domenica 30 dicembre 2012

Il bianco e il nero #29: Nannarella goes to Hollywood

-"I never saw a more beautiful woman, enormous eyes, skin the color of Devonshire cream" Il ricordo di Tennessee Williams dopo averla incontrata per la prima volta.
-"Saluto la fraternità degli uomini, il mondo delle arti, e Anna Magnani" Yuri Gagarin, 1961.

Anna Magnani ad inizio anni '50 era il volto del cinema italiano. La diva incontrastata (se non l'unica) di tutta Roma, ed allo stesso la donna del popolo, la più grande attrice vivente, già vincitrice di ben 4 nastri d'argento, ai quali si sarebbero aggiunti molti altri riconoscimenti. Era la madre che in Roma città aperta inseguiva, gridando, il camion con cui veniva portato via suo figlio, Francesco.  Era stata Nannina Straselli, l'onorevole Angelina, Assunta Spina, Anita Garibaldi, fino a Maddalena Cecconi in Bellissima
Era stata diretta dai più grandi registi e con uno, Rossellini, aveva pure una relazione (era l'amante numero uno, dato che Roberto era sposato e aveva altre 3 o 4 amanti. Ma lei era quella ufficiale, così gelosa da comportarsi da moglie). Eppure, l'ultima arrivata, una biondona svedese venuta da Hollywood, l'aveva eclissata di colpo. Le aveva portato via la fama, un film e soprattutto l'uomo.
Una mattina Anna si svegliò e trovò Roberto Rossellini già sveglio e vestito, piuttosto nervoso. "Ma che fai già in piedi? E' domenica". Lui rispose che voleva fare una passeggiata, dato che ormai era alzato. Allora Anna gli disse di portarsi i cani, le sue amatissime bestiole ("gli animali sono meglio degli uomini, non ti tradiscono mai, loro" dirà in seguito) già che c'era.
Roberto obbedì, prese i casi e infilò la scala condominiale di corsa. Dopo un paio d'ore senza notizie sue o dei cani, Anna scese fino al pian terreno dove c'era il custode. "Ma che hai visto passare Roberto?". Certo signora Magnani che l'aveva visto passare. Due ore prima e, ah! ecco i cani, me li ha lasciati qua quando è sceso. Così Rossellini lasciò la Magnani. 

D'altronde aveva già ricevuto la lettera dalla Bergman, quella famosa, del "Ti amo", aveva già parlato con il cugino siciliano, Renzo Avanzo, da cui aveva appreso la sua mirabolante invenzione (una macchina da presa subacquea), aveva in mente di fare un film, su un isola siciliana ma non aveva idea di come dire ad Anna che tutto era finito e che Ingrid e i suoi dollari l'avrebbero sostituita. Così sparì e basta.

domenica 23 dicembre 2012

Vita di Pi di Ang Lee

Nelle sale dal 20 dicembre
Adattamento dell'omonimo romanzo di Yann Martel, è la storia di Piscine Molitor Patel (dal nome delle celebri piscine parigine) soprannominato Pi per sfuggire ad un nome così impegnativo. Nato e cresciuto a Pondicherry nell'India francese, manifesta fin dall'infanzia un insaziabile interesse per la religione, tanto che all'età di tredici anni ha già aderito all'islam, al cristianesimo e ovviamente all'induismo. Quando Pi è poco più che adolescente suo padre decide di vendere lo zoo di famiglia e di migrare in Canada, ma la nave su cui viaggiano affonda e Pi, unico umano sopravvissuto, è costretto a condividere la zattera di salvataggio con Richard Parker, una giovane tigre del Bengala. 
Quella di Pi è una storia che praticamente si vende da sola, prima di tutto perché almeno in parte è ambientata in India, quell'India recentemente riscoperta da Hollywood e trasformata ancora una volta nel luogo della magia e dell'esotico. E poi per il suo protagonista, un ragazzino indiano tanto puro e tanto ingenuo a cui dobbiamo a tutti i costi affezionarci perché non gli manca proprio niente, a tredici anni conosce a memoria le cifre decimali del pi greco (gli asiatici sono bravi in matematica), legge classici della letteratura alla luce del tramonto e ha unificato tre fedi religiose in guerra da secoli.
E infine c'è la storia, che combina il sempre fresco dramma del naufrago con l'immancabile crisi mistica, un geniale mix di Cast Away e Il Piccolo Principe insomma. Metteteci pure Ang Lee, il regista orientale più occidentale che esista, e condite il tutto con lo spirito natalizio. O forse sto esagerando, forse Vita di Pi è soltanto una bella favola che andrebbe giudicata come tale, il che però può risultare abbastanza difficile quando l'elemento religioso è chiamato in causa tanto spesso e tanto sgraziatamente, e allora non ce la faccio, è più forte di me, vedo solo un antipatico polpettone di due ore melenso e conciliante.
Non resta quindi che cercare soddisfazione altrove, magari nella regia di Ang Lee o nella realizzazione tecnica di quelle scene visionarie intraviste nel trailer, che poi sono anche i motivi principali per cui mi sono interessato al film. Ma niente da fare, anche da questo punto di vista Vita di Pi è un bel pacchettone di natale ben confezionato ma molto poco sostanzioso, le scene di cui sopra non sono altro che cartoline esotiche costruite ed inserita ad arte, un'ammucchiata di effetti speciali quasi tutti ottimamente realizzati ma che risultano anche troppo sgargianti. La verità è che di visionario non c'è nulla, si tratta solo di intervallare il dramma della sopravvivenza con immagini ad effetto ottenute facendo incrociare il cammino di Pi con tutta una serie di fenomeni sorprendenti, meduse luminescenti, stormi di pesci volanti e isole carnivore dalla morfologia umana. Tutto molto bello, ma più che un film sembra di guardare uno di quei filmati dimostrativi che usano nei supermercati per mostrare le prestazioni delle nuove televisioni ad alta definizione.
Insomma in Vita di Pi è tutto troppo finto, ma gli effetti speciali sono l'ultimo dei problemi.

sabato 22 dicembre 2012

Il bianco e il nero #28: Lo special natalizio è qui!

Paulette Goddard sarebbe un bel regalo per Natale
"It's that time of the year again".

Si è di nuovo quel periodo dell'anno. E' Natale, siamo tutti più buoni e tutti più ipocriti. Per quanto mi riguarda sono stato per anni un fervente sostenitore della bellezza e della gioisità del Natale -come festa commerciale e non religiosa, chiaro-; i regali, il clima, l'albero, la tradizione. Poi ho piano piano lasciato perdere e il mio spirito natalizio è morto miseramente quest'anno, maledetta crisi.
L'unica tradizione che ancora seguo è quella di alzarmi presto per vedermi Il canto di Natale versione Muppet, ma ormai è da qualche anno che, o lo hanno spostato o hanno deciso di non trasmetterlo più (preferendo in alcuni casi Stanlio e Ollio o in altri il solito Il grande dittatore di Chaplin). Questo però mi ha fatto venire in mente un argomento per il nuovo segmento della rubrica in uscita proprio il giorno della vigilia. Una top 5 (+1) di film natalizi da consigliare a chi non li ha mai visti e da rispolverare per chi non li vede da tanto o è alla ricerca di una bella storia perfetta per il post cenone/pranzone. E magari fare bella figura coi parenti, "Ue nonno, ma lo sai che questo film qua, lo hanno fato d'estate al posto che di Natale? Adesso mi sganci altri due centomila, che sono stato bravo?".
Come già fatto per lo speciale di Halloween, sono film scelti secondo qualche criterio: - devono essere sul Natale (maddai!) e quindi in qualche modo ci deve rientrare. O anche no, ma sono storie che si prestano al nostro stato d'animo tanto caritatevole di queste 24 ore. -Bianco e nero, chiaramente, quindi film di un certo periodo. -Perciò, per rispondere anche a mio cugino, niente Mamma ho perso l'aereo o Una poltrona per due o Chi più spende... più guadagna!, ovvero i classici Mediaset. -Il che non mi vieta di mettere classiconi già visti e rivisti e ri rivisti.
E a proposito, proprio perchè sono talmente conosciuti a memoria, non starò qui a fare un riassunto della trama o a esporre lungamente i motivi per cui li ho messi, ma mi limiterò, come mio solito, a spararvi qualche bella chicca che li riguarda; dietro le quinte, curiosità, fatti storici. E quindi partiamo, e buon Natale.

venerdì 21 dicembre 2012

Filmbuster(d)s - Episodio #19

DOUBLE FEATURE! Episodio dedicato a 2 film recensiti dal prolifico alexdiro: Moonrise Kingdom di Wes Anderson e Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato di Peter Jackson.
Vi facciamo i nostri più sinceri auguri di Buon Natale, durante il cenone della vigilia metteteci in sottofondo e date da parte nostra una carezza al bambino di turno. Ditegli che Il Monco lo sta cercando.

