martedì 11 dicembre 2012

Il bianco e il nero #26: Il 1939, il miglior anno di Hollywood.

"The greatest year in the history of Hollywood!"

Ci sono tante domande bizzarre o talvolta legittime che gli appassionati di cinema si pongono: chi è il miglior attore di tutti i tempi? E l'attrice? Il più bel film? La miglior colonna sonora? Il miglior regista? La più bella storia raccontata? Il miglior horror o western o la miglior commedia? Qual'è il paese che ha fatto i migliori film? Ovviamente sono tutte domande che non prevedono una risposta univoca e oggettiva. Le riviste stilano classifiche, ogni anno o ogni tot. anni, gli esperti contribuiscono, i lettori votano ma è impossibile stabilire il migliore in assoluto in una data categoria. 
Anche io mi pongo spesso queste domande e come tutti ho le mie preferenze e proprio mentre pensavo ai tanti film che amo, ho notato una particolarità: molti sono del 1939. Analizzando meglio ho scoperto che è stato un anno sensazionale per il cinema americano (come sempre io parlo più che altro di questo lato del mondo) e onestamente credo che non ne esista un altro di eguale livello qualitativo e di eguale importanza storica. E allora con la consueta macchina del tempo, torniamo all'inizio del 1939 e scopriamo cosa si stava producendo in quei mesi e cosa stava per uscire al cinema, soffermandoci su quattro film in particolare e escludendo i due colossi più celebri, Via col vento (ne ho già parlato un pò in La scelta di Rossella) e Il Mago di Oz (ne parlerò separatamente).

Grande anno il 1939. Nasce Batman, esce Finnegans Wake di James Joyce, Enzo Ferrari fonda la propria casa automobilistica e si, se non fosse stato per quella guerra iniziata a settembre, sarebbe filato tutto liscio. 
Per Hollywood sarebbe sembrato un anno come gli altri, nel senso che siamo nel pieno periodo d'oro che continuerà grazie anche proprio a quel conflitto mondiale che non toccherà mai (o quasi, Pearl Harbour) suolo americano. Ma la verità è che sarebbe stato un anno ricco di film che avrebbero fatto la storia, vuoi per gli incassi surreali, vuoi perchè avrebbero rivoluzionati i loro generi e vuoi perchè sarebbero entrati a pieno titolo non solo nella storia del cinema ma di quella con la S maiuscola. 
E' incredibile come in un solo anno siano stati sfornati così tante pellicole magnifiche. Dal noir Hanno fatto di me un criminale, al sentimentale Donne che raccoglieva tutte le deluse dalla mancata scelta come Rossella O'Hara, dallo strappalacrime La voce nella tempesta (adattamento di Cime tempestose) di Wyler a I ruggenti anni venti con Bogart e Cagney, dallo spassosissimo Tre pazzi a zonzo dei fratelli Marx allo struggente Addio mr Chips, passando poi per Intermezzo che segnava il debutto sugli schermi americani di Ingrid Bergman, l'horror Il fantasma di mezzanotte, il bellissimo Beau Geste e Passione con una fenomenale Barbara Stanwyck. E tutti questi senza, come detto, citare due dei miei preferiti di sempre, Via col vento e Il Mago di Oz.
Ho scelto solo quattro film tra questa marea, sennò facevo un libro intero, perchè li amo particolarmente, ci sono molto affezionato, perchè sono di alcuni dei registi che apprezzo di più e in un caso perchè hanno rivoluzionato un genere.


Per il primo film bisognerà andare un'attimino lontani da Hollywood, ma la sola vista del paesaggio ripagherà tutti i kilometri percorsi. Siamo nel bel mezzo della Monumental Valley dove si sta preparando il grande ritorno al genere western di un regista ben conosciuto ma che solo dopo questo film diventerà un mostro sacro.
Prima di tutto però bisogna fare due chiacchiere con David O. Selznick, è lui il primo a interessarsi a questo racconto, apparso sulla rivista Collier's Weekly, scritto da Ernest Haycox. Ritiene che possa venire fuori qualcosa di buono ma come attori principali vuole due nomi ben specifici, altrimenti lo molla a qualcun'altro. Il breve racconto si chiama Ombre Rosse e racconta il tragitto di una diligenza in mezzo al deserto selvaggio con tanto di indiani. A bordo è presente varia umanità; una prostituta, un pistolero, un dottore, un beone etc.. E' vagamente ispirato alla novella di Guy de Maupassant, Boule de Suif (Palla di sego). Selznick vorrebbe nel ruolo del pistolero e della prostituta, diciamo i protagonisti o quelli con più spazio, Gary Cooper e Marlene Dietrich. Nonostante sia un uomo di enorme potere, non riesce a ottenerli e quindi passa.
Chi prende al volo la palla al balzo è Walter Wanger con la sua piccola casa di produzione indipendente. E' pronto a spenderci fino a 230 mila dollari e ha già pronto il regista e lo sceneggiatore. Il secondo è Dudley Nichols, uno che tre anni prima si è portato a casa la statuetta per il Il traditore. Caso vuole che il regista di quel film sia lo stesso che dirigerà Ombre Rosse.
L'ultimo western di John Ford risaliva a ben 13 anni prima, I tre furfanti. L'uomo che è sinonimo di western non aveva lasciato il genere perchè stufo o perchè aveva detto tutto e voleva cambiare ma semplicemente perchè con l'avvento del sonoro era diventato molto difficile registrare l'audio in esterni.
Anche Ford aveva letto il racconto e se ne era innamorato. Una volta trovato l'accordo con Wanger si mise subito al lavoro. Il produttore provò a regalargli Cooper, che per la seconda volta disse picche, "Ho troppi lavori sul groppone per il momento, non ce la faccio e se ho detto no a Selznick non dirò di si a voi". Ma Ford non è rattristato, anzi, ha in mente già l'attore perfetto. Ha fatto già 80 film eppure è uno sconosciuto. No, proprio sconosciuto non è ma l'unico film di alto livello che ha fatto (Il grande sentiero di Raoul Walsh) si è rivelato un flop.
Ogni giorno Ford boccia ogni grande attore che Wanger gli propone e ogni giorno Wanger rifiuta di prendere quell'attoraccio lì, uno che sa fare solo B movies. Alla fine però cedette e andò a chiamare questo John Wayne, un bisteccone con l'occhio languido. Ford gli manda la sceneggiatura ma quando lo incontra gli chiede "Chi credi che possa fare Ringo Kid?". Wayne, ignaro che lo stava prendendo un pò in giro, gli suggerì Lloyd Nolan. Infine gli rivelò di aver scelto lui, sin dall'inizio. Ombre Rosse però non è, come spesso viene detto, la prima collaborazione tra i due, perchè Wayne aveva già lavorato con Ford in qualche piccolo ruolo durante l'epoca del muto.
Prima di girare però serviva trovare la location adatta. Proprio in quel momento, nella Monumental Valley, -mai utilizzata prima perchè non c'era nessuna strada asfaltata che permettesse di raggiungerli con i camion della produzione- Harry Goulding, stava leggendo il giornale nella sua fattoria e l'occhio gli cade su un articolo: "Grande western in lavorazione a Hollywood. Budget considerevole, location cercasi".
A Goulding viene un'idea, ma invece di mandare una lettera a Wanger o Ford parte direttamente per Los Angeles con in mano un pacco contenete più di 100 fotografie della Monumental Valley. Si apposta fuori dall'uscio di casa Ford e appena il regista esce lo bracca al volo. E' subito amore. Quei luoghi, quei canyon quei paesaggi sono semplicemente perfetti. Come sia possibile che mai  nessuno, asfalto o no, ci sia mai andato a girare un benedetto film è un mistero. Se non fosse un uomo virile come pochi, Ford bacerebbe Goulding. La Monumental Valley ha per di più un altro grande pregio: non è negli studios e quindi avrà totale libertà d'azione e nessuna interferenza dei dirigenti. Girerà altri otto film qui, Sfida infernale, Il massacro di Fort Apache, I cavalieri del Nord Ovest, La carovana dei mormoni, Rio Bravo, Sentieri selvaggi, I dannati e il suo ultimo western Il grande sentiero, nessun legame con quello di Walsh. La valle diventerà talmente importante da mutare il viaggio della vera diligenza che la attraversa ora per ben tre volte.

Prima però bisogna girare gli interni. Wanger si accorda con la MGM per girare nei vecchi studi Goldwyn. Ford fa una richiesta molto particolare; vuole che tutti i set abbiano il soffitto. Come il soffitto? dice Wanger, ma lo sai quanto di più mi costa? E poi sai benissimo che nessuno gira con il soffitto, tanto con la macchina da presa non lo inquadriamo mai. Ed è proprio questo il punto, Ford vuole riprenderlo quel soffitto maledetto è essenziale. Vuole che si percepisca il chiuso, la claustrofobia quasi degli ambienti.
Buona parte del film sarà girata dentro la diligenza, e va bene, ma tutto il resto avrà come protagonista la Monumental Valley, un set naturale infinito. Quello che Ford vuole fare è contrapporre l'ambiente chiuso della diligenza ed ancora di più delle case, locande, saloon a quello vastissimo e senza nessun impedimento visivo offerto dal paesaggio desertico.
E' un'idea rivoluzionaria e al contempo perfettamente funzionale. Il risultato finale è sorprendente e chiaramente influenzerà tutto il genere da li in poi. Non solo, influenzerà anche un giovane spettatore, regista di li a poco, che lo vedrà addirittura quaranta volte e che influenzerà pesantemente il suo primo film, Quarto potere, sto parlando di Orson Welles.

Durante le riprese non ci furono particolari difficoltà, ogni piccolo intoppo veniva risolto in poco tempo, come quando Ford voleva Ward Bond alla guida della diligenza. Quando scoprì che non era capace e non c'era tempo per insegnarglielo, assunse Andy Devine. Per gli altri problemi invece aveva dalla sua l'intero popolo Navajo.
Non solo si prestarono a interpretare i feroci Apache, il che portò molti benefici economici alla tribù, dando lavoro a tutti quanti, anche come semplici aiutanti o facchini, ma addirittura lo sciamano locale, Hosteen Tso, promise a Ford esattamente la composizione di nubi di cui aveva bisogno. Altro che effetti speciali.
Ford sul set era molto duro, o meglio esigente, con tutti, ma in special modo con John Wayne, perchè secondo lui doveva lavorare il doppio per tenere il passo e farsi rispettare dai colleghi, fra cui spiccavano Thomas Mitchell e Claire Trevor. Il cappello che indossa Wayne durante il film, era proprio il suo e lo indosserà per molti altri film, pensionandolo poi dopo Un dollaro d'onore di Howard Hawks, perchè stava letteralmente cadendo a pezzi.
Discutibile invece è la scelta di usare un particolare dispositivo, chiamato Running W, nelle scene a cavallo. Prima di tutto, per stare al ritmo dei cavalli, si dovette lanciare a tutta velocità le automobili con sopra le cineprese ma il problema principale era quello di rendere la cadute, di cavaliere indiano e cavallo, colpiti dalle armi dei nostri, credibili. Per far ciò si legò con dei cavi di ferro, sottilissimi, le zampe dei cavalli a un blocco fisso. Una volta raggiunta una certa velocità, scattava il filo che bloccava di colpo le zampe dell'animale che quindi si impiantava di colpo. Mentre il "fantino" sapeva di dover cadere a momenti, il povero quadrupede non ne aveva idea e infatti, nelle brusche e rovinose cadute, molti morirono sul colpo o altri dovettero essere abbattuti dopo le gravi ferite ricevute. Le polemiche piovvero sia da dentro gli studios che da fuori e il Running W non venne più utilizzato.

Ombre Rosse per la sua innovazione stilistica e per la sua storia avvincente e al contempo profonda e piena di significati, per quanto semplice, è uno dei capolavori della storia del cinema e uno dei film più influenti che siano mai stati fatti. Mi risulta difficile trovare un western (vero e proprio, quindi con gli indiani e senza ferrovia) migliore di questo, alla faccia dei suoi 73 anni e dell'assenza di colore, un'eresia(?) quando si parla di questo genere.

Lasciamo la bellissima zona tra Utah e Colorado e dirigiamoci verso l'India e un altro tipo di indiani. No anzi, restiamo nel deserto ma andiamo in quello al confine tra California e Arizona dove stanno girando un film d'avventura basato sul più celebre poema di Rudyard Kipling, Gunga Din.
La storia della realizzazione di questo film ha inizio addirittura nel 1936 quando Kelly Reilly, produttore RKO, sviluppò un idea di base e ingaggiò il regista Howard Hawks per dirigerla. Anche i principali interpreti erano già stati scelti. Robert Donat o Ronald Colman erano i più papabili per il ruolo principale, mentre Spencer Tracy sarebbe stato il co protagonista.
Tuttavia dopo un anno le cose erano già cambiate e ora i favoriti erano Ray Milland e Franchot Tone. Ben presto anche Hawks dovette lasciare (ovvero lo cacciarono). La produzione di Susanna, con Katharine Hepburn e Cary Grant, stava richiedendo troppo tempo e infine, nonostante oggi sia un classico della commedia (e una delle mie preferite) al botteghino andò malissimo.
Nell'agosto del 1938 le riprese hanno finalmente inizio con una troupe completamente diversa. Alla regia adesso  c'è George Stevens, un giovane regista sulla rampa di lancio. Nei ruoli principali ci sono Cary Grant, Douglas Fairbanks Jr. e Victor McLaglen.
Grant era già nel cast di qualche anno prima ma adesso il suo ruolo è ben più importante, ma proprio sulla scelta su chi dovesse essere chi c'è una storia contorta da raccontare. Anzi, più di una.
Una versione dice che Grant volesse cambiare ruolo (da principio lui era Ballantine) perchè puntava al ruolo di Cutter, ovvero quello con più umorismo e battute. Al tempo però il ruolo era stato destinato al comico Jack Oakie che quindi venne fatto fuori e al suo posto venne chiamato Fairbanks Jr. Un'altra versione racconta di Fairbanks e Grant già a bordo con il primo che doveva interpretare Cutter e il secondo Ballantine. Cutter era il personaggio che avrebbe mollato l'esercito per sposare Joan Fontaine (con cui Grant farà coppia ne Il sospetto di Hitchcock qualche anno dopo e che sul set era innamorata persa del regista Stevens) mentre Ballantine, il cercatore di tesori scanzonato, una figura molto simile a quella del suo leggendario padre. Ebbene, come detto, Grant voleva Cutter e voleva cambiare ruolo.
Fairbanks era restio, soprattutto perchè sapeva che poteva essere il ruolo più importante della sua vita. Allora Stevens intervenne e propose di lanciare una moneta per scegliere. Vinse Grant. Secondo la biografia del regista però, la versione più corretta sarebbe la prima.

Si parte, la RKO è pronta a investire addirittura 1,9 milioni di dollari, il budget più grande della loro storia. Gunga Din (dal poema di Kipling qui) racconta l'avventura di tre soldati britannici e del loro portatore d'acqua, nativo della zona (Gunga Din appunto), sfuggiti ad un attacco di guerrieri della setta dei Thuggee, nell'India coloniale.
Le riprese come detto ebbero luogo nel deserto della Sierra Nevada, sulle Alabama Hills, secondo i produttori, la zona migliore per ricreare l'India e il passo Kyhber, centrale per il film. Può sembrare strano eppure il risultato finale è più che soddisfacente tanto che Fairbanks racconterà che una volta un indiano (dell'India non quelli di Ombre rosse) si stupì parlando con lui nell'apprendere che quelle scene non le avessero girate davvero in India.
Il set era composto da 600 comparse e da 8 truccatori al lavoro per sei settimane di fila senza sosta. Il clima era molto gioviale, dopotutto si stava facendo un film d'avventura con una fortissima dose di umorismo e i mattatori in scena e fuori dalla scena erano Grant e Stevens, collaboratore di Roach, storico regista di molti film di Stanlio e Ollio.
Per la scena dove i nostri Cutter e Gunga Din devono superare un ponte sospeso su un abisso e l'elefantessa Annie fa smuovere pericolosamente la struttura pericolante, venne utilizzato su un ponte a circa 2 metri di altezza da terra con al posto dell'abisso uno spettacolare lavoro al pennello degli scenografi.
La scena finale invece, con lo scontro tra Thuggee e l'esercito inglese sul monte Whitney venne inserita dalla RKO perchè il finale originale venne ritenuto troppo blando. Proprio dopo questa sequenza, si intravede al funerale, la figura di un reporter, ovvero Kipling. Venuta a sapere di questa comparsata, la famiglia Kipling fece causa agli studios con la motivazione che stavano infangando la memoria del loro parente scomparso. In alcune copie venne quindi rimossa con una sorta di sfocamento, ma in molte altre, tra cui quella restaurata che vediamo in DVD oggi, è rimasta.

Gunga Din fu un successo straordinario secondo, nel 1939, solo a Via col vento irraggiungibile. Eppure, dato il costo altissimo della produzione, fini per rimetterci qualche migliaio di dollari, niente di cui disperarsi.
La stampa lo recensì positivamente sottolineando però la propensione del film a invadere il terreno della skrewball comedy, molto di moda ai tempi, e la forte somiglianza con la trama di La signora del venerdì. Dalla rivista FilmIndia invece ricette una stroncatura totale. Si richiedeva addirittura il boicottaggio per un film che non rispettava e irrideva la cultura Hindu. Dopo dei disordini in India e a Malaya, il film venne definitivamente tolto da quella zona del mondo.
Gunga Din ha influenzato moltissimi futuri registi tra cui Steven Spielberg e George Lucas che hanno preso spunto per molte idee del loro Indiana Jones e il tempio maledetto. Anche Blake Edwards e il suo attore feticcio Peter Sellers lo citano in un paio di film, in Hollywood party e in La pantera rosa colpisce ancora. Infine nel 1962 venne fatto un remake con tutto il rat pack al completo (Frank Sinatra al posto di McLaglen, Dean Martin in quello di Grant, Peter Lawford in quello di Fairbanks, e Sammy Davis Jr. come Gunga Din), Tre contro tutti.

Alla MGM, kolossal a parte si sta producendo anche una commedia, una commedia di stampo bolscevico!
Ninotchka è una delle più belle e divertenti commedie del maestro (e una delle sue preferite) Ernst Lubitsch. Racconta di tre emissari del partito comunista russo, Kopalski, Buljanof e Rakonin, che partono per l'occidente, Parigi, per studiare il capitalismo e vendere alcuni gioielli. Subiscono un pò troppo il fascino e i lussi della vita non-comunista e dimenticano il loro vero obbiettivo. Viene mandata a redarguirli l'inflessibile Ninotchka, ma aimè, anche lei cederà al capitalismo e all'amore.
Questa commedia, sepolta sotto gli altri due colossi prodotti dalla MGM si lega in maniera particolare con essi e con il, o forse dovrei dire, uno dei loro registi, George Cukor. Il grande regista sempre molto vicino e amato dalle sue interpreti, era stato designato per dirigere questa commedia con una donna come protagonista ma all'ultimo vi rinunciò, ovvero Selznick, il suo amico-produttore-sosia, lo chiamò per dargli una mano con Via col vento.
A quel punto subentrò Lubitsch al quale piaceva l'idea ma che aveva molti paletti da imporre. Prima di tutto voleva che la MGM gli producesse anche il suo film successivo, Scrivimi fermoposta e secondariamente voleva cambiare radicalmente la sceneggiatura. Per riscrivere Ninotchka, di Gottfried Reinhardt e S.N. Behrman, Lubitsch chiamò tre giovani sceneggiatori; Billy Wilder, Charles Brackett e Walter Reisch.
Wilder era arrivato da poco tempo dalla Germania, conterraneo quindi di Lubitsch, ed aveva già lavorato con il regista per L'ottava moglie di Barbablu. Stessa cosa vale per l'americano Brackett, amico stretto di Wilder. Già ai tempi formavano insieme una delle coppie di scrittori più talentuose e richieste di Hollywood. Quando Wilder tornerà dietro la macchina da presa, si terrà stretto Brackett ed insieme produrranno capolavori come Giorni perduti e Viale del tramonto.
In ogni caso, il tocco finale lo diede Lubitsch stesso, il suo famoso tocco.

