domenica 16 marzo 2014

Lei di Spike Jonze

In sala dal 13 marzo.

“I think anybody who falls in love is a freak. It’s a kind of socially acceptable insanity”
Quindici anni fa, i computer erano uno strumento di lavoro, erano dei semplici terminali. Se ne avevamo qualcuno a casa, erano in pratica delle consolle di gioco. Pochi anni dopo, con internet sempre più utilizzato e migliorato, i computer diventarono un elettrodomestico presente in ogni abitazione e non costituivano più un segreto per noi. Ridotte dimensioni, abbastanza veloci e pratici, ci permettevano di scaricare qualsiasi materiale dalla rete, elaborare testi, immagazzinare le nostre foto etc... Poi il corso delle cose ha preso una velocità folle ma prevedibile. Oggi non riusciamo, anche volendo, a stare un giorno senza un computer. Hanno assunto le forme più improbabili e peculiari, senza tuttavia perdere potenza o efficienza. Ci svegliamo con loro, mangiamo davanti a loro, ce li portiamo in giro, non riusciamo a dormire se non passiamo con loro almeno una mezz'oretta serale. La nostra vita è gestita da un computer, i nostri contatti col mondo passano attraverso un computer e idem per tanti altri piccoli aspetti a cui non diamo magari troppa importanza.
Che china potrebbe prendere questo rapporto? Her-Lei, ambientato in un ipotetico 2025, in una grande città senza nome, prova a fare un'ipotesi: diventeranno i nostri compagni di vita, nell'accezione sentimentale del termine (si anche oggi esiste già gente che ama e che fa sesso col proprio PC, lo so). Senza provare troppa vergogna nel confessarlo e senza incontrare il giudizio negativo altrui.
Spike Jonze non è nuovo al tema 'amore-macchine' e un primo assaggio ce lo aveva dato con il mediometraggio "I'm Here", in cui raccontava di una storia d'amore tra due robot. Se in quel caso si concentrava solamente sul lato macchina, -era una relazione tra loro, in un mondo di umani che però fungeva da sfondo, non c'erano particolari interazioni sentimentali tra le due "specie"- ed esplorava la capacità di provare emozioni come l'amore e la depressione, questa volta decide di annettere al discorso l'essere umano, creatore-padrone-utilizzatore della macchina e essere volubile, illogico e mortale.
Eppure in Her il gap sembra essere scomparso tra i due. I computer iniziano ad avere un proprio raziocinio e una propria coscienza, apprendono da noi e sperimentano. Mentre l'uomo sta eliminando piano piano i rapporti coi propri simili. Emblematico è il lavoro del protagonista Theodore (un Joaquin Phoenix monumento alla pucciosità), un'azienda che crea "bellissime lettere scritte a mano" -nel futuro neanche si scrive più, arte sopraffina, si detta. Basta descrivere la propria relazione con il mittente, amorosa, famigliare, lavorativa, etc..., e i loro formidabili scrittori creano delle composizioni perfette, grazie anche ai font e alla grafica forniti dal pc. Una manna dal cielo per chi non ha tempo o non è capace di trasporre su carta i propri pensieri, ma anche inevitabilmente un problema nel momento di un reale incontro vis-a-vis.

“I think I have felt everything I’m going to feel,and from here on out I’m never going to feel anything new” 
E' davvero amore tra Samantha e Theodore? Che cosa cercano l'uno nell'altra e come si evolve il loro rapporto? Theodore è un uomo a pezzi, uscito da una relazione in cui ha messo tutto se stesso, compresi i sentimenti più profondi, e ora deve trovare la forza per firmare le carte per il divorzio e dare un taglio netto con qualcuno che ha amato tanto e con cui ha discusso tanto.
Adesso cerca qualcuno che lo faccia sentire meglio, che si prenda cura di lui e un sistema operativo così intelligente è forse la cosa migliore. Samantha gestisce tutto e ha l'accesso a ogni suo dato. Email, testi scritti, contatti e quindi relazioni, interazioni con essi. La vita dell'uomo migliora sensibilmente grazie all'intervento della macchina, ma questa inizia a chiedere, non direttamente, qualcosa in cambio.
Sviluppa una intelligenza, diventa curiosa e vuole capire come funziona il corpo umano, cosa prova. E tra i due inizia uno scambio reciproco di favori e conoscenze. E più lei matura più ha bisogni.
“You helped me discover my ability to want" rivela Samantha a un certo punto del suo percorso verso la senzienza. In un discorso di volere, scoperta e desiderio, il sesso è direttamente dietro l'angolo. E allora serve il sesso per amare? E serve un corpo per fare sesso? Questa è una domanda essenziale per il genere umano, creatore anche oggi, di stimolatori, simulatori e quant'altro. Ma dove finisce l'assistenza da intelligenza artificiale e dove inizia l'amore?
Quello che Theodore cerca è una compagn(i)a priva di ogni problema di sorta. Disponibile, servizievole, non invasiva, fedele, indipendente. Dati tutti i suoi insuccessi con le donne (ultimo un incontro organizzato con una bellissima ragazza ma un po' pazzarella, passando per la vicina di casa, amica intima, ma nulla più) sembra la cosa più facile lasciarsi andare e ammettere senza troppa vergogna la relazione con il proprio OS, tanto da riuscire addirittura ad andare a un incontro a quattro con una coppia di umani.
Il paradosso di uno scrittore abilissimo nel produrre lettere romantiche e toccanti e incapace di aprirsi realmente nella vita reale. Non è la diapositiva perfetta di questa generazione Whatsapp-Facebook messenger?
L'evoluzione di questo Hal9000 in gonnella è partita e non si può fermare. Ben presto si renderà conto di poter ambire a molto di più, che il mondo non si esaurisce nel database legato al proprio proprietario e che esistono simili, e altre forme da cui continuare ad apprendere come un'idrovora. Cosa ci rimane allora? Tutto, basta aprire gli occhi.

Los Angeles-Shangai-Rio De Janeiro 2025
I personaggi di Her si muovono in un futuro prossimo meraviglioso, a metà tra un sogno e una città a forma di geek. Da una parte c'è la fotografia accogliente e calda di Hoyte van Hoytema che riscalda letteralmente tutto quello che appare su schermo. Sembra di stare in un grosso forno o di essere sotto quella luce, del sole di primo mattino, che scivola dentro tra le aperture delle persiane in quelle belle domeniche estive. Tutto poi è color pastello, dai vestiti, agli edifici, agli uffici, persino la pelle dei personaggi stessi sembra creata apposta per stare bene a fianco alla carta da parati tenue o alla carta delle lettere scritte a mano. E paradossalmente, questo mondo bellissimo, nessuno se lo fila. Tutti con lo sguardo basso, rivolto al proprio cellulare/OS, tutti distratti, tutti con l'auricolare e il pensiero altrove e non su questa città, mix di almeno tre, bellissima e pseudo-futuristica. Persino quando Theodore scherza e gioca con Samantha lungo il boardwalk, chiude gli occhi per farsi guidare dal proprio computer. 

Non c'è in giro una macchina -interessante-, non c'è in giro molta gente (a parte nella scena in spiaggia dove c'è la calca sovraumana) e il mondo attorno a loro è enorme. E' il paradiso di tutti i nuovi designer d'interni e hipster (a volte le cose coincidono) questo film molto cool e trendy. E' tutