domenica 30 giugno 2013

Blood di Nick Murphy

Nelle sale dal 27 giugno.
Periodo infido per il cinema e lo spettatore l'estate. O non c'è nulla, o ci sono solo schifezze, o ci sarebbe anche del buon cinema, ma o non ce ne accorgiamo o non ci fidiamo, perchè mai dovrebbero far uscire qualcosa di buono nei mesi peggiori per gli incassi? Non saltate questi tre mesetti passando direttamente a settembre, ci siamo noi a dirvi cosa c'è da vedere. per esempio il fresco Blood DIRETTO da Nick Murphy e prodotto da SAM MENDES (maiuscolo come da locandina).
Basato sulla serie tv del 2004 di Bill Gallagher Conviction (e si nota dicono gli esperti), vede i fratelli e entrambi detective, Joe e Chrissie Fairburn alle prese con un orribile delitto. Nel locale skate park viene ritrovato il corpo stuprato e trafitto da decine di pugnalate della piccola Angela, 12 anni appena. I sospetti ricadono su Jason Buleigh, un ex pedofilo del luogo ora tutto casa e chiesa. Nonostante la sua posizione sia traballante e lo abbiano visto diverse volte in compagnia di Angela, viene scagionato per mancanza di prove. Dopo una serata culminata con una bella sbronza, Joe e Chrissie vanno a prendere Buleigh per portarlo sulle isole, una landa desolata lontana dal paese, dove faranno di tutto per farlo confessare. Ma il tentativo va terribilmente male e Joe uccide Buleigh in uno scatto di ira. Poche ore dopo si scoprono i veri colpevoli, ora il delitto in questione è cambiato e i due detective dovranno investigare sul delitto che loro stessi hanno compiuto.

venerdì 28 giugno 2013

Cha Cha Cha di Marco Risi

In sala dal 20 giugno.
Recentemente ci avete fatto notare come raramente recensiamo in maniera positiva il cinema italiano. Ci teniamo a ribadire che non è una questione di nazionalità, se è bello è bello se è brutto è brutto, aldilà che sia italiano o no, e ci tengo io, in questo caso, a sorprendervi, perchè ho trovato un film italiano appena uscito, che vale la pena di essere visto. E come avrete già capito è Cha Cha Cha di Marco Risi, un noir.
Corso (Argentero) un detetctive privato, ex poliziotto, da qualche giorno sta tenendo sott'occhio il figlio di una sua ex amante (Herzigova). La madre è preoccupata perchè il ragazzino è sempre più scontroso e misterioso, sospetta che possa essere entrato in un giro pericoloso. Corso non riscontra niente di strano fino a quando il teenager viene ucciso durante un incidente stradale (un suv nero distrugge la sua piccola minicar) molto sospetto. Avendo fiutato che qualcosa non va, come per esempio due figuri loschi che seguivano il giovane all'interno della discoteca, il detective inizia a fare qualche domanda e più scopre quanto marcio c'è sotto, più aumentano i cadaveri e la sua stessa vita viene ripetutamente messa in pericolo.

martedì 25 giugno 2013

Filmbuster(d)s - Stagione 2 - Episodio 6


Ultima puntata prima della pausa estiva, quindi salvo occasioni speciali (leggi Festival di Locarno) ci risentiamo a settembre.
Dopo la solita carrellata di news rispondiamo alle vostre graditissime richieste e poi passiamo subito ai film in sala nelle ultime settimane: Hates, Star Trek - Into Darkness, Stoker, Man of Steel e Tulpa.
Sono due ore belle piene, fatevele bastare per tutta l'estate!

[00:00:25] Chiacchiericcio vario
[00:07:30] News
[00:13:40] Le vostre domande
I film:
[00:58:00] Hates
[01:03:40] Star Trek - Into Darkness
[01:19:20] Stoker
[01:37:40] Man of Steel
[01:48:40] Tulpa


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lunedì 24 giugno 2013

Il bianco e il nero #43: Il delitto perfetto nel noir
La fiamma del peccato

Congiura e tradimento , amore e sesso, omicidio e delitto perfetto -sono i punti cardine del noir e gli elementi della trama de La fiamma del peccato. Di certo il delitto passionale o quello per interesse sono concetti che vantano origini ben più antiche del noir, ma la loro simultanea presenza in questa pellicola ha indotto molti a considerarla la perfetta quintessenza del genere. Che tuttavia assai di rado ritrae la perfezione; si assiste molto più spesso al fallimento di aspiranti criminali.
Speciale La fiamma del peccato, spoiler free ma magari è meglio se l'avete visto.