Protagonista, nel ruolo della inflessibile e poi spensierata Ninotchka, sarebbe stata una delle più grandi attrici della sua epoca, una che nella sua carriera era già stata Anna Karenina (x 2), Mata Hari, la Regina Cristina e aveva recitato al fianco dei migliori, da Gable a Gilbert, e che a soli 34 anni si preparava a fare il suo penultimo film. Il problema era che non sembrava proprio adatta al ruolo.
Greta Garbo, svedese, rappresentava un certo tipo di donna; algida, rigida, dura, capace con una sola alzata di sopracciglio di far scappare tutti. Due anni dopo, nel 1941, si sarebbe ritirata dalla scena, semplicemente perchè non si considerava più giovane. Non volle neanche incontrare la sua sostituta, sempre svedese, Ingrid Bergman e finì per vivere come un eremita, internata nella sua mega villa.
Per la prima parte sarebbe proprio perfetta, ma poi Ninotchka si innamora di un farfallone inglese ed è qui che dovrebbe recitare alcune gag comiche, far ridere lo spettatore. E come si può fare una cosa simile con una come lei? Ebbene questa fu la missione di Lubitsch tanto che lo slogan che si scelse per accalappiare il pubblico fu proprio "La Garbo ride!".
A dir la verità aveva già recitato in un ruolo più o meno divertente, composto da qualche battutina, ma non aveva mai fatto una vera e propria commedia. In ogni caso, lo slogan era talmente convincente che parte della sceneggiatura venne riscritta per girare attorno proprio a quella risata, tanto attesa.
Lei non era di certo convinta al 100% di fare quel film e soprattutto arrivata alla scena dove dovrebbe fingersi ubriaca e lasciarsi baciare dal farfallone di poc'anzi, lasciò cadere la sceneggiatura inorridita. "Troppo volgare!" tuonò. Eppure, essendo una parte centrale e fondamentale della mutazione di Ninotchka, non tribulò troppo e la fece, professionalmente, come al solito e con un ottimo risultato finale. Per rendere il personaggio più credibile recitò senza trucco tutte le scene dove rimaneva ancora l'impassibile autorità sovietica.
Per affiancarla vennero presi in considerazione i più noti attori del momento, da Spencer Tracy a William Powell, da Robert Montgomery a Cary Grant. Ma alla fine la spunto Melvyn Douglas, non proprio un nome.

Il film ottenne un successo incredibile. Uno dei primi commenti scritti da uno spettatore alla prima fu, "Ho riso così tanto che ho fatto la pipì nella mano della mia fidanzata". Ecco... come? Vabbè, in patria incassò cifre impensabili e fuori dagli Stati Uniti ebbe una distribuzione molto limitata, sia a causa della guerra, in Italia arriverà nel 1946, sia per il blocco dell'URSS e degli stati satelliti. Credo che ancora oggi in Russia non sia permesso trasmetterlo.
Una curiosità. Per interpretare il ruolo di Danko nell'omonimo film, Arnold Shwarzeneggher si studiò proprio questo film, su consiglio del regista Walter Hill.

Anche il prossimo film venne bandito in alcuni stati europei (e aspramente criticato in patria) ma della corrente politica totalmente opposta a quella precedente.
Parlo di un film che ha mosso il cuore e la coscienza di molti, tanto da farli entrare in politica e fare qualcosa per il proprio paese, un film che è stato bandito da tutti gli stati destrorsi e fascisti d'Europa perchè dimostra come funziona veramente la democrazia e in qui pochi stati in cui venne distribuito, molto probabilmente il doppiaggio cambiò radicalmente il messaggio finale, un film che ha scandalizzato i politici americani, accusandoli di essere corrotti, se non tutti, almeno una parte, ed infine il film che venne scelto durante la seconda guerra mondiale dal pubblico nella Francia occupata dai nazisti, poco prima della messa al bando delle pellicole americane e che in un cinemino a Parigi venne trasmesso per trenta giorni di fila non stop. Sto parlando di uno dei capolavori di Frank Capra, il regista del new deal economico, Mister Smith va a Washington.

