lunedì 24 settembre 2012

Resident Evil: Retribution di Paul W.S. Anderson

In sala dal 28 settembre.

Retribution riprende il discorso esattamente dove si concludeva l'episodio precedente, Afterlife: Alice, dopo aver abbattuto l'acerrimo nemico Albert Wesker, si trova sull'Arcadia, la nave dei sopravvissuti all'apocalisse, mentre all'orizzonte si stagliano i plotoni di elicotteri della Umbrella Corporation, pronti a distruggere qualsiasi cosa respiri.
La sequenza d'apertura mette in scena, a ritroso e con il rallenty, il massacro perpetrato dalla cinica compagnia ai danni dell'equipaggio dell'imbarcazione. Nel tentativo di fermare il nemico, a causa dell'esplosione di uno degli elicotteri, la protagonista interpretata da Milla Jovovich viene proiettata in acqua priva di sensi, per poi risvegliarsi in una struttura della Umbrella da dove tenterà di fuggire con l'aiuto inaspettato di un villain dalle motivazioni oscure.
Giunta ormai alla quinta iterazione, anche e sopratutto grazie allo stratosferico successo sui mercati esteri (in america l'episodio più remunerativo ha incassato poco più di 60 milioni di $), la saga cinematografica di Resident Evil ha ormai definitivamente perso i connotati dello zombie movie intravisti nel primo e tutto sommato godibile episodio, per trasformarsi in un becero filmaccio action dove l'azione è un misero pretesto per permettere ai bellissimi protagonisti di spararsi pose plastiche da fotomodelli. Qualche appassionato di videogiochi puntualizzerà che si tratta della stessa evoluzione (o involuzione) subita dalla saga videoludica da cui è tratto il film, io rispondo con la massima “se qualcuno si butta dal ponte non sei costretto a farlo anche tu”.
Non si tratta di facile ironia, questo Retribution sembra avere più affinità con l'ennesimo patinato spot di un profumo piuttosto che con altri film di genere: stesso stile pacchiano, stesso abuso di effetti visivi atti a esaltare la statuaria bellezza dei corpi degli attori, tutto pulito e lindo, con un bianco dominante in lungo e in largo, zero spazio al gore o alla sporcizia.
Resta difficile per il sottoscritto, trattare una pellicola di questa risma senza tenere in considerazione alcuni elementi della produzione, come il fatto che Paul W.S. Anderson (da non confondere con Paul Thomas), regista sceneggiatore e produttore della pellicola, abbia scritto il film basandosi su sondaggi condotti su twitter dove si chiedeva, in barba alla continuity della saga e a eventuali morti, quali protagonisti i fan volessero veder tornare su schermo; e infatti Retribution assume le sembianze di una gigantesca e scriteriata rimpatriata, con personaggi che tornano dall'oltretomba sotto forma di cloni, facce senza carattere appunto, e spezzoni di film presi di peso degli episodi precedenti che vengono rielaborati in qualche maniera.
Glisso volentieri sui dialoghi pessimi e sotto testi inesistenti, del resto come si è già detto siamo lontani dallo zombie movie in genere, figuriamoci da quello di stampo romeriano: piuttosto vorrei concentrarmi su un elemento che dovrebbe essere il punto cardine inattaccabile di produzioni simili, cioè il ritmo. Come se non bastasse l'abuso di rallenty a spezzare l'azione e sfilacciare la narrazione, Anderson ha pensato bene di far fermare i personaggi ogni dieci minuti circa per mettere in scena spiegazioni didascaliche su ciò che sta succedendo su schermo e su come possa ricollegarsi agli episodi precedenti. I primi quaranta minuti sono uno strazio da questo punto di vista; non che dopo il film decolli, sia ben chiaro, ma hanno dato fastidio a me, che del resto della saga ho ricordi piuttosto sbiaditi quindi target prediletto di questo didascalismo, figuriamoci agli aficionados che si trovano costretti a “ripassare” il tutto ogni due per tre.
Nemmeno la struttura “a livelli” di stampo videogiocoso funziona, con tanto di schermata briefing dove la Regina Rossa spiega (di nuovo) come intende fermare i nostri beniamini, anzi contribuisce a spezzettare lo storytelling, rendendo fallace in tal senso il bizzarro, ma quantomeno suggestivo (bisogna dargliene atto) espediente narrativo con il quale vengono messe in scena le location più disparate, da Tokyo a New York, passando per Mosca dove zombie vestiti da soldati dell'armata rossa sparano (?) ai malcapitati di turno.
Se cercate il punto di contatto tra film e videogioco, insomma, rivolgetevi altrove: un fior fior di autore, Edgar Wright, senza doversi affidare a licenze altisonanti ha realizzato la pellicola che fa per voi, Scott Pilgrim vs. The World.
Ultimo appunto, se siete masochisti, segnatevi il nome di Johann Urb, attore semi-emergente (dal 2007 ha partecipato a un numero comunque considerevole di produzioni) qui interprete di Leon S. Kennedy, che sfoggia una performance degna di un pezzo di legno con la pettinatura del personaggio videoludico.
Se il vostro masochismo ancora non si sente appagato, sappiate che il film termina con l'ennesimo, inutile, ridicolo e insensato cliffangher che garantisce la continuità della saga con il sesto episodio già in produzione. Ci vediamo fra un paio d'anni circa per l'ennesima stroncatura.

2 commenti:

  1. La colpa è tutta della CG. Ha rammollito completamente i creativi. Pensano che fare film-videogiochi sia bello. Oddio, il botteghino dimostra di sì, e allora? Facciamone altri, ancora più brutti!

    Ora hanno rovinato pure Atto di forza: a giudicare dal trailer e da quel po' che si sente in giro, è un altro film-videogioco. L'originale era solo intrattenimento e spettacolo. Per altro misurato e credibile. Nel nuovo fanno salti di centinaia di metri, sbattono schiene e teste, si sparano addosso e nessuno muore o si fa mai male. Il bellone lì sempre i capelli stirati e il visino lindo e liscio. Che schifo.

    Ma il botteghino paga... Chissà, magari è la naturale evoluzione. I vecchi non possono capirla, e ne dicono male...

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  2. PS
    Per film-videogioco possiamo chiamare il blochbuster moderno.

    Per me il colossal fantastico è morto negli anni novanta (e già arrancava da un pezzo).

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