giovedì 31 ottobre 2013

Blancanieves di Pablo Berger

Nelle sale dal 31 ottobre
(Per ora è presente in pochissime sale, ma stando a quanto dice il distributore nelle prossime settimane il numero dovrebbe aumentare.)

Anche se il regista dichiara di averci pensato già qualche anno prima, guardando Blancanieves la mente torna inevitabilmente a The Artist di Michel Hazanavicius. E una qualche influenza deve esserci sicuramente stata, anche solo la spinta a cavalcare l'onda e a realizzare una vecchia idea conservata nel cassetto. Blancanieves di Pablo Berger, co-produzione belga-franco-spagnola (e chi li ferma gli spagnoli ?), è un libero adattamento dell'omonima favola dei fratelli Grimm, ma soprattutto, è un film muto in bianco e nero.
Durante una delle sue esibizioni, il celeberrimo torero Antonio Villalta si fa distrarre da un fotografo e finisce incornato. Tra gli spettatori c'è sua moglie, che dopo aver assistito alla scena inizia ad avere le doglie. Lui sopravvive ma rimane paralizzato dalla testa in giù, lei muore dando alla luce Carmen. Distrutto dal dolore, Antonio rifiuta di vedere la bambina e qualche mese dopo sposa l'infermiera Encarna (Maribel Verdù, c'è una leggera somiglianza con Berenice Bejo), che per la piccola Carmen si rivelerà una matrigna perfida e spietata.

L'idea è semplice, Berger (che è anche sceneggiatore) prende una delle favole per eccellenza, la trasporta nella spagna dell'iconografia tradizionale e la mette in scena nel modo più classico possibile, spogliandola del colore e delle parole. Tornando al paragone iniziale: se il film di Hazanavicius era soprattutto un'omaggio al cinema muto hollywoodiano, Blancanieves cerca invece una fusione delle varie correnti stilistiche europee degli anni '20, dall'espressionismo alle diverse avanguardie cinematografiche. Il montaggio per esempio procede spesso per analogie ed echi visivi, creando accostamenti sempre più originali, oppure viene utilizzato per creare sequenze rapidissime di immagini appena percepibili, magari per suggerire l'effetto vertiginoso dei ricordi che riaffiorano, come in La Roue di Abel Gance, citato apertamente nelle sequenze finali.
Pur trattandosi di un film muto, anche il suono ha un ruolo fondamentale. La colonna sonora a base di flamenco di Alfonso de Villalonga dona a Blancanieves uno stile quasi musicale, come se fosse la musica stessa a dettare il ritmo delle immagini e del montaggio, per esempio durante le scene di tauromachia, dove il continuo battimani crea un effetto ipnotico e straniante.
La storia, nonostante le molte differenze, è più vicina alla versione tradizionale della favola che a quella edulcorata della trasposizione Disney. Una rilettura macabra e grottesca rappresentata perfettamente dalla figura di Encarna, una regina cattiva (anche se somiglia di più alla matrigna di Cenerentola) che vive nel lusso e fa la dominatrix con l'autista, mentre il marito paraplegico vive prigioniero in una stanza. Più somigliante alla controparte cartoonesca invece la Blancanieves/Carmen di Macarena Garcia, due occhioni che non finiscono più incorniciati da una bella chioma corvina, inquadrata con uno sguardo quasi dreyeriano.
Blancanieves è un film spigoloso, una di quelle pellicole che si sarebbe tentati di liquidare come vuoti esercizi di stile, e in fondo non sarebbe neanche sbagliato, dopotutto è solo il tentativo di raccontare una storia che appartiene ad un altro tempo con uno stile cinematografico che appartiene ad un altro tempo. Però a suo modo è anche una dichiarazione d'amore nei confronti del mezzo cinematografico, un modo di dimostrare che ancora oggi si può raccontare qualcosa solo con le immagini, persino una storia ingenua (ma neanche troppo) come questa. E poi, cosa altrettanto importante, è un'altra lezione di cinema da un paese che non smette mai di regalare sorprese.

Il film si è portato a casa una decina di premi Goya e diversi altri premi nei principali festival spagnoli.

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