Inizialmente la sceneggiatura venne commissionata dalla Columbia per farne un film con Ralph Bellamy e Harold Wilson come produttore. Quando poi Frank Capra si interessò alla storia e si offrì di dirigerla propose l'idea che il film fosse un seguito ideale del suo E' arrivata la felicità (Mr. Deeds goes to town) con protagonista Gary Cooper. Putroppo Cooper era occupato (tutti lo volevano, nessuno lo aveva. Comunque, era impegnato con Beau Geste tra le altre cose) ma al momento era disponibile un giovane attore molto promettente appena preso in prestito dalla MGM, James Stewart. Capra appena lo vide capì di avere tra le mani il volto perfetto "Avrebbe tirato fuori un mr Smith coi controfiocchi, ne ero sicuro! Con quell'aria da ragazzo di campagna pieno di ideali".
Meno sicura era la sua coprotagonista Jean Arthur, che avendo fatto il, diciamo, primo capitolo con Cooper lo preferiva di gran lunga. Inoltre a suo modo di vedere, Stewart era troppo bravo ragazzo, troppo caruccio, non avrebbe mai potuto interpretare convincentemente il filibustiere Smith.
Ma Jimmy aveva capito che quel ruolo avrebbe segnato la sua carriera e la sua vita, era quel tipo di treno che passa una sola volta nella vita. Jean Arthur ricorda che era sempre serissimo e ogni mattina si alzava alle cinque di mattina e si recava sul set in automobile da solo. Guidava pianissimo per paura che un incidente potesse occorrergli e il ruolo gli scappasse di mano.

Frank Capra invece era serio ma per altre ragioni. Da poco tempo aveva perso il primo figlio per delle complicazioni successive a una tonsillectomia. La sua prima idea era quella di buttarsi a capofitto nel lavoro e di fare un film su Frédéric Chopin, ma il produttore della Columbia, Harry Cohn cassò la sua idea sostenendo che sarebbe costato troppo. I due litigarono sempre sui budget che lo studio poteva offrire, nonostante Capra fosse il più talentuoso regista che avessero sotto mano e soprattutto il più redditizio (senza parlare dei due Oscar già in bacheca).
Prima di girare però bisognava superare l'approvazione della MPAA/PCA, ovvero di quel codice Hays in vigore da qualche anno che costringeva ogni sceneggiatura ad essere approvata da un ente di controllo e che ogni riferimento a immoralità, sesso o quant'altro fosse tolta o limata con un'accetta. Far approvare una storia che accusa di corruzione molti senatori americani non è così semplice. Il direttore della PCA Joseph Breen rispose così alla richiesta della Columbia "Vi consiglio di prendere la cosa molto seriamente e di pensarci molto bene prima di imbarcarvi in una produzione così carica di dinamite da far saltare in alta sia l'industria cinematografica che l'intero paese" Breen sottolineò inoltre che "la visione così pessimista dei nostri politici avrebbe portato, qui negli USA e all'estero, la gente a pensare che il film voglia essere un pesante attacco alla democrazia e al governo". Pertanto è vitale che "il senato del film sia rappresentato da cittadini integerrimi che lavorano per gli interessi del paese, in aperta contrapposizione con il senatore Joseph Paine (Claude Raine nel film ndr)". Dopotutto però Breen scrisse anche a Hays ritenendo il film meritevole di essere prodotto e soprattutto importante per questo periodo della storia.

Quindi si parte. Chiaramente non è possibile girare all'interno del vero senato americano a Washington perciò dopo un lungo sopralluogo in cui sono state fatte tutte le riprese necessarie di repertorio e si è studiata la planimetria del celebre edificio a forma di cupola, la troupe è tornata a Hollywood dove è stato ricostruito a grandezza naturale l'intero senato. Ai tempi divenne il più grande set mai costruito alla Columbia e forse il più grande di tutti (venne riutilizzato per il film Tempesta su Washington di Otto Preminger) che comprendeva inoltre camere d'albergo e la sede della stampa di Washington. Un altra particolarità della sceneggiatura è dovuta alla presenza di Jean Arthur. Era ben noto che il suo lato più fotogenico fosse quello sinistro, così molti set vennero rimodellati in modo che lei potesse entrare in scena da quel lato. Dive...
Per rendere la pellicola inattaccabile e corretta dal punto di vista politico e del protocollo, venne assunto James Preston, ex sovraintendente alla camera del senato.  Un elemento importantissimo per quella scena finale che ha lanciato il film direttamente nella storia.
Proprio su quella lunga, infinita (e venne accorciata, alcuni pezzi del finale originale si possono vedere nel trailer d'epoca) e necessaria parte finale si poggiava tutto il film e si poggiava chiaramente sulle spalle di James Stewart. E' una delle più mirabili prove attoriale della storia americana che valse all'attore la prima nomination agli Oscar. Per rendere la sua voce rauca, si asciugò la gola con del bicarbonato di soda e come se non bastasse veniva periodicamente sciacquata con cloruro di mercurio.