Nell'episodio 19 di Filmbuster(d)s:


[00:09:00]Moonrise Kingdom
[00:25:20]Lo Hobbit











Potete ascoltare l'episodio al link diretto al file MP3 (per scaricarlo basta cliccare col destro e poi "Salva link con nome"): Clicca qui

Abbonatevi su iTunes: Clicca qui

Oppure ascoltate il podcast mediante il player Podtrac:

martedì 18 dicembre 2012

Il bianco e il nero #27: John, Gena e la nascita del cinema indipendente

"Abbiamo promesso a noi stessi di non dirci mai delle cose carine".

La storia che c'è dietro al film che ha "inventato" il free cinema, l'indie cinema americano e che ha fatto conoscere uno dei migliori registi americani e una delle mie attrici preferite, se non la preferita. La nascita di un modo di fare cinema che avrebbe rivoluzionato l'America e che la coppia non avrebbe mai abbandonato.
E' difficile raccontare la storia di questi due per diversi motivi. Prima di tutto erano gli outsiders per eccellenza, lontani dai riflettori, dalle mode, dal gossip, secondo perchè ai loro amici e parenti dicevano "Se la stampa vi chiede qualcosa, mentite, voi non gli dovete la verità", quindi è difficile capire cosa è corretto e cosa no. Avrei quindi voluto parlare della loro bella unione e del loro amore ma dovrò per forza di cose direzionarmi verso la loro prima creatura, Shadows - Ombre.


Bisogna partire da una piccola cittadina (per gli standard americani) del Wisconsin, Madison, famosa per la sua storia, il suo lago e il panorama annesso e per la sua università. Proprio qui troviamo una bella e giovane ragazza bionda che va per i venti. Studia con metodo -ma sarà un altro metodo a cambiarle la vita- è amata e conosciuta (è la figlia di un pezzo grosso, banchiere, poi membro del governo). Eppure quella vita le va stretta, ha un solo sogno, forse banale; andarsene da lì e diventare un'attrice, di talento. Quindi nel 1950 molla Madison, gli studi e il panorama e parte per New York. Da Madison a Madison Avenue.
Al momento di partire, mentre è sul pullman, si pone degli obiettivi; concedersi anima e copro al teatro, non sposarsi nè avere figli. Ripensandoci, più in là con gli anni penserà "Dio ride dei nostri piani".
Si iscrive alla American Academy of Dramatic Arts, scuola di un certo livello. Dopo quattro anni di fatiche inizia a ricevere qualche offerta dal mondo del teatro e soprattutto dal ricco mondo della TV. In occasione di una recita la nota un ragazzo, con l'aria seria ma anche da ribelle. Non è di certo timido e dopo averla vista all'opera va a presentarsi nel dietro le quinte.