Lo squallore de La fiamma del peccato attinge a varie fonti ispiratrici: a una prima impressione il film sembra riconducibile all'omonimo racconto di James M. Cain, apparso per la prima volta a episodi sul periodico Liberty tra il '35 e il '36. Ma non bisogna dimenticare il primo romanzo di Cain, Il postino suona sempre due volte del 1934, un racconto di morte e delitti che somiglia molto al successivo. Ma prima ancora di pubblicare il libro d'esordio -un trattato dal titolo Our governement- lo scrittore lavorava come reporter per il New York World, ed era uno dei tanti a seguire il sensazionale processo a carico di una coppia, Ruth Snyder e Judd Grey, due criminali falliti che si accusarono a vicenda e finirono sulla sedia elettrica.

sabato 22 giugno 2013

Tulpa di Federico Zampaglione

Nelle sale dal 20 giugno

Di Shadow (il secondo lungometraggio di Federico Zampaglione) ho sempre cercato di vedere soprattutto i lati positivi: un giovane regista italiano tornava ad esplorare i territori semidesertici del nostro cinema horror. Il risultato era tutt'altro che memorabile ma se paragonato a pellicole amatoriali come Il Bosco Fuori sembrava addirittura oro colato, e poi, a prescindere dalla qualità dell'opera, in Italia si tornava finalmente a parlare di cinema di genere fuori dalle solite nicchie. Insomma forse Zampaglione aveva smosso qualcosa, o forse no, fatto sta che qualche anno dopo viene annunciato il suo Tulpa, un giallo di stampo argentiano scritto nientemeno che da Dardano Sacchetti, tra le altre cose sceneggiatore di vari film firmati Bava, Fulci e Argento. Il sogno erotico di molti appassionati si stava realizzando.
Lisa (Claudia Gerini) vive una doppia vita, di giorno è una donna d'affari che ha sposato il suo lavoro, di notte frequenta l'esclusivissimo club Tulpa, luogo in cui uomini e donne si incontrano nel più completo anonimato per realizzare fantasie sessuali più o meno estreme. Ma gli amanti di Lisa cominciano a morire uno dopo l'altro per mano di un assassino mascherato (com'è tradizione nel gliallo all'italiana) che li sottopone ad orrende mutilazioni.

venerdì 21 giugno 2013

Stoker di Park Chan-wook

In sala dal 20 giugno.
Sembra una tappa obbligatoria per tutti i grandi registi international (come li chiamano gli americani) quella di andare a Hollywood a fare uno o più film, prima o poi nella propria carriera. Nonostante tutto il mondo li conosca e li adori, sentono che manca questo ultimo passaggio, quasi di rito, per essere finalmente arrivati e Grandi con la g maiuscola. E soprattutto l'Asia negli ultimi anni, dopo essere stata saccheggiata dagli Stati Uniti con remake sul versante horror, è stata la più colpita da questa "campagna acquisti" o "scouting talents". Tra i primi ci fu John Woo, che è quello rimasto di più (ben 6 film), poi Kitano (il fallimentare Brothers) fino addirittura a Wong Kar-wai (Un bacio romantico, amato o odiato dai suoi fans senza mezze misure). Recentemente è diventata la Korea la cinematografia più interessante del continente, grazie a un'industria in grado di sfornare centinaia di film all'anno, moltissimi buoni e soprattutto di tutti i generi, dal dramma alle commedie, dai film di guerra agli horror. Il primo a fare il salto, non molto tempo fa, è stato Kim Ji-woon (I Saw The Devil, Il buono, il matto e il cattivo) con l'action The last stand. Adesso tocca a Park Chan-wook regista di culto con la sua celeberrima Trilogia della Vendetta (Mr. Vendetta, Lady Vendetta e Old Boy, remake di Spike Lee in arrivo) a tentare la fortuna -o a farsi una vacanza- con Stoker.
Il giorno del suo 18esimo compleanno, India Stoker, perde il padre Richard per un tragico quanto strano incidente mentre era lontano da casa. Il giorno del funerale si presenta Charlie, lo zio giovincello, di ritorno dall'Europa, mai conosciuto ne visto dalla ragazza. Rimane in casa per un pò, in modo da consolare la vedova affranta Evelyn e conoscere la famiglia. Se India è strana -non parla quasi mai, non si trucca ne si veste come una ragazza della sua età, non ha amici e non vuole essere toccata, Charlie lo è ancora di più. Nessuno sa nulla su di lui ma lui sembra sapere tutto di tutti. Nasconde un segreto, anzi, più di uno.

martedì 18 giugno 2013

Il diavolo è tornato, al cinema.
Speciale 40esimo anniversario de L'esorcista (1973-2013)

L'Esorcista, il capolavoro horror di William Friedkin, domani 19 giugno, compirà 40 anni - in Italia, uscito il 4 ottobre 1974, trentotto e spiccioli. 

