesse di Hollywood nei confronti dei grandi romanzi del passato (vengono in mente I Miserabili e Anna Karenina).
Siamo nei ruggenti anni '20, e l'aspirante scrittore Nick Carraway (un pessimo Tobey Maguire) si è appena trasferito a Long Island (nella fittizia West Egg). Accanto alla sua modesta casetta sulla spiaggia si erge la colossale villa di Jay Gatsby (Leonardo Di Caprio), giovane e misterioso miliardario di cui tutti sanno tutto e nessuno sa niente. Un giorno Nick viene finalmente invitato ad una delle leggendarie feste del suo vicino di casa, e qui scopre un vecchio legame tra sua cugina Daisy (Carey Mulligan) e Gatsby. Sarà proprio Nick a far rincontrare i due innamorati, ma gli anni sono passati e Daisy ormai è sposata con Tom (Joel Edgerton).
Quando si parla di rifacimenti, che li si consideri remake o nuovi adattamenti (questo per Gatsby è il quarto), la domanda è sempre la stessa: se ne sentiva la necessità ? La risposta è quasi sempre no, eppure ogni tanto capitano anche pellicole che fanno crollare qualche certezza, come l'Anna Karenina di Joe Wright, che giustificava la sua esistenza con una messa in scena originalissima e una regia fenomenale.

Dal nostro inviato speciale a Cannes: Terza giornata

Giorno 3


Ed eccoci al terzo giorno di resoconti. Soddisfazione del giorno: vedere Refn presentare Jodorofsky. E poi stringere la mano a Jodorowsky e ricevere l'autografo di Refn.


Soshite Chichi ni Maru (Like father, like son) di Kore-Eda Hirokazu


Cosa succede quando vieni a sapere che tuo figlio di 6 anni in realtà non è figlio tuo ma è stato scambiato dall'ospedale con quello di qualcun'altro? Cosa crea una famiglia? Il legame o il sangue? È questa la premessa su cui si basa questo film giapponese, un soggetto che suona banale ma che viene sviluppato in modo perfetto, senza scadere in modo eccessivo nel dramma ma anzi trattando il tema in modo sensibile e delicato. Contornato da ottime interpretazioni (specialmente da parte dei bambini) e da dei personaggi scritti ottimamente, il film si sviluppa senza far perdere interesse allo spettatore e facendolo immedesimare nella situazione vissuta dai protagonisti. Sicumente una piccola perla da tenere d'occhio per evitare che venga persa nel mare di altri film piú importanti.


For Those in Peril di Paul Wright


Un ragazzo di un piccolo paesino scozzese si imbarca in una nave di pescatori (tra i quali c'è anche il fratello), la nave scompare e lui è l' unico sopravvissuto ritrovato. Osteggiato dagli abitanti che lo incolpano per la scomparsa della barca e perseguitato dalla morte del fratello tenterà di tornare a vivere la propria vita. Ecco la premessa di questa piccola opera prima scozzese che racconta una storia di base interessante ma realizzata imitando troppo lo stile registico di Malick e complicandola eccessivamente con delle scelte di regia che sembrano fatte piú per mostrare quanto il regista sia figo che per un vero e proprio significato preciso. Il film inoltre sarebbe risultato sicuramente piú intetessante e scorrevole con una narrazione normale e senza un finale inutilmente criptico.


La Danza de la Realidad di Alejandro Jodorowsky


Biografia famigliare e storica secondo Jodorowsky.
Dopo dieci anni dal suo ultimo lungometraggio Jodorowsky torna alla regia con un film che mischia autobiografia e storia con il suo stile assurdo e surreale. Per due ore si assiste ad un viaggio che ci porterà in svariate situazioni paradossali e con protagonisti personaggi unici in una giostra di costumi, scenografie ed effetti speciali colorati e fuori di testa. Lo stile puó spiazzare all'inizio ma appena si entra nella giusta mentalità sarà impossibile non apprezzare questo film.

[Sephiroth'88]

sabato 18 maggio 2013

Dal nostro inviato speciale a Cannes: Seconda giornata

Giorno 2

Rieccomi qua con il resoconto veloce di questa seconda giornata, dopo una prima in generale piuttosto soddisfacente in questo secondo giorno ho visto un gran bel film ed un altro piuttosto deludente.

Tian Zhu Ding (A Touch of Sin) di Jia Zhangke

Il film è diviso in quattro storie separate tra loro ed inizia bene con la prima storia, ben diretta e ben costruita andando subito dritta verso il suo punto focale. Le altre tre storie, al contrario, si dilungano troppo non riuscendo a costruire il giusto pathos e spesso non riuscendo nemmeno a raggiungere una degna conclusione. Non bastano quindi una buona regia (che crea anche scene interessanti) e alcune buone interpretazioni a salvare un film che per 3/4 delle sua durata sguazza nella noia.

Le Passé di Asghar Farhadi

Il regista di A Separation torna a parlare di famiglie e di legami e segreti che uniscono le persone in questo suo nuovo film, ora ambientato in Francia. La trama viene sviluppata molto bene, forse la prima parte si prende un po' troppo tempo per presentare i personaggi e la loro situazione ma la seconda ripaga con un'ottima risoluzione della vicenda e dei bei colpi di scena. Registicamente è molto solido e le recitazioni di tutti gli attori sono impeccabili (specialmente quella di Berenice Bejo, secondo me una possibile candidata al premio di miglior interpretazione femminile), sicuramente un film da tenere d'occhio.


[Sephiroth'88] 

venerdì 17 maggio 2013

Dal nostro inviato speciale a Cannes: Resoconto della prima giornata

Come preannunciato, ecco il primo di vari aggiornamenti flash dal nostro inviato speciale Christian:

Giorno 1

Ecco qua il resoconto del primo giorno di questa mia annata a Cannes, primo giorno piuttosto piovoso e quindi terribile, di seguito delle brevi recensioni dei film visti quest'oggi, per quelle piú dettagliate scriveró altro al mio ritorno.

The Congress di Ari Folman

Ottimo film, che si divide in due parti piuttosto diverse, creando un senso di spaesamento anche grazie alla fusione tra sequenze reali ed animate. Bellissima la parte iniziale che mischia critiche agli studios e alla figura dell'attore divo sempre giovane e bello. Dopo questo inizio "reale" il film sfocia in una parte animata molto allucinata e si aggiungono tratti di fantascienza distopica. Un esperimento piú che riuscito dunque per il regista di Valzer con Bashir, che alla sua prima produzione in lingua inglese evita di commercializzarsi e diventa quasi piú estremo.
Innumerevoli le citazioni a persone e personaggi famosi nella parte animata, che riprende il design tipico dell'animazione anni '30.

The Bling Ring di Sofia Coppola

Film discreto, niente di particolare e niente che si distacchi troppo da quello che si vede nel trailer. Dei ragazzi rapinano delle case e vengono beccati, punto. La pellicola registicamente merita e il montaggio iniziale è fantastico ma la storia prosegue in modo troppo ovvio e i personaggi risultano appena abbozzati. Una mezza delusione da Sofia Coppola che avrebbe potuto trattare il tema in modo meno superficiale, che si sia fatta contagiare dalla mentalità dei ragazzi protagonisti?

Fruitvale Station di Ryan Coogler

Tratto da una storia vera, questo film (già vincitore di due premi al Sundance) parla di un ragazzo di 22 anni che tenta di risollevare la propria vita dopo essere stato in carcere e di come tutto cambierà per sempre una notte di capodanno. La vicenda viene trattata in modo molto asciutto, senza perdersi in troppi fronzoli e riesce ad emozionare grazie a delle ottime interpretazioni. Non mancano alcune banalità ma tutto sommato il risultato è molto apprezzabile.

[Sephiroth'88]

mercoledì 15 maggio 2013

Filmbuster(d)s - Stagione 2 - Episodio 2

Puntata bella ricca in occasione della Festa del Cinema. Parliamo delle critiche spietate a Le Streghe di Salem, diciamo qualcosina sui film della settimana scorsa (Il Cecchino e Effetti Collaterali) e poi ci buttiamo sui film in sala in questi giorni.

[00:01:14]News
[00:06:50]I postumi di Le Streghe di Salem
[00:19:00]La mastectomia di Angelina Jolie
[00:22:50]Il Cecchino e Effetti Collaterali
[00:26:40]L'uomo con i pugni di ferro
[00:44:10]No - I giorni dell'arcobaleno
[01:02:40]Confessions
[01:17:35]La Casa






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martedì 14 maggio 2013

No - I giorni dell'arcobaleno di Pablo Larrain

Nomination agli Oscar 2013 come Miglior Film Straniero
Vincitore della Quinzaine des realisateurs a Cannes 2012

Cile 1988, le ormai insostenibili pressioni internazionali spingono il governo guidato dal presidente Augusto Pinochet ad indire un referendum. Dopo un'assenza di democrazia durata oltre quindici anni il popolo cileno è chiamato a votare: può dire si ad altri otto anni di Pinochet, o può finalmente dire no ad una dittatura che si è macchiata dei peggiori crimini immaginabili. Una scelta semplicissima, e apparentemente una storia altrettanto semplice da raccontare.
Pablo Larrain, già conosciuto e premiato per Tony Manero (2008), decide di portarla sul grande schermo passando per l'opera teatrale The Referendum di Antonio Skarmeta e concentrando tutta l'attenzione sulla campagna elettorale che cambiò la storia del paese.
René Saavedra (Gael Garcia Bernal), ambizioso pubblicitario figlio di esiliati, viene coinvolto nella realizzazione degli spot elettorali di quindici minuti che verranno mandati in onda ogni notte nel periodo del referendum. Ma le sue idee moderne non convincono i politici, invece di approfittare dello spazio concesso per denunciare gli orrori della dittatura, René preferisce mostrare agli elettori il Cile di un futuro possibile, attraverso l'estetica patinata e artificiale della nuova comunicazione televisiva.
Un film sulla storia quindi, ma anche e soprattutto sul potere delle immagini. E forse proprio per questo che Larrain ha la geniale intuizione di girarlo con una telecamera U-Matic del 1983 (da qui il formato dell'immagine in 4/3) recuperata con l'aiuto del direttore della fotografia Sergio Armstrong. No ha infatti tutte le caratteristiche del mockumentary, una ricotruzione meticolosa della campagna elettorale del 1988 documentata nella stessa forma delle immagini televisive dell'epoca (film e immagini di repertorio si confondono perfettamente), a metà tra un pedinamento neo-realista e un film del Dogma 95.

lunedì 13 maggio 2013

Il bianco e il nero #37: La volta in cui Natalie andò a fare un giro in barca

"At night, when the sky is full of stars and the sea is still you get the wonderful sensation that you are floating in space" .

7 luglio 2012. Il fascicolo n° XXXX (no il numero non lo so) con nome Natalie Wood poco sotto, viene riaperto da un impiegato di un ufficio di polizia di Los Angeles. Su richiesta del medico legale Lakshmanan Sathyavagiswaran (vi sfido a ripeterlo 3 volte senza errori), pochi mesi prima era stato riesumato il cadavere della famosa attrice per ulteriori controlli "in seguito all'emersione di non meglio identificati nuovi elementi".  Il medico ha ravvisato segni mai notati prima sulle braccia, sul collo e sulle gambe della donna, e ha deciso di cambiare il certificato di morte, attribuendo il decesso ad "annegamento e altre cause non definite". In sostanza, Sathyavagiswaran non se la sente di escludere la possibilità che la donna sia stata aggredita prima di cadere in acqua. Boom! Lo scoop del secolo. 
Vi siete persi? Non sapete di cosa sto parlando? State ancora cercando di ripetere il nome del medico? Urge un riassunto e soprattutto molte spiegazioni. Perchè è molto strano che un cadavere venga riesumato dopo 31 anni (e ancora più strano è che ci sia ancora della carne attaccata, visto che il medico ha trovato segni e lividi sul collo e sulle gambe. In formalina da 31 anni?) e perchè la morte della donna avvenne in una situazione che alimentò dubbi fin dal principio. 

29 novembre 1981. Isola di Santa Catalina, la più grande dell'arcipelago delle Channel Islands. Situata a pochi kilometri di distanza dalla costa californiana e qualcuno in più dal confine messicano. E' un paradiso in terra e meta di fughe di molti divi dello star system hollywoodiano. Basta prendere il proprio yacht ancorato a Los Angeles e dopo qualche decina di minuti ritrovarsi in un oasi di pace, sole e mare.
Da qualche ora, li in zona, si erano appena concluse le riprese di Brainstorm generazione elettronica di Douglas Trumbull, un filmetto di fantascienza che ha ottenuto fama nei successivi anni non certo per la sua qualità intrinseca ma per il motivo di cui vado a parlare. Alcuni membri del cast hanno deciso di fermarsi qualche giorno e godersi una piccola vacanza. L'attrice principale, Natalie Wood e il suo collega e amico Christopher Walken, decidono di chiamare il marito di lei, anch'esso attore, Robert Wagner e gli dicono di raggiungerli e portarsi dietro lo Splendour (nome preso dal film Splendore dell'erba, il preferito da Natalie tra quelli da lei interpretati) il mega yacht di famiglia di 55 piedi. 
Seguono momenti di gioia insieme, tra risate e scherzi, tipico di una compagnia gioviale. Fino alla serata del 28 novembre e le prime ore del giorno successivo. Quella sera il gruppo scende a riva per festeggiare il giorno del ringraziamento in un ristorante. Bevono moltissimo, come ricordano alcuni testimoni, e Natalie flirteggia con Walken, causando un mezzo litigio. Dopo risalgono a bordo dello yacht, ancorato nel porto.
La notte Natalie si sveglia, cammina su e giù, da poppa a prua e viceversa, forse perchè il sonno le era passato o forse nel tentativo di ritrovarlo. All'improvviso, probabilmente perchè ancora alticcia, scivola e cade in acqua. Non è chiaro cosa succede subito dopo, e approfondirò a breve. Verso mezzanotte e venti, il capitano Denis Davern si accorge che manca il dinghy (una piccola scialuppa di 12 piedi) ma non si scompone. Alle 3.30, Wagner chiama la guardia costiera quando si accorge che Natalie non c'è. Le ricerche durano fino alle 7.30 quando gli elicotteri trovano il corpo a qualche centinaio di metri di distanza.
Dobbiamo tornare ancora un pò indietro prima di approfondire al meglio la nottata.

domenica 12 maggio 2013

La Casa di Fede Alvarez

Nelle sale dal 9 maggio

Vi ricordate com'è andata l'ultima volta che un regista di successo ha appioppato un film horror ad un esordiente dopo aver visto un suo cortometraggio ?
Ecco, è successo di nuovo, o meglio, è successo prima: nel 2009 il trentacinquenne uruguaiano Fede Alvarez realizza il cortometraggio Panic Attack (http://www.youtube.com/watch?v=-dadPWhEhVk), in cui un guppo di giganteschi robot sbuca fuori dalla nebbia che circonda Montevideo e distrugge la città, una cosina minimalista con una computer grafica a basso budget che sorprende.
Il corto fa il giro della rete e finisce sotto il naso del geniale Sam Raimi, che decide subito di affidare a Fede Alvarez la regia e la sceneggiatura del remake di The Evil Dead (1981), e qui vorrei aprire una parentesi: il cortometraggio di Alvarez è sicuramente simpatico e ben fatto, e sicuramente l'occhio tecnico di Raimi è più allenato del mio, ma di progetti altrettanto validi in rete ce ne sono milioni; insomma se io fossi un grande regista, seduto davanti al pc a guardare video mentre accarezzo il mio gatto bianco, non credo che affiderei il remake di un mio classico al primo che passa, anzi, l'idea di un remake non mi passerebbe neanche per la testa, ma questo è un altro discorso...
In realtà le cose sono più complicate, Raimi all'inizio contatta Alavarez per trasformare Panic Attack in un lungometraggio (come per Mama, brr...) ma per ragioni diverse il progetto viene rimandato a data da destinarsi. L'idea di un remake de La Casa entra in gioco qui, quasi come ripiego, quindi l'idea romantica di un Raimi toccato da ispirazione divina che affida la sua creatura più cara a uno straniero venuto dal nulla è un po' da ridimensionare.
Chi mi legge ormai dovrebbe sapere quanto io aborrisca il concetto di remake, soprattutto in campo horror, praticamente è il peggiore dei presupposti possibili. Ma questa volta era diverso, ci ero cascato anche io, dietro Alvarez c'erano la mano esperta e l'ombra rassicurante di Sam Raimi.
Il riassunto della trama potrei anche risparmiarvelo, tanto l'originale La Casa lo hanno visto tutti, e chi non lo ha visto è un individuo triste che si trascina stancamente in un'esistenza grigia e senza scossoni. Ma qualcosa bisogna dirla, anche solo per prendere atto delle fondamentali novità introdotte dal giovane uruguaiano:

venerdì 10 maggio 2013

Dal nostro inviato speciale a Cannes: Introduzione

Nelle prossime settimane pubblicherò a nome mio una serie di interventi del nostro inviato speciale al Festival di Cannes. Oggi vi beccate un'introduzione generale al calendario delle proiezioni. [Intrinseco]

La parola a Christian:

Ancora una volta è quasi arrivato uno dei periodi da me più amati/odiati dell’anno, il Festival di Cannes. Amato perché al Festival si respira un’aria che non trovo da nessun’altra parte (e Cannes è una bellissima città) e odiato perché mi aspettano poche ore di sonno ed ore e ore e ore (e ore e ore) di lunghissime code per assistere a proiezioni che spesso equivalgono ad una roulette russa, o sei fortunato e vedi un filmone o hai buttato il tuo tempo per vedere un film lento e pretenzioso all’inverosimile.
Ma facciamo un passo indietro, mi chiamo Christian (aka Sephiroth’88) e quest’anno sarò l’inviato speciale di Filmbuster(d)s al Festival di Cannes, quindi appassionati dei Busterds gioite perché avrete resoconti giornalieri da quel di Cannes per i giorni che vanno dal 15 al 20 maggio (tempo permettendo, ma cercherò di postare giornalmente anche solo commenti veloci) e, in seguito al mio ritorno, anche qualche recensione più dettagliata di alcuni film che vedrò.
Ho atteso fino ad ora per presentarmi per un motivo preciso: stavo aspettando l’uscita del calendario delle proiezioni. Non potendo a partecipare al Festival nella sua interezza, prima di rivelarmi volevo sapere quali film avrò la possibilità di vedere e quali no, dunque lo scopo di questo articolo è proprio quello di farvi sapere in anticipo i titoli dei film di cui potreste trovare commenti o recensioni qui sul blog.
Il calendario è consultabile qui (http://www.festival-cannes.fr/assets/File/WEB%202013/PDF/Horaire_projections/Horaire%20Internet%202013_v2.pdf) e se siete curiosi potete dargli una sbirciata.
Passando a parlare dei film della selezione ufficiale vi anticipo che non riuscirò a vedere né quello di Sorrentino né quello di Refn (poco male però visto che comunque usciranno presto qui in Italia) e neppure quelli di James Gray e Jim Jarmush cui ero mediamente interessato. Il dispiacere più grosso però è rappresentato dal non poter vedere All is Lost di J.C. Chandor, film presentato fuori concorso su cui ero davvero molto curioso visto che è recitato dal solo Robert Redford e si dice che non ci siano dialoghi per tutto il film.
Ovviamente spero invece di riuscire a vedere Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen e Le Passè di Farhadi, sugli altri mi dovrò un po’ informare visto che ne so poco o niente (Miike penso proprio di saltarlo tranquillamente dati i presupposti poco interessanti). Per Un Certain Regard punto su The Bling Ring, sperando non sia una puttanata, ma sono incuriosito anche dalla prima prova registica di James Franco. Anche nelle sezioni collaterali (Quinzaine e Semaine) sono presentati alcuni film di registi interessanti, tipo The Congress di Ari Folman; La Danza de la Realidad di Alejandro Jodorowsky; il documentario Jodorowsky’s Dune di Frank Pavich che parla del tentativo fallito di Jodorowsky di realizzare un film adattamento di Dune; The Last Days on Mars, primo promettente lungometraggio di Ruairì Robinson, regista di alcuni corti tra cui BlinkyTM; Ain’t Them Bodies Saints di David Lowery, già presentato con successo al Sundance, e sicuramente tanti altri film di registi poco conosciuti che mi sfuggono.
Più o meno sono questi sono i film più interessanti che ho notato nei giorni della mia presenza, ovviamente non riuscirò a vederli tutti (sarò troppo impegnato a fare code di ore) ma spero di vederne diversi e di raccontarvi una prospettiva del Festival diversa da quella del solito giornalista che si può leggere ovunque in rete. Per ora quindi è tutto, ci risentiamo da Cannes.

[Sephiroth'88]

giovedì 9 maggio 2013

Confessions di Tetsuya Nakashima

Nelle sale dal 9 maggio.
Ecco, quando ho letto questa cosa ho pensato a un errore o a un caso di omonimia. Ma io sto film l'ho vista da almeno due anni e mi ricordo che già ai tempi era uscito in Giappone da un pò, il tempo canonico per permettere di mettere online una versione pirata ma di buona qualità. Com'è possibile che quel Confessions, successo di pubblico e critica, messo da moltissimi nella top 10 del 2010 o 2011 esca adesso in Italia? Misteri della distribuzione, al solito. Dopo Hunger (trainato però da Shame) e gli occasionali Ghibli che ritornano in sala per sole 24 ore, come gli sconti sui siti di elettronica, ecco un altro esempio di film vecchio, già visto da tutti quelli che erano interessati, particolare ma lodato, che viene gettato in pasto al sozzo e becero pubblico italiano medio con una distribuzione a macchia di giaguaro stinto. Quanti andranno a vederlo? Per fortuna che la settimana della festa del cinema darà forse una mano e darà una mano a perpetrare questa politica insensata. Fine polemica.
Dunque si, io Nakashima lo conoscevo già (pfff io e Tetsuya? Così eh, così!) grazie alla mia perversione per le attricette giapponesi. Tutto nacque -si la faccio a mò di confessione così mi lego anche al film, che scrivere così fa tanto blogger di successo, dicono- quando buttai un occhio un pò vergognoso su Kamikaze girls con Kyoko Fukada (luv <3). Sembrava una vaccata, ragazzine-lolite con costumi rococò (no bè quello mi fa impazzire. I vestiti proprio), stile videoclipparo e fumettaro, umorismo infantile e spiccatamente nipponico. Non potevo partire con le peggiori aspettative. E invece fu subito amore, con successiva corsa a comprare il DVD e cercare più info possibili su questo geniale e folle regista.  
Appresi con gioia che non era al suo primo film, anzi era uno navigato e potevo quindi godermi subito le altre sue pellicole più famose, Memories of Matsuko, il suo cult, e appunto Confessions, nuovo di pacca. Lodato dal mondo intero per il suo stile a metà tra un manga e uno spot pubblicitario, Nakashima nasce proprio dal secondo campo e per molto tempo è rimasto famoso solo per le sue accattivanti  pubblicità-e qui dovrei mettere un link a una di esse ma non le trovo. Amen.
Si ma parlaci di Confessions che già è vetusto se poi la meni ancora un pò.
Da oggi (3 anni fa NDR) la cattiveria ha un nome, Confessions. Raramente ne ho vista tanta tutta concentrata in una sola pellicola. Deprimente, senza via di scampo, sconsolante, cattivo, spietato. Una virata decisamente dark per il definito Jeunet dagli occhi a mandorla, qui molto più Haneke like. Catalogabile sotto revenge movie, è un dramma-thriller psicologico che lascia atterrito e schiacciato qualsiasi spettatore, incapace di trovare una singola, minima, dose di bontà o di felicità per 108 minuti circa.

Un'insegnante sta facendo lezione come tutti i giorni e come tutti i giorni la classe non se la fila. Allora inizia a parlare della sua vita privata, dell'ex compagno malato di AIDS, con cui ha avuto una figlia anni prima. I due si sono lasciati proprio perchè lui non voleva rischiare di infettare la piccola, nata sana. Racconta di come la bambina, pochi giorni prima, sia stata trovata morta in piscina, affogata. La polizia ha detto che è stato un incidente, ma lei, grazie a qualche indizio trovato e qualche particolare (e soprattutto a una confessione) ha scoperto che è stato un omicidio, commesso da due dei suoi alunni. Come vendetta, dato che la legge minorile giapponese li tutela e dopo una piccola inutile punizione li reintegra nella società, dice di aver inserito del sangue sieropositivo nel cartone di latte dei due, che si sono appena slurpati con gioia. E questo è solo l'inizio, "solo" i primi 30 minuti. 
Potrebbe benissimo essere la fine di un agghiacciante thriller e invece è la partenza. Una serie di confessioni, una dietro l'altra, di persone coinvolte si susseguono. Ognuna portatrice di un pezzetto di verità. Centrali sono i due killers e il modo in cui reagiscono, in maniera diametralmente opposta, alla vendetta dell'insegnante. Ma è solo una iniziale fase per la via alla redenzione.

mercoledì 8 maggio 2013

L'uomo con i pugni di ferro di RZA

Nelle sale dal 9 maggio.
La scritta "Consigliato/prodotto da Quentin Tarantino", un ex wrestler e un pò di azione vi bastano per correre al cinema? Allora non potete perdervi questa pellicola. Ancora di più perchè...rullo di tamburi! E' la festa del cinema! E tutto costa solo 3 euro. Una festa organizzata dai distributori italiani e non sorprende quindi il fatto che in questa settimana, dal 9-16 non ci sia granchè da vedere. Polemica a parte, -in fondo non è che non ci sia nulla, ma nulla di trascendentale di certo. Roba che merita al massimo 3 euro, si- il nostro consiglio è quello di esagerare. Andate, guardate di tutto, anche le peggio cose, fatevi due risate e festeggiate. Non penso la rifaranno più.
L'uomo con i pugni di ferro segna il debutto alla regia di RZA, produttore musicale, rapper (membro del Wu Tang Clan), attivista della scena statunitense (?) e legato a doppio filo all'amico Quentin. RZA ci prova e mette tutto se stesso, figurando come attore, produttore, sceneggiatore, regista e compositore in un progetto che gronda salsa di soia da tutti i pori, come la sua stessa carriera (Wu Tang omaggio ai film di arti marziali made in Hong Kong, anche se c'è una bella discussione sui tanti significati dell'acronimo, l'album di debutto, 36 chambers, chiaro riferimento a un cultone del genere, e poi le colonne sonore di Ghost Dog, Kill Bill vol 1 e 2).
Siamo nella Cina feudale, Thaddeus è un fabbro di colore giunto nel paesino di Jungle Village dopo aver ottenuto la libertà dal suo padrone in America. Il giovinotto è innamorato della bella Lady Silk, una prostituta all'interno del grande locale gestito da Madama Blossom. Insieme progettano di lasciare il paese e le loro umilianti professioni per ricominciare da zero altrove. Fino a quando una cassa piena d'oro porta nella loro zona diversi gruppi di guerrieri, mercenari, un signorotto inglese con un coltellone gigante e l'esercito dell'impero. Le loro vite e l'esistenza dello stesso villaggio sono in pericolo, si preannuncia uno scontro epocale fatto di lame, corpi muscolosi d'orati, super poteri, arti marziali e ovviamente pugni di ferro.
Aspetta. Un nero liberato dalla schiavitù, l'amore per una donna, un uomo straniero, europeo, che gli da una mano e dai modi eleganti ma al contempo brutali come un macellaio. Inoltre un epoca antica, in oriente e con una mitragliatrice che sta per arrivare. Sembra Django (uscito dopo, facciamolo notare). E sembra anche un mix di molta filmografia di Tarantino. E' importante? No.