sabato 15 dicembre 2012

Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspettato di Peter Jackson


Bilbo Baggins era uno Hobbit del tutto rispettabile, passava le giornate ad amministrare casa Baggins in vicolo cieco, Sottocolle a Hobbiville, a fumare l'erba pipa in giardino e, cosa più importante, non si era mai cimentato in un'avventura, almeno fino al giorno in cui lo stregone Gandalf il Grigio lo coinvolse, spacciandolo per uno scassinatore, nella riconquista di Erebor, il regno sotto la montagna.
Tredici nani, capeggiati da Thorin Scudodiquercia, nipote del fu re di Erebor Thrain ed erede al trono, tenteranno di scacciare il drago Smaug dalla fortezza e riprendersi ciò che è loro, ma il cammino è lungo e un nemico apparentemente sconfitto, l'orco pallido Azog, renderanno l'impresa più ardua di quanto già non sembrasse.
Primo episodio della seconda trilogia di Peter Jackson basata sulle opere di John Ronald Reuel Toklen, Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato arriva nelle sale tra la curiosità e lo scetticismo di molti appassionati e della critica di settore: la divisione in 3 film di un libro di sole 350 pagine circa e l'integrazione di eventi narrati nelle appendici di altri romanzi dell'autore hanno destato le perplessità di chi ha istintivamente intravisto l'ombra di un'operazione commerciale per battere il ferro finchè caldo, sfruttando fino al midollo lo stratosferico successo de Il Signore degli Anelli. La tanto decantata innovazione tecnologica del 3D a 48 fps (frame per secondo Ndr) si è rivelata una sorta di rivoluzione silenziosa sia per l'esiguità delle sale con una strumentazione adatta a proiettare il film in questa forma che per le sensazioni sortite: si è parlato di effetto a là Benny Hill Show con buffi e repentini aumenti della velocità dell'azione, al punto che molti ne hanno caldamente sconsigliato la visione.
Purtroppo non posso fornire il responso di un'esperienza diretta, dato che ho visionato il film in 3D e in 2D a 24 fps, quindi da questo punto di vista mi limiterò a quanto appena detto aggiungendo che la stereoscopia “classica” m'è sembrata, al netto di un paio di giochi prospettici notevoli, francamente superflua. Era lecito aspettarsi di più da quello che è considerato insieme a James Cameron uno dei padri del moderno 3D.
Sin dalle prima battute appaiono immediatamente evidenti le differenze con la trilogia cinematografica del Signore degli Anelli: i toni si fanno più fiabeschi e pacati, attenuando, se non smorzando del tutto, quella sensazione di precarietà e di pericolo che dovrebbero invece scaturire dalla difficoltà intrinseca dell'impresa disperata della riconquista di Erebor e degli innumerevoli ostacoli incontrati sul percorso e che caratterizzavano invece l'avventura della Compagnia dell'anello. Non che sia un male, anzi, ma qualcuno aspettandosi una continuità con la sopracitata trilogia potrebbe storcere il naso difronte a momenti come le canzoni “disneyane” o elementi e personaggi meno solenni e più ridanciani come lo stregone Radagast.
Solennità che invece è la caratteristica principe del co-protagonista del film, Thorin Scudodiquercia, l'erede al trono di Erebor interpretato magistralmente da Richard Armitage, vero e proprio Re decaduto e ansioso di riprendersi ciò che è suo di diritto, domina la scena in collaborazione con il mite Bilbo: l'evoluzione dei due personaggi, l'iniziale diffidenza e il reciproco avvicinamento, l'esaltante e rincuorante caldo abbraccio sulle battute finali, sono le vere e proprie colonne portanti della pellicola, portavoci del sentimento di amicizia tra diversi che domina la poetica di Tolkien e, di riflesso, di Peter Jackson.
L'allegra combriccola di nani, adorabili casinisti instabili capaci di cambiare umore in un istante, è composta per lo più da caratteri e macchiette, ma va considerato il gran numero di membri e la natura episodica dell'opera; avranno spazio nell'arco dei 3 film di esprimere le proprie potenzialità. Quel che Jackson fa però con grande maestria in questo primo episodio, e che si manifesta in maniera prorompete in momenti di grandissima intensità emotiva, è la natura vagabonda della compagnia: esuli contro la propria volontà, senza patria, costretti a vagare a vuoto e a barcamenarsi in lavori poco onorevoli, in una lotta per la sopravvivenza continua affrontata con la stessa grinta che li porta a cimentarsi in un'avventura impossibile. Non esistono parole migliori di quelle di Thorin: “Lealtà, onore, un cuore volenteroso, non posso chiedere di più”. A renderli irresistibili è la vena malinconica che li caratterizza e che ci regala un paio di sequenze davvero toccanti.
Tra me e questa pellicola è stato amore a prima vista, inutile negarlo e nascondersi dietro la patina del “critico”: hanno ragione molti a criticarne l'eccessiva lentezza di alcune scene, le lungaggini, il ritmo latitante della prima metà del film che funge da lungo prologo, la dilatazione dei tempi non in linea con la concretezza narrativa mostrata in precedenza da Jackson, ma sono cose che ai miei occhi passano in secondo piano quando al prezzo di un biglietto del cinema si guadagna la possibilità di tornare nel fantastico mondo della terra di mezzo per vivere un'avventura tutto sommato semplice e di buoni sentimenti, ricca di momenti epici e di personaggi genuini che si muovono in paesaggi incantevoli, supportati da una colonna sonora, del sempreverde Howard Shore, che, tra sonorità derivate dalla trilogia e felicissime varianti dell'imponente canzone nanica Misty Mountains Cold, al solito suggerisce e sottolinea le emozioni senza mai imporle.
Ogni tanto si sente il bisogno di piccole storie dalla morale semplice, dove i buoni sono buoni e i cattivi sono veramente cattivi, storie che ci insegnano che bisogna sempre combattere, sopratutto per le cose importanti, anche quando sono nostre di diritto, e che anche le persone più piccole possono compiere grandi imprese.