Per festeggiare il compleanno di questo filmazzo, capace ancora oggi di spaventare, inquietare e far star male, ecco 40 e dico 40 curiosità, che molto probabilmente non sapete e che vi renderanno la visione al cinema (o a casa) molto più piacevole e intrigante. Godetevele sono senza spoiler.

40- Inizio regalandovi un sunto della recensione negativa che fece Elio Maraone (un super cagacazzi), critico cinematografico per il quotidiano L'Avvenire il 24 settembre 1974, il giorno dopo la prima per i soli giornalisti. Come certamente saprete L'Avvenire è un giornale che adora i film con il diavolo.
"Il regista sembra aver imboccato, dopo un buon inizio, la lucrosa strada dei "supercolossal", Mai però si era prestato a un'opera così schiava del mercato e destituita di senso. A meno che il film non sia una metafora dell'America del Watergate e del cattivo Nixon da esorcizzare [...] ma il finale è troppo ambiguo per una simile interpretazione. Sembra che il regista voglia dire più volte che se facciamo errori la colpa non è nostra ma del diavolo. Punta tutto su effettacci come vomito verde e occhi che strabuzzano o comunque su un turpiloquio di bestemmie, elementi lontani dall'obbiettivo ricercato da molti horror". E meno male!

39- Ellen Burstyn accettò di prendere parte al film a condizione che venisse tolta la linea di dialogo del suo personaggio "Io credo nel diavolo!". I produttori acconsentirono.

38- John Boorman avrebbe dovuto dirigere il film ma rifiutò perchè lo riteneva troppo crudele nei confronti dei bambini. Diresse però L'esorcista II - L'eretico. Ah i soldi e il successo....

37- Audrey Hepburn sarebbe dovuta essere Chris MacNeal, la mamma di Regan. Era la prima scelta di Friedkin e i produttori erano pienamente d'accordo, ma Audrey aveva una sola condizione, che il film si girasse a Roma. Anche Jane Fonda e Shirley MacLaine (il personaggio di Chris era basato su di lei) vennero provinate. Anne Bancroft invece rifiutò perchè nel primo mese di gravidanza.

36- Mercedes McCambridge è la voce del demone che possiede Regan. Prima fece causa alla Warner Bros per averla messa nei crediti, poi cambiò idea. Non voleva essere menzionata perchè la Blair era candidata all'Oscar e sapere che non era lei a fare la voce del demone avrebbe cancellato le sue chances di vincere, e fu così infatti.

35- La versione che vedrete al cinema e che trovate ora in DVD e Blu Ray è diversa da quella originale del 1973. Oggi siamo molto fortunati e possiamo goderci la Extended version o Director's Cut che dir si voglia, contenente la famosa camminata del ragno di Regan sulle scale e alcuni frammenti, inserti, nella pellicola che mostrano, fra le altre cose, il volto del demone. Con altre scene estese o tagliate, si raggiungono 10 minuti circa extra.

lunedì 17 giugno 2013

Il bianco e il nero #42: I sottogeneri del Noir - Caper e Evasione

Generi a sè stanti, sottogeneri, poco importa, queste due tipologie di film sono entrate nella vasta famiglia del Noir agli inizi degli anni 50, quindi con una decina d'anni di ritardo. Due generi separati, ma se vogliamo contigui -il primo potrebbe benissimo finire dove il secondo inizia- con protagonisti dei piccoli criminali, all'aria aperta o tra le costringenti sbarre di un penitenziario.
Lo schema del caper (che deve il suo nome molto probabilmente dal termine italiano capriole, ovvero quelle che devono fare i protagonisti per fuggire dalla polizia) è abbastanza semplice: si inizia con un piano, ordito da un uomo, magari un esperto, magari un ex criminale che ora vuole tornare in gioco per problemi finanziari. Raduna qualche amico, qualche collega e speiga cosa vuole fare, una rapina. Inizia quindi il reperimento di informazioni, armi, esplosivi, altri esperti in alcuni campi, l'osservazione del luogo, delle guardie, del sistema di sicurezza e chiaramente la progettazione del piano di fuga, a colpo compiuto. Secondo atto rappresentato dal colpo in se. Molta tensione, niente va mai come stabilito, scontri a fuoco e la fuga. può andare bene, può andare male -ma se è un noir.... La conclusione dipende, bisogna spartire il bottino, ci sono litigi, si crede di essere al riparo e invece, o alcune volte si scopre di essere stati raggirati e quindi di aver rischiato la vita per nulla. Uno schema classico e riconoscibile, ma non sempre fisso.