domenica 5 maggio 2013

Il bianco e il nero #36: La diva e il gangster (e la figlia).

"Trash is something you get rid of - or disease. I'm not something you get rid of." Lana Turner.
Altro che Belen e Corona. Altro che un finto duro con mille tatuaggi e con la faccia da schiaffi. Altro che una finta diva con tanto di filmino osè visto da mezzo mondo. Una volta le cose si facevano seriamente. Eh ai miei tempi! Questa è la storia dell'amore, finito malamente, tra una delle più famose, chiacchierate e scandalose dive anni 40-50 e un vero gangster, uno che sparava, uccideva e rapinava le banche per davvero e che la prigione non l'ha mai vista perchè temuto da un intera città. Ma è anche la storia di una povera bambina, divenuta celebre suo malgrado, e si anche di Sean Connery e di un certo oscar.
Ah ma lo sapete che Lana Del Rey deve il suo nome d'arte proprio alla Turner? (Del Rey invece al modello Ford. Eh oh, a me Lana Del Rey piace un frego). Mentre To stomp in inglese significa calpestare, nomen omen.

Los Angeles, 4 aprile 1958, venerdì santo, sera, verso le 10-11. Siamo dalle parti di North Bedford Drive, zona Beverly Hills, dal numero civico 730 si sentono degli schiamazzi. I vicini neanche si lamentano o vanno a vedere cosa succede, ormai è la prassi, che sia pieno pomeriggio, mattina o sera come adesso. La lite è tra un uomo e una donna, una coppia che ha preso in affitto la casa qualche mese prima. Lei è una famosissima diva del cinema, mentre lui, sulla carta ha un negozio di articoli da regalo, ma in realtà è un semplice gigolò. Anzi, è un gigolò con la passione per il gioco d'azzardo. Anzi, è tutto questo ma è principalmente un ex gangsters, uno di quelli che ha ucciso parecchia gente, ex guardia del corpo personale di Mickey Cohen, il boss supremo di Los Angeles. 
Poco dopo squilla il telefono dell'avvocato di Jerry Geisler, il più famoso avvocato in città, con nel palmares clienti come Busby Berkeley, Erroll Flynn (si, la volta dello stupro), Robert Mitchum, Charlie Chaplin, la madre di George Reeves (si, poco dopo il suo suicidio) e molti altri. "Sono Lana Turner. È successa una cosa terribile. Può venire a casa mia?". L'avvocato esce di corsa di casa imbocca la North Bedford e arriva a casa dell'attrice. Gli viene aperto dalla donna, zampillante come una fontana. Tutta la camera da letto è sotto sopra e proprio li in mezzo, sul tappeto rosa, giace senza vita, con una enorme chiazza rossa sottostante, un uomo. In un angolo la figlia di Lana, Cheryl, sotto shock, bianca come un lenzuolo.
Dopo aver deciso bene cosa dire alla polizia e alla stampa, molto più importante chiaramente, vennero chiamati tutti quanti, compresa, massì, un'ambulanza. La causa della morte venne decretata come "pugnalata all'addome, che ha penetrato il fegato e l'aorta, provocando una massiccia emorragia".

