mercoledì 22 agosto 2012

Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno di Christopher Nolan

Una delle regole non scritte del cinema Hollywoodiano è il “fallimento del terzo episodio”: specie per quanto riguarda i cinecomics appare evidente come, dopo secondi episodi eccellenti, gli autori o abbandonano la nave, forse consapevoli di non poter dire altro sull'argomento (Singer e Burton), oppure vengono colti da ipertrofia da personaggi multipli (Raimi) combinando un casotto da bocciare senza appello.
Sarà per la difficoltà intrinseca (che non è la femmina dell'intrinseco) di colcludere una storia in maniera degna, sarà perchè il confronto con Il Cavaliere Oscuro era oggettivamente pesante, era in ogni caso lecito avere timori in relazione alla buona riuscita della conclusione della trilogia del Batman di Nolan.
Ne Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno, Bruce Wayne ha ormai appeso il mantello al chiodo e si è ritirato a vita privata: fisicamente provato da anni di scorribande e mentalmente distrutto dalla perdita di Rachel Dawes, deambula nelle stanze dell'ala est di Wayne Manor senza uno scopo ben preciso, senza una nemesi da combattere o un'organizzazione criminale da ostacolare. La tragica morte di Harvey Dent ha infatti spinto l'amministrazione di Gotham ad approvare un decreto omonimo del defunto procuratore distrettuale che permettesse alle forze dell'ordine della città di eliminare in maniera definitiva il crimine organizzato.
Un furto delle sue impronte digitali e l'apparizione di Bane, un mercenario che agisce nei tunnel sotterranei di Gotham, convinceranno Bruce a indossare di nuovo il costume per venire a capo di una situazione poco chiara.
Il cinema di Nolan è una commistione di ideali, di ferrea determinazione con la quale vengono sostenuti e di ossessioni che ne scaturiscono, nonché un cinema di antagonismi: sulla scena sono sempre presenti due personalità antitetiche che si nutrono reciprocamente l'uno dell'altro, quasi che un personaggio esista solo in funzione del suo avversario, e che finiscono per scontrarsi senza esclusione di colpi. Al rigurado, il personaggio di Batman è apparso sin dal primo episodio perfettamente calzante alla poetica del regista britannico ed è forse la principale ragione per il quale la saga sia riuscita ad elevarsi dal mero blocbkuster cinefumettistico. Detto ciò, Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno è probabilmente la summa della trilogia dell'uomo pipistrello e del cinema del buon Christopher.
Se nell'episodio precedente il Joker più che mosso da un ideale intendeva dimostrare il lato oscuro della natura umana al fine di fiaccare le ferree convinzioni del cavaliere oscuro, Bane è invece devoto a un credo inconciliabile con i valori di Batman sebbene porti a conclusioni tutto sommato simili: in tal senso, saggiamente, si rispolverano molti elementi del primo episodio (non dico altro per non spoilereare) mentre invece, per rispetto della morte di Heath Ledger, si fa riferimento solamente a Harvey Dent per quanto riguarda The Dark Knight. Sebbene sia costante la sensazione che, in seguito alla tragica scomparsa, Nolan abbia dovuto pesantemente riscrivere la conclusione della sua storia, la coerenza narrativa tra le tre pellicole non viene mai meno e vedere i nodi arrivare al pettine, al netto di un didascalismo forse un po' troppo marcato che si era già intravisto in Inception e di un utilizzo quasi molesto dei flashback, è comunque una gioia per gli occhi che a tratti lascia a bocca aperta. Tuttavia, alcuni passaggi possono sembrare forzati, spesso e volentieri Nolan ricorre all'espediente del MacGuffin per motivare le gesta di alcuni personaggi; il piano diabolico di Bane sembra spesso fare affidamento su una poco credibile “botta di culo” o su un Deus Ex Machina e, come ci ha insegnato la Pixar, usare coincidenze per tirare i protagonisti fuori dai guai significa barare.
Tante, quasi troppe le sequenze da ricordare tra quelle che raggiungono notevoli vette di lirismo e di epicità, ma la scena principe è senza dubbio il primo confronto corpo a corpo tra i due avversari, minimale, scevro di fronzoli effettistici di ogni sorta, di una fisicità che quasi rivaleggia con quella della scena nella sauna de La Promessa dell'Assassino di David Cronenberg. Per non parlare di un finale, anch'esso molto minimal, giusto un campo lungo e un primo piano sottolineati da una colonna sonora deliziosamente delicata, che se ci si è affezionati al personaggio rischia di strappare una lacrimuccia.
Tanti sono anche i personaggi sulla scena: all'ipertrofia del terzo episodio di cui sopra non si sfugge, tuttavia appare evidente, come peraltro costantemente nella saga, che esista una gerarchia ben marcata e che i personaggi principali, in questo episodio sono 4 (Wayne, Selina Kyle, Bane e John Blake), godano tutti del giusto spazio per caratterizzarli al meglio, anche se questo significa metterli da parte per larghi frangenti del film. Poco importa se poi i personaggi secondari siano poco più che caratteri, quel che conta è che la gestione dei protagonisti sia pressoché certosina.
E' il migliore dei 3? La questione è strettamente soggettiva su quale sia l'episodio più bello, quel che resta oggettivo è che stiamo parlando di una delle migliori trilogie della storia del cinema Hollywoodiano e che finalmente si possa parlare di una conclusione di una saga senza dover versare bile e sentenziare bocciature. Il fuoco, fortunatamente, è divampato.  

3 commenti:

  1. Ogni settimana leggo una vostra recensione mentre sorseggio un Fernet Branca.

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  2. Grande Ornella! Non esagerare col fernet sennò fai la fine di Intrinseco.

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