Il primo.

domenica 16 giugno 2013

Into Darkness - Star Trek di J.J. Abrams

Nelle sale dal 12 giugno

Dopo avere resettato la saga con il reboot del 2009, J.J. Abrams torna a mettere le grinfie sull'universo fantascientifico creato da Gene Roddenberry nel lontanissimo 1966.
Into Darkness (dodicesimo film della saga) si apre con un bell'inseguimento spielberghiano su un pianeta sconosciuto, Kirk (Chris Pine) sta scappando da un popolo di primitivi a cui ha rubato una pergamena e Spock (Zachary Quinto) sta piazzando una bomba in un vulcano per evitare una catastrofe naturale.
Fughe rocambolesche, esplosioni colossali e battutine fuori luogo, per una volta si corre addirittura il terribile rischio di divertirsi, e invece no, il titolo è Into Darkness e bisogna essere cupi, quindi dopo il primo di molti tagli repentini eccoci sulla terra, dove Kirk si becca il solito cazziatone perché è un incosciente e uno spericolato. E' un deja vu, con queste cose ci avevano già ammorbato nel film precedente, e poi non erano state proprio quelle doti a portarlo all'attenzione della Federazione e sulla poltrona di comando dell'Enterprise ?
Poco importa, quest'ultima bravata è la poverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Kirk si becca uno scappellotto, viene degradato e perde il comando dell'Enterprise... per non più di quattro secondi, perché il pericoloso terrorista John Harrison (Benedict Cumberbatch) ha lanciato un attacco alla Federazione e ora si nasconde su Kronos, pianeta natale degli ostili Klingon.

sabato 15 giugno 2013

La Casa alla fine della strada di Mark Tonderai

Nelle sale dal 13 giugno.
Anche conosciuto come Hates - House at the end of the street.

La neo divorziata Sarah e sua figlia diciassettenne Elissa si trasferiscono dalla chiassosa e pericolosa Chicago in una piccola cittadina della provincia americana, immersa nei boschi e nel buon vicinato. La nuova casa è un vero sogno, giardino enorme, due piani, tutta in legno e lontana da rumori fastidiosi. L'unico problema è che confina con un'altra casa, che credevano disabitata, dove anni prima furono commessi atroci delitti. La figlia dei vicini, in un raptus omicida, ha ucciso i genitori e poi il suo corpo non è stato più ritrovato ma si crede sia annegata nel fiume vicino. Ora il suo inquilino è l'altro figlio Ryan, lontano dalla famiglia quando avvennero i fatti. Tutti in paese lo deridono o ne hanno timore, ma Elissa scopre che in realtà è un ragazzo timido e delicato e tra i due scatta la scintilla dell'ammore. E poi parte il colpo di scena.
Oh prima o poi Jennifer Lawrence un film doveva sbagliarlo (ai tempi delle riprese, 2010, non era ancora la diva del momento e il fatto che il film esca proprio ora è un vero colpo mancino), non è che poteva rimanere immacolata a vita. Certo X Men non è che sia un vanto o Hunger Games un capolavoro, ma erano pop corn movies al limite della tolleranza. Stavolta no, è inciampata (dopo gli Oscar) in un horror semplicemente insignificante. Sarà difficile quindi raggiungere le canoniche 30-40 righe, abbiate pietà.
Non è neanche un brutto film, ma è noioso e si, insignificante, non c'è un altro aggettivo che gli stia meglio.
Tenta di fare l'occhiolino a Psycho unendo il suo Norman Bates a Michael Mayers e dandogli la faccia di un imbecille (l'attore Max Thierot). Il torpore in cui è sprofondato lo spettatore si "interrompe" quando i ragazzi del liceo picchiano a sangue e senza senso il nostro Ryan, la classica scena dove il buono viene margnolato e tutti soffrono per lui, ma quando si ribella e spacca giù tutto, viene visto come un pazzo isterico e soprattutto violento. "Oh stavamo scherzando, ma tu hai voluto calcare la mano".
Ecco che finalmente la storia inizia, peccato (o per fortuna) che sono passati già 60 minuti e ne mancano solo 30 circa, hanno perso troppo tempo. E giù di corsa con il colpo di scena suddetto -neanche tanto prevedibile, almeno in parte, anche se odorante di clichè in ogni dove- e un finale abbastanza troncato.
In effetti, noia a parte, i primi due atti, non sono neanche male, se non fossero così statici, e fanno presagire una soluzione finale gagliarda. Invece rimane piatto, non si scompone e rotola fino al traguardo.