martedì 11 dicembre 2012

Il bianco e il nero #26: Il 1939, il miglior anno di Hollywood.

"The greatest year in the history of Hollywood!"

Ci sono tante domande bizzarre o talvolta legittime che gli appassionati di cinema si pongono: chi è il miglior attore di tutti i tempi? E l'attrice? Il più bel film? La miglior colonna sonora? Il miglior regista? La più bella storia raccontata? Il miglior horror o western o la miglior commedia? Qual'è il paese che ha fatto i migliori film? Ovviamente sono tutte domande che non prevedono una risposta univoca e oggettiva. Le riviste stilano classifiche, ogni anno o ogni tot. anni, gli esperti contribuiscono, i lettori votano ma è impossibile stabilire il migliore in assoluto in una data categoria. 
Anche io mi pongo spesso queste domande e come tutti ho le mie preferenze e proprio mentre pensavo ai tanti film che amo, ho notato una particolarità: molti sono del 1939. Analizzando meglio ho scoperto che è stato un anno sensazionale per il cinema americano (come sempre io parlo più che altro di questo lato del mondo) e onestamente credo che non ne esista un altro di eguale livello qualitativo e di eguale importanza storica. E allora con la consueta macchina del tempo, torniamo all'inizio del 1939 e scopriamo cosa si stava producendo in quei mesi e cosa stava per uscire al cinema, soffermandoci su quattro film in particolare e escludendo i due colossi più celebri, Via col vento (ne ho già parlato un pò in La scelta di Rossella) e Il Mago di Oz (ne parlerò separatamente).

Grande anno il 1939. Nasce Batman, esce Finnegans Wake di James Joyce, Enzo Ferrari fonda la propria casa automobilistica e si, se non fosse stato per quella guerra iniziata a settembre, sarebbe filato tutto liscio. 
Per Hollywood sarebbe sembrato un anno come gli altri, nel senso che siamo nel pieno periodo d'oro che continuerà grazie anche proprio a quel conflitto mondiale che non toccherà mai (o quasi, Pearl Harbour) suolo americano. Ma la verità è che sarebbe stato un anno ricco di film che avrebbero fatto la storia, vuoi per gli incassi surreali, vuoi perchè avrebbero rivoluzionati i loro generi e vuoi perchè sarebbero entrati a pieno titolo non solo nella storia del cinema ma di quella con la S maiuscola. 
E' incredibile come in un solo anno siano stati sfornati così tante pellicole magnifiche. Dal noir Hanno fatto di me un criminale, al sentimentale Donne che raccoglieva tutte le deluse dalla mancata scelta come Rossella O'Hara, dallo strappalacrime La voce nella tempesta (adattamento di Cime tempestose) di Wyler a I ruggenti anni venti con Bogart e Cagney, dallo spassosissimo Tre pazzi a zonzo dei fratelli Marx allo struggente Addio mr Chips, passando poi per Intermezzo che segnava il debutto sugli schermi americani di Ingrid Bergman, l'horror Il fantasma di mezzanotte, il bellissimo Beau Geste e Passione con una fenomenale Barbara Stanwyck. E tutti questi senza, come detto, citare due dei miei preferiti di sempre, Via col vento e Il Mago di Oz.

domenica 9 dicembre 2012

Filmbuster(d)s - Episodio #18

Holy Motors alza l'asticella: al di là dell'ambiguità di un'affermazione simile, il film di Leos Carax ci è piaciuto veramente tanto, al punto che in sede di registrazione c'è scappata più di una volta la tanto abusata (non da noi) parola "Capolavoro".
Per il resto, puntata ricca di spunti, dall'organizzazione pessima del Torino Film Festival ai film visti dai nostri due inviati nordici.

