sabato 23 giugno 2012

Detachment - Il Distacco di Tony Kaye


Henry Barthes è un supplente di letteratura che viene ingaggiato da un istituto della periferia americana in cui il rispetto per la figura autoritaria dell'insegnante è una pratica ormai dimenticata. Dovrà fare i conti ogni giorno con una generazione di studenti senza ambizioni la cui deriva dei valori è prima di tutto conseguenza della mancanza di volontà e dell'incapacità dei genitori di comprendere ed educare i propri figli. La voce narrante del protagonista mette dunque in discussione il ruolo dell'insegnante, il cui obiettivo non è più, per l'appunto, insegnare, ma “sopravvivere” per un'ora e fare del distacco il succo dei rapporti con gli alunni. Un distacco necessario per poter affrontare con lucidità i problemi della vita al di fuori della scuola quali un nonno ricoverato in un istituto di cura che ha perso il lume della ragione e una ragazzina di strada che Henry prende in simpatia e accoglie in casa.
Detachment, diretto da Tony Kaye, è l'equivalente cinematografico di quelle foto realizzate senza alcuna nozione di fotografia da chi ha scaricato instagram dall'App Store e pensa di fare arte immortalando paesaggi o, citando Stewie Griffin, una sedia vuota, applicando qua e là filtri a caso: ovvero un'idea tutto sommato potenzialmente buona rovinata dall'incompetenza e dalla pacchianeria dell'autore.
Ed è un pensiero che ti salta in mente sin dai titoli di testa “arricchiti” dalle non necessarie testimonianze dal vero di veri insegnanti con vere esperienze (la ripetizione è voluta) sottolineate da un brano solo piano di un'invadente colonna sonora che, per tutta la durata del film, impone le emozioni piuttosto che suggerirle, figlia di un didascalismo che permea la pellicola in modo stucchevole.
Se un dialogo è ben scritto, e quelli scritti da Carl Lund non erano niente male, non c'è bisogno di ripetere il concetto espresso; Kaye invece lo ribadisce in ogni occasione per tre volte, non solo attraverso la voce dei personaggi ma anche tramite disegni che si materializzano in stop motion sulla lavagna (che vorrebbero fare il verso alle sovrimpressioni di Edgar Wright) e tramite la voce fuori campo del protagonista illuminato da una luce rossa stile camera oscura.
Una struttura ridondante, ulteriormente appesantita dall'ossessiva ripetizione dello stesso flashback, che rende la visione estenuante oltre ogni limite della sopportazione nonostante l'indubbia efficacia di alcune sequenze, ben riuscite per merito sopratutto dell'interpretazione di un notevole cast, tra cui spicca la performance di Adrien Brody, finalmente in un ruolo che si confà alle sue caratteristiche, ben lontane dall'eroe d'azione di Predators o dalle scadenti atmosfere horror del recente Dario Argento.
E' evidente l'incapacità di Kaye di lavorare per sottrazione e di gestire le tre storyline, soffocate da suddetta ridondanza e private dell'approfondimento necessario, specie per quanto riguarda il rapporto di Henry con i propri alunni, inizialmente scontrosi come inspiegabilmente accondiscendenti nel poco coraggioso finale, che cade inesorabilmente nel clichè della classe difficile che si innamora del nuovo professore.
Un consiglio spassionato: se volete guardare una pellicola decente sulle dinamiche di classe della scuola odierna, guardate La Classe – Entre le murs di Laurent Cantet e risparmiate i soldi del biglietto

7 commenti:

  1. ma no D: lo volevo vedere per la Hendricks e te me lo smonti così :(

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  2. Guarda, conviene che cerchi su youtube gli spezzoni in cui appare, che sono comunque pochi, perché lei vale. XD

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  3. È intollerabile, un pistolotto senza capo ne coda, didascalico, goffo e circolare.

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  4. Ilmioamicoinvisibile23 giugno 2012 alle ore 13:11

    Brutta roba non capire un cazzo

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    1. Mi dispiace per te, non tenerti tutto dentro però.

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    2. Adoro il profumo di risposte argomentate di prima mattina.

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  5. Ma vogliamo parlare della scena sull'incomunicabilità domestica ? Un capolavoro della commedia.

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