mercoledì 12 giugno 2013

Behind the Candelabra di Steven Soderbergh

Solo sul canale via cavo americano HBO, il 26 maggio.
UPDATE: nelle sale italiane dal 5 dicembre.
In concorso a Cannes 2013.

"Un film troppo gay!". Non è un mio giudizio, ma quello di tutti i produttori americani in qualche modo contattati dal regista Steven Soderbergh. Un'opera dalla gestazione infinita, iniziata addirittura nel 2008 -anzi, a dir la verità a inizio millennio con Philip Kaufman alla regia e Robin Williams come Liberace- e interrotta ufficialmente nel 2010, quando Michael Douglas, il protagonista, iniziò i trattamenti per curare il suo cancro alla gola giunto al quarto stadio. E poi la riluttanza dei boss di Hollywood a portare sul grande schermo un film simile. "Ero stranito. Tutto questo accadeva poco dopo Brockeback Mountain -ricorda Soderbergh- e questo film è molto più divertente di quello. Non capivo, non aveva alcun senso".
Questa è l'America, quella dei matrimoni gay -sulle coste- e quella omofoba più che mai -quella tra le coste. D'altronde una pellicola del genere, non poteva che suscitare scalpore.
E' un partial biopic di una delle icone gay più famose del 20esimo secolo e uno degli showman, pianisti più talentuosi di sempre.  Wladziu Valentino Liberace in scena solo Liberace, per gli amici Lee. Era un artista fuori dal comune, un talento esorbitante e una presenza scenica insuperabile. Vestiva con abiti tutti intarsiati di diamanti, con lunghi strascichi, anche di 5 metri, saliva sul palco con una Rolls Royce bianca tutta ingioiellata e alle dita portava anelli grossi quanto la testa di un bambino. Poi si metteva a suonare, -un piano molto più simile a una gioielleria che a uno strumento, con un grosso candelabro di cristallo sopra- e il divertimento e la magia iniziavano. 
Liberace era omosessuale ma lo aveva sempre negato. Tutto il suo entourage fece di tutto per nascondere i suoi amanti occasionali, le sue scorribande nei negozi porno e le sue vivaci tendenze. Addirittura si inventarono una donna della sua vita, che lui in realtà odiava. Era palesemente gay, anche solo per come vestiva, ma l'America gli credeva "Liberace dice di non essere gay, eh!".
Intorno al 1977 conobbe Scott Thorson, veterinario/addestratore per animali per il cinema, di 23 anni. Da principio divenne una delle sue cotte e uno dei suoi amanti stagionali, in seguito divenne una figura centrale per lui, il vero amore. Fino a quando, circa 7 anni dopo, tutto finì e si lasciarono bruscamente. Nonostante tutto quello che successe, Scott e Lee, rimasero estremamente legati, fino alla morte del pianista, nel 1987 a 68 anni (si, Liberace aveva circa 40 anni in più del suo bambolo).

domenica 9 giugno 2013

Il bianco e il nero #41: I sottogeneri del Noir - Il Docu-noir

Ok, fin qui semplice. Riconoscere un film noir sembra un gioco da ragazzi. Abbiamo capito lo stile, le riprese, gli elementi principali e i suoi protagonisti. Quindi quando manca qualcosa delle cose appena elencate non è un noir, o meglio, magari ne può mancare uno o due ma non di più, giusto? Sbagliato. 
E' ben più complicato di quanto sembra. Per esempio, una sorta di documentario, può essere un noir, un classico film di evasione (letteralmente) lo potrete trovare catalogato sotto noir, idem per certi drammi storici o quei film che hanno tutto per essere dei gialli ma che invece non lo sono. Va bene, l'ho detto, non è semplice -e forse neanche importante, anche io non amo molto catalogare e etichettare- ma nelle prossime puntate cercherò di rendere la nebbia meno fitta analizzando i sottogeneri e dedicando alcuni numeri interi a un film particolare per volta, quelli che mai avreste giurato che sono noir.
Oggi tocca al docu-noir, a metà tra un film e un mockumentario.