Nel 18° episodio di Filmbuster(d)s:


[00:03:00]Paranormal Activity 4
[00:12:40]Dracula 3D
[00:30:25]Le 5 leggende
[00:44:30]Torino Film Festival
[00:52:30]Lords of Salem
[01:04:00]Wrong
[01:17:15]Holy Motors
[01:38:15]Ruby Sparks


Potete ascoltare l'episodio al link diretto al file MP3 (per scaricarlo basta cliccare col destro e poi "Salva link con nome"): Clicca qui

Abbonatevi su iTunes: Clicca qui

Oppure ascoltate il podcast mediante il player Podtrac:


mercoledì 5 dicembre 2012

Le 5 Leggende di Peter Ramsey


Nelle sale dal 29 novembre.
Pitch Black, l'uomo nero, è tornato dopo essere stato sconfitto al termine dei “secoli bui”, quando diffondeva ovunque terrore ed incubi. Ad abbatterlo furono Babbo Natale, Calmoniglio (il coniglio pasquale), la Fatina dei denti e Sandman, i 4 guardiani, che adesso hanno bisogno di un quinto elemento per fronteggiare la minaccia incombente. L'uomo della Luna, un'entità astratta, suggerisce allora a Babbo Natale di reclutare lo scapestrato Jack Frost, spirito del ghiaccio sconosciuto ai più che non riesce a farsi vedere dagli umani perché nessuno crede in lui.
Diretto dall'esordiente Peter Ramsey e doppiato da un cast di star hollywoodiane di prim'ordine come Chris Pine, Jude Law, Hugh Jackman e chi più ne ha più ne metta, Le 5 Leggende impone l'ennesima riflessione sul modo di fare cinema di Dreamworks e sul confronto con quello dell'eterna rivale sul campo dell'animazione in computer grafica, Pixar.
L'outsider, l'emarginato é sempre al centro dei film di entrambi gli studios, ma sono evidenti le differenze tra le declinazioni dello stesso topos. Prendiamo ad esempio proprio Jack Frost: pettinatura emo, pose plastiche, un visino adorabile, felpa con cappuccio e jeans alla moda e un fare spavaldo da vero duro; l'emarginazione dalla serie A dei guardiani, l'invisibilità agli occhi dei bambini, paiono quasi motivi di vanto piuttosto che di imbarazzo o ragione di goffaggini e disagi assortiti.
Si diceva su questi lidi, in riferimento a Biancaneve e Il cacciatore, hai gioco facile a fare innamorare Biancaneve del cacciatore se questo é interpretato dal sex symbol Chris Hemsworth, anticonformista dei miei stivali! Appunto, Jack Frost é un figo poco credibile nel ruolo di un outsider che finisce per stonare e per rompere l'empatia.
Più dell'evidente abisso nella caratterizzazione, sia visiva che contestuale, di personaggi e situazioni, più della vittoria delle idee e del colto citazionismo sulla facile comicità slapstick e sul cavalcare le mode (qualcuno c'ha visto, giustamente, parallelismi con The Avengers) la ragione principale per cui Pixar é rock e Dreamworks spesso e volentieri non lo é sta proprio nella rappresentazione e nella credibilità dell'emarginato.
Inutile rimarcare in questa sede le lapalissiane caratteristiche che rendono i personaggi Pixar veri outsider, piuttosto proviamo a spiegare cos'altro funziona e non ne Le 5 leggende.
Apprezzabile il fatto che siano state rispettate le origini dei guardiani nella tradizione popolare, specie il Babbo Natale russo al quale é riservato il momento migliore del film, una deliziosa metafora raccontata per mezzo di una matrioska.
Se dal punto di vista visivo la pellicola é un gioia per gli occhi è anche grazie al contributo tecnico di uno dei migliori direttori alla fotografia in circolazione, Roger Deakins, così come si sente in un paio di sequenze squisitamente dark l'influenza del produttore esecutivo Guillermo del Toro. 
Purtroppo però, l'idea alla base del plot, tutto sommato suggestiva, meritava una scrittura migliore, specie per quanto riguarda un background praticamente inesistente: non bastano 2 battute in croce su eventi passati a dare l'impressione che quel mondo esista anche al di fuori, nel tempo e nello spazio, della vicenda narrata nel film. Ciò si traduce in una generale mancanza di mordente e superficialità imperante, il che rende ancora più inspiegabile il didascalismo estremo e ridondante.
Alla fine della fiera , Le 5 leggende è un film lontano dalla mediocrità di altre pellicole della Dreamworks come Madagascar o La gang del bosco, ma ugualmente distante dai titoli migliori, Dragon Trainer e Shrek su tutti, in primis per il discorso in apertura, ed è un peccato viste le professionalità in ballo e il l'idea di partenza. Un film d'animazione trascurabile in un anno sottotono e decisamente poco interessante per il genere.  

lunedì 3 dicembre 2012

Il bianco e il nero #25: Tutto quello che avreste voluto sapere su Gli Uccelli ma non avete mai osato chiedere


"...And remember, the next scream you hear could be your own" una delle pubblicità per il film.

Dove eravamo rimasti? Ah si, Hitchcock aveva appena fatto il suo primo slasher-horror, Psycho. Filmettino fatto con due lire, autoprodotto, senza star, in bianco e nero e lontanissimo dai suoi tipici lavori. Vincendo quella scommessa, da regista osannato in tutto il mondo da critici ed esperti, divenne acclamato anche dal popolino, dagli appassionati del cinema commerciale. Dopo Psycho Hitch ottenne quello status di icona a cui noi siamo abituati, con mostre, saggi e tavole rotonde dedicate alla sua vasta filmografia. Ma dopo l'enorme successo del suo horror il pubblico voleva qualcos'altro, magari qualcosa di simile e cosa mai poteva inventarsi uno che aveva ormai fatto di tutto? Insomma nel 1961 Hitchcock si ritrovava al punto di partenza e con la classica domanda, "E adesso? Che storia nuova posso proporre? Che genere? Con cosa posso stupire ancora il pubblico?". Adesso Gli Uccelli.

*Se è andata bene la prima volta, perchè non riprovarci?
A dir la verità Hitchcock aveva bene in mente cosa volesse fare dopo Psycho, ovvero fare un altro horror, come gli chiedevano a gran voce le platee mondiali. In fin dei conti il successo era stato surreale ed imprevedibile, e ciò era in maggior parte causato da un pubblico nuovo, di una nuova "epoca", gli anni 60. Lui si era divertito a girare quel film, per gioco, per dimostrare di essere ancora il numero uno e soprattutto di essere più forte di un gruppo di dirigenti e produttori che credono di saperla lunga.
Allora sotto con un nuovo soggetto a tinte forti, molto più cruento e violento, macabro. Già ma non è facile trovarne uno decente, basti ricordare quanto fu difficile trovare Psycho di Robert Bloch. L'entourage di Hitchcock si mette in moto alla ricerca del nuovo formidabile testo da trasporre. Per fortuna questa volta la ricerca dura poco, anzi, bastava guardare dentro casa.
Tempo prima infatti, era stato acquistato un racconto breve di Daphne du Maurier -scrittrice inglese amica del regista e autrice del romanzo Rebecca - La prima moglie, con il quale Hitchcock trasse il suo primo lungometraggio in America- dal titolo Gli uccelli. Era stato comprato però per farne un episodio della fortunata serie tv Alfred Hitchcock presenta, proprio per la sua breve durata. Inoltre non era neanche la prima volta che veniva utilizzato. Ben due volte venne rappresentato alla radio e una volta sul piccolo schermo, per un'altra serie tv, Danger, sceneggiato da James P. Cavanagh, proprio colui che venne chiamato per scrivere lo script di Psycho ma che fallì miseramente.
Non era importante tutto ciò, a Hitch piaceva e voleva tirarne fuori il seguito spirituale di Psycho. Gli piaceva il fatto che i "killers" in questo particolarissimo racconto fossero delle bestiole che abbiamo attorno ogni momento del giorno, totalmente innocue. Inoltre da qualche tempo, sui giornali, si leggevano alcuni articoli di attacchi isolati di gabbiani a persone sulla costa occidentale degli Stati Uniti.