E venne il giorno della prima. Venne sponsorizzata dal National Press Club e si tenne a Washington nella  Constitution Hall con più di 4.000 spettatori tra cui membri del congresso, della corte di giustizia e del gabinetto. Frank Capra era seduto vicino al senatore Burton Wheeler del Montana. Forse non una scelta casuale dato che Mister Smith... è tratto dal romanzo The Gentleman from Montana ( in ogni caso nel film non viene fatto nessun riferimento allo stato di origine nè di Smith, nè del senatore corrotto, come non vengono citati i repubblicani o i democratici). Proprio Wheeler fu uno dei primi a lasciare la sala indignato (qualcosa di simile avvenne anche in Italia per la prima di Anno uno di Rossellini sulla figura di Alcide De Gasperi, DC).
Ed appunto era solo uno dei tanti che si lamentarono e fischiarono. Anche la stampa locale si indignò e recensì malamente il film. Uno dei capi redattori si lamentò del fatto che venissero tutti dipinti come degli ubriaconi. Persino i Boy Scouts d'America presero le distanze dalle "visioni riformiste di Smith (che nel film appartiene agli scout)" e Capra dovette correggere il nome in Boy Rangers.
Capra dichiarò che la serata e il seguito furono il peggior massacro mai subito nella sua carriera artistica. Venne accusato di essere anti americano e comunista (proprio lui che poi sarà IL regista della seconda guerra mondiale ed era il preferito di Roosevelt) e un senatore cercò di far passare un emendamento che permettesse agli esercenti di non mostrare il film. Addirittura il film rischiò di essere bloccato dall'uscire dai confini nazionali. Un giorno, il regista e il produttore Cohn, ricevettero una lettera dall'ambasciatore americano in Inghilterra, Joseph P. Kennedy, doveva chiedeva se fosse davvero il caso di distribuirlo in Europa perchè avrebbe "danneggiato il prestigio americano".  Per fortuna fuori da Washington il film ottenne un enorme successo e Capra fu in grado di mandare a Kennedy un mazzo di ottime recensioni che convinse l'uomo "sbloccare" il film ma non dissipò del tutto i suoi dubbi.

Mister Smith va a Washington, è una delle perle rare della cinematografia di Frank Capra e del cinema americano intero. Come ho già detto, Capra ricevette lettere di americani che o ringraziarono per avergli aperto gli occhi e che dopo la visione, entrarono in politica per cambiare le cose, in meglio.
Alla dodicesima edizione degli Oscar, nel 1940 (la migliore edizione di sempre? Tra l'altro, cercatela su youtube, è leggerissimamente diversa dal glamour a cui siamo abituati) ottenne ben 11 nomination ma si portò a casa solo quella per il miglior soggetto originale. Purtroppo nell'anno di Via col vento (8 oscar su 13) era quasi impossibile portare a casa qualcosa. Stranamente secondo con due Oscar arrivò Ombre Rosse (adattamento sonoro e miglior attore non protagonista, Thomas Mitchell, tra l'altro il papà di Rossella O'Hara e presente anche in Mr Smith va a Washington) a pari merito con Il mago di Oz (colonna sonora e canzone). Gunga Din (1) e Ninotchka (4) andarono a casa a mani vuote.
E basta scorgere tutti gli altri titoli candidati per rendersi conto che fu davvero il più grande anno di sempre! (lo dico urlando con l'eco e da in piedi una rupe, con la luce divina dietro di me. Non so ho in mente questa immagine. Lui era davvero "il re dei re", una cosa simile).

Vostro onore ho finito. Ecco io ritengo il 1939 il migliore di tutti ma ovviamente è solo una mia opinione. Voi quale anno preferite e perchè? Cercate di fare una lista dei vostri film preferiti, magari scoprirete che gran parte fanno parte di un decennio o di un paio di anni o di un anno in particolare. Quindi nei commenti ditemi la vostra...dimostratemi che siete vivi!!
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Nella prossima puntata, la storia d'amore tra uno dei più talentuosi registi della storia del cinema e la migliore attrice americana di sempre (per rimanere in teme e secondo me): John Cassavetes e Gena Rowlands.

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