Una delle caratteristiche del noir è proprio quella di essere terra terra, realistico, di parlare di cose concrete e reali e quindi di parlare del quotidiano, della società in cui viviamo ogni giorno. Certo il lato oscuro, quello che non vediamo, quello che si nasconde nel sottosuolo, che esce la notte e che si nasconde nei vicoli bui. 
Molto spesso dentro queste pellicole c'è una amara quanto sincera analisi sociologica e antropologica, degna di un documentario. Non è un caso che queste pellicole fossero viste malamente dai benpensanti, quelli dei telefoni bianchi, quelli con la paura dei rossi, quelli che guai criticare la pura e florida America.
E siccome questi erano una buona fetta di pubblico, anche le major (e ne abbiam già parlato) preferivano evitare di fare questi film "scomodi" e dall'incasso incerto e potenzialmente nullo.
Intanto in Europa una certa guerra stava finendo e il cinema tornava a respirare oltre che a far uscire i film realizzati sotto i bombardamenti e in gran segreto. Capolavori come Paisà (1946), Ladri di biciclette (1948), Germania anno zero (1948) e Roma città aperta (1945) raccontavano di un Italia distrutta dal conflitto mondiale e della difficile ripresa e ritorno alla vita normale. Girati con pochi soldi, in esterni -ovviamente impensabile girare negli studios- con attori non professionisti e con tecniche nuovissime, improvvisate, furono i primi grandi mattoncini de il neorealismo.
Quando arrivarono in America furono una piacevolissima scoperta. Si possono fare film, bellissimi, con due lire. Non siamo più schiavi di pubblico e produttori. Dopo l'espressionismo tedesco e il realismo poetico francese, il neonato genere americano viene così influenzato da una nuova corrente, il neorealismo italiano.

I noir cominciarono a distaccarsi dai romanzi, hard boiled e non, e iniziarono ad attingere da fatti di cronaca tratti da giornali, riviste e archivi aperti al pubblico. Le scene girate in studio vennero montate con quelle girate in esterni, nelle grandi città americane. In Chiamate Nord 777, ispirato a un articolo del Chicago Time, si narra la storia dle reporter P.J. McNeal (James Stewart), che tenta di difendere una donna delle pulizie il cui figlio è stato ingiustamente arrestato. Ne La città nuda (1948) il narratore riassume il tono documentaristico nella nota frase "Vi sono otto milioni di storie nella città, ed eccone una".

sabato 8 giugno 2013

The Bay di Barry Levinson

Nelle sale dal 6 giugno

Dopo il discreto biopic televisivo sul Dottor Jack Kevorkian (You don't know Jack, 2010) Levinson torna sugli schermi cinematografici ma non abbandona il cinema politicamente e socialmente impegnato, The Bay nasce infatti come documentario sulla baia di Chesapeake nel Maryland, luogo tristemente celebre già a partire dagli anni '70, quando il forte inquinamento industriale comincia ad uccidere lentamente la flora e la fauna locale, producendo di tanto in tanto qualche inquietante mutazione. Ma un disastro ambientale di proporzioni così grandi non passa certo inosservato agli occhi delle telecamere, così Levinson abbandona l'idea di realizzare l'ennesimo documentario sull'argomento e trasforma il tutto in un mockumentary horror (o catastrofico ?) a tema ecologista (dietro naturalmente c'è ancora una volta Oren Peli). Insomma siamo a Claridge, nel Maryland, la popolazione si riversa tutta nelle strade per festeggiare il 4 luglio tra abbuffate di granchi e rinfrescanti giochi acquatici. La giornata perfetta per una bella tragedia, e infatti molti abitanti del posto cominciano presto a manifestare strani sintomi, dolori lancinanti alla pelle e alle ossa anticipati dalla comparsa di strane bolle purulente su tutto il corpo (pare che nella realtà molti bagnanti si siano ricoperti di bolle simili, brr...). A documentare tutto c'è una giovane e goffa giornalista, che a qualche mese dalla tragedia tenterà di ricostruire i fatti insabbiati dal governo.

venerdì 7 giugno 2013

Paulette di Jérôme Enrico

Nelle sale dal 6 giugno.
Va bene, io c'ho provato. Ho provato a partire con più pregiudizi (negativi) possibili, a fare un pò lo snob, il superiore, avevo prontissima la matita rossa e non quella blu, volevo per una volta non fare l'entusiasta, ma non ce l'ho fatta. Dopo un tot di tempo sono stato vinto e ho ammesso la sconfitta. La Francia vince ancora, Paulette è l'ennesimo film tra il guardabile e il bellissimo di questa ultima decade. No, stavolta i risparmio il pippone "sono dei geni, fanno solo buon cinema, sono tutti belli, bravi e perfetti", la sto facendo troppo spesso, e neanche un impietoso paragone con il cinema italiano.
Paulette è una anziana signora rimasta vedova, da dieci anni esatti, dal suo Francois. Il florido risotrante che gestivano insieme è stato rilevato da un sushi bar gestito da giapponesi, vive in quei palazzoni fatiscenti della periferia parigina dove lei e circa il 10% degli inquilini sono di nazionalità francese, mentre il resto -parroco compreso- sono marocchini, algerini, magrebini, o comunque un generico africani. Paulette è razzista come poche. Li odia più che mai -parroco escluso che "si merita di essere un bianco"- e colmo dei colmi, sua figlia ha sposato Ousmane, un simpatico ragazzo di colore, da cui hanno avuto Lèo, più nero che bianco. 
La bisbetica vecchina, insopportabile, violenta e sboccata è rimasta senza un soldo in tasca, addirittura sono arrivati quelli del tribunale per l'esproprio e le hanno portato via mobili, tv e sedie. Giunta alla canna del gas, ma non per questo costretta all'umiliazione di mendicare, scopre per caso che nel suo palazzo si spaccia e alla grande, con cifre enormi alzate giornalmente. Grazie indirettamente a Ousmane, poliziotto, viene a scoprire chi comanda la zona, prezziario della roba e metodi di spaccio. Inizia così una scalata al potere e al benestare economico che manco Scarface e che la porterà a stare fianco a fianco con i "marronji" e "mangia banane" che lei odia tanto. Persino davanti ai problemi e alle lotte intestine, l'indomita vecchiaccia troverà come battere la concorrenza.

martedì 4 giugno 2013

Filmbuster(d)s - Stagione 2 - Episodio 5

Puntatona interamente dedicata all'ultimo meraviglioso film di Nicolas Winding Refn (così bello che Intrinseco si è un po' perso), e alle richieste che avete fatto sulla nostra pagina facebook.

[00:02:40] News
[00:16:30] Le vostre richieste e qualche parola su Tutti pazzi per Rose
[00:58:20] Solo dio perdona












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Tutti pazzi per Rose di Régis Roinsard

Nelle sale dal 30 maggio.




TITOLO ORIGINALE: Populaire.
SCENEGGIATURA: Régis Roinsard, Daniel Presley, Romain Compingt.
ATTORI: Romain Duris, Déborah François, Bérénice Bejo.
DISTRIBUZIONE: BIM.
PAESE: Francia 2012.
DURATA: 111 Min.


OGGETTO: Tutti pazzi per Rose è un film delizioso.

ALL'ATTENZIONE DI: amanti del buon cinema.




Trama: Primavera 1958. Rose Pamphyle, 21 anni, vive con il padre, un burbero vedovo che gestisce una drogheria in un piccolo villaggio della Normandia. Deve sposare il figlio del meccanico e le si prospetta un futuro da casalinga docile e applicata. Ma Rose non vuole questa vita. Parte per Lisieux, dove Louis Échard, 36 anni, carismatico proprietario di una compagnia di assicurazioni è alla ricerca di una segretaria. Il colloquio è un fiasco. Ma Rose ha un dono: lei batte a macchina a un velocità impressionante. La ragazza risveglia l'ambizioso atleta che dorme in Louis... Se vuole il lavoro, lei dovrà partecipare ad una gara di velocità di battitura. Non importano i sacrifici che dovrà affrontare per arrivare in cima. Louis s'improvvisa suo allenatore e decide che farà di lei la più veloce battitrice del paese se non del mondo! E l'amore per questo sport non necessariamente si concilia con l'amore stesso...

Commento: No no, non fatevi fregare dal titolaccio italiano, dalla locandina, dal trailer o dal vostro intuito. Non è un film romantico. Certo l'amore c'è ed è centrale, ma è un altro genere. Eh si, è un film sportivo. Ne ha tutti, e dico tutti, gli elementi. L'atleta (Rose) che deve vincere per mantenere/tenere/ottenere qualcosa (il lavoro), gli allenamenti estenuanti con un montaggio musicale, l'ex atleta ora allenatore che le insegna tutti i trucchi del mestiere, i primi fallimenti, la super campionessa stronza, gli scontri e i litigi tra allievo e maestro, un atleta con uno stile particolare (il dito singolo fulmineo) da ammaestrare e tanto tanto tifo da parte dello spettatore.
Impossibile rimanere comodi in poltrona, quando Rose affronta gli avversari di maggiore calibro, ci si alza sulla poltrona in piedi e si applaude, si urla, si fa la ola. 

lunedì 3 giugno 2013

Solo dio perdona di Nicolas Winding Refn

Nelle sale dal 30 maggio

Vorrei poter dire "io lo conoscevo già quando ancora non era famoso!", ma sarebbe una bugia, in realtà, come molti, ho cominciato a conoscere ed apprezzare Nicolas Winding Refn soprattutto grazie a Drive. Certo mi ci ero già avvicinato con Bronson e Valhalla Rising, ma è stata l'ultima sua fatica a far scoccare definitivamente la scintilla, il film che ha fatto innamorare praticamente tutti, a partire dal pubblico e dalla giuria del Festival di Cannes, che nel 2011 lo hanno accolto con una standing ovation per poi consacrare definitivamente l'autore con il premio per la miglior regia.
Quest'anno le cose sono andate abbastanza diversamente, dopo la proiezione di Only god forgives il pubblico si è diviso tra timidi applausi e qualche sonoro fischio, e Refn non si è portato a casa niente.
Del film se ne parla da mesi, e fino a poco prima dell'uscita era quasi circondato da un alone di leggenda, alimentato dalle dichiarazioni del regista che lo descriveva di volta in volta come un film di arti marziali ambientato a Bangkok e come un omaggio a Se sei vivo spara, spaghetti western diretto da Giulio Questi. L'unica certezza era che Refn era scappato a Bangkok, un po' come i suoi personaggi protagonisti:
Julian (Ryan Gosling) e Billy sono fratelli, americani migrati o forse fuggiti in Thailandia per gestire una palestra di Thai boxe che funge da copertura ad un vasto traffico di droga. Una notte Billy si mette sulle strade di Bangkok in cerca di compagnia femminile, e dopo aver contrattato con una prostituta minorenne la massacra senza pietà. Il padre della ragazza si presenta sul posto e lo uccide a sua volta con la complicità del capo della polizia locale (Vithaya Pansringarm), un uomo che amministra la giustizia in modo del tutto personale.
L'affronto spinge Crystal (Kristin Scott Thomas), madre di Billy e Julian, a raggiungere Bangkok per sistemare la cosa, ma le sue decisioni metteranno in moto una catena di vendette una più sanguinaria dell'altra.

domenica 2 giugno 2013

Il bianco e il nero #40: I protagonisti del noir - Il detective

detective s. ingl. (pl. detectives); in it. s.m. e f. inv. (o pl. orig.), pr. adatt. Investigatore, spesso privato || persona munita di apposita licenza che effettua indagini per conto di privati.
Se Il Mistero del Falco (1941) è unanimemente riconosciuto come la prima pellicola del periodo classico noir, l'investigatore privato ne rappresenta un'icona sin dagli esordi. Il prototipo del protagonista noir nasce dalla penna degli scrittori della scuola hard-boiled, fornendo un alternativa ai classici casi di omicidio/gialli che avevano dominato la scena dei detective films dall'epoca del muto sino agli anni 30. Questi nuovi film rappresentano un tentativo di rompere i legami con gli infiniti capitoli di Sherlock Holmes o Philo Vance o L'uomo ombra. Il nuovo mondo creato dal noir è molto più oscuro, cinico, mortale.
I creatori di questo nuovo mondo -e di qeusta nuova visione del mondo- si resero presto conto che dovevano creare anche un nuovo eroe completamente da zero. Non un solo tipo per tutti, ma una vasta gamma di variazioni del tipico personaggio di questo genere di film, in modo da coprire tutto il sottobosco della città e dei suoi crimini.
I primi esempi di investigatore al cinema si possono vedere nel già citato Il Mistero del falcoLo sconosciuto del terzo piano (1940). Molto meno celebrato, questa seconda pellicola di Boris Ingster, vede un reporter ingiustamente accusato di aver ucciso il suo fastidioso vicino di casa. Tramite un sogno, una lunga allucinazione, riuscirà a rintracciare il colpevole, ma a risolvere il caso sarà la sua fidanzata. Nonostante l'happy ending finale (su cui non aggiungo altro) il film è un esempio del nuovo stato d'animo che dilaga in questo nuovo genere e precedentemente sconosciuto, fatto di cinismo, di sfortuna e soprattutto di mal fidenza sia nel sistemo giudiziario che nelle grandi città dopo il tramonto, nei suoi vicoli e corridoi dei grandi palazzi.