Effetti collaterali di Steven Soderbergh

In sala dal 1 maggio.
Gli effetti collaterali di Effetti collaterali  possono essere il mal di testa o una generale difficoltà nella digestione anche nota come "dispepsia", effetti che sono stati riscontrati su un 10% degli uomini che hanno visto il film: sono dovuti al processo di vasodilatazione e hanno una durata compresa nell'arco di poche ore. In particolare, potranno presentarsi la prima volta che si vede il film, per poi scemare con il ripetuto uso dello stesso. No scherzo, questi sono gli effetti collaterali del Cialis. Si il farmaco che fa rizzare il pisello. No, il film di Soderbergh non fa rizzare il pisello. Almeno, non obbligatoriamente, non a tutti. No ecco basta, lo sanno tutti a cosa serve il Cialis smettetela di fare battute. Non l'ho mai preso!
Guardate alla vostra destra, poi alla vostra sinistra, ora in basso e ora in alto. Durante questo breve lasso di tempo Steven Soderbergh ha fatto un nuovo film. Ma come fa? Dove trova i soldi? E le idee? E il tempo? Negli ultimi due anni ce lo siamo ritrovato al cinema ogni weekend quasi, complice anche una distribuzione italiana talvolta in ritardo. Prima è arrivato Contagion , poi è spuntato fuori Knockout - La resa dei conti, poi il film che fa scappare i maschi e richiama gli arrusi Magic Mike, oggi esce Effetti collaterali, nel mezzo ci ha piazzato due progetti rimasti su suolo americano, oltre a qualche produzione o qualche collaborazione, come Side by side e tra meno dei due settimane lo ritroviamo a Cannes con il biopic su Liberace, Behind the candelabra.
Avendoli visti quasi tutti e avendo visto anche i precedenti lavori del regista, mi è balzato subito in mente un paragone, quello con Claude Chabrol. Tanti film, troppi, molti buoni, molti non buonissimi, nessun capolavoro (magari Chabrol uno si o quasi) ma neanche nessuna cagata pazzesca. Il classico regista che non riesci mai a lodare con tutto se stesso ma non riesci neanche a stroncarlo quando incappa in un brutto tiro. Tutti lo aspettiamo al varco da mo, e con la bilogia sul Che, sembrava finalmente essere arrivata la sua fioritura come autore (ma si, potrebbe già esserlo, essendo un termine così vago), ma i successivi lavori lo hanno rimesso nel limbo dei buoni con asterisco. Effetti collaterali mantiene la linea del buono ma.
Emily (Rooney Mara) è una ragazza depressa. Il marito (Channing Tatum al terzo film di fila con Soderbergh) sta scontando gli ultimi giorni in galera per insider trading, il motivo per cui hanno perso tutto; la villa al mare, la barca, le macchine, i soldi. Quando esce e tornano a essere una coppia, la felicità della donna non cambia. Dopo aver tentato il suicidio viene mandata da uno psicologo (Jude Law) che le prescrive diversi farmaci tra cui uno nuovo in prova. Tra gli effetti collaterali c'è il sonnambulismo e un giorno, immersa in questo stato, accoltella a morte il marito. Al processo viene dichiarata incapace di intendere e di volere eppure lo psicologo, eroso dal senso di colpa per averle prescritto lui quel farmaco, inizia a indagare e scopre che qualcosa nell'intera vicenda non va.

sabato 4 maggio 2013

Il Cecchino di Michele Placido

Nelle sale dal 2 aprile 

Con Placido ho un rapporto conflittuale, per non dire che non lo reggo proprio. E' un'antipatia a pelle che non saprei nemmeno spiegare, rivolta in particolare all'attore e al personaggio pubblico, quello che urla alle conferenze stampa perché qualcuno gli ha chiesto come si fa a girare un film sul '68 con i soldi di Berlusconi, e poi non so perché ma continuo ad associarlo al personaggio del divo paraculo che interpretava nel Caimano di Moretti.
Con il Placido regista invece non ho nessun rapporto particolare, o meglio, non lo avevo finché non ho visto Il Grande Sonno (il più criticato Vallazansca mi infastidì meno), tentativo goffissimo di fondere fiction e cinema politico che sfocia in una rappresentazione quasi parodistica del movimento studentesco.
Quando però ho saputo di questo Il Cecchino si è acceso un qualche interesse, un film di genere con un cast di tutto rispetto e una sceneggiatura in cui Placido non ha messo mano, per di più un polar (unione di poliziesco e noir) realizzato in Francia, da sempre terreno fertile per il cinema di qualità.
Ma vediamo di che si tratta: Nico (Luca Argentero) e la sua banda di rapinatori di banche sono inarrestabili, quasi venti rapine andate a segno in due anni. Alle loro costole c'è il capitano Mattei (Daniel Auteuil) pronto a farne una questione personale, ma ogni volta che li coglie sul fatto compare un misterioso cecchino (Mathieu Kassovitz) che fa piazza pulita degli agenti e permette ai criminali di scappare. L'ultimo colpo però va storto, Nico viene ferito e la banda deve improvvisare una precipitosa fuga a casa di un medico (Olivier Gourmet), ma qualcuno fa una soffiata alla polizia e il cecchino senza nome viene arrestato. Mentre il capitano Mattei tenta inutilmente di scoprire la sua identità, lui pianifica la fuga e la vendetta su chi lo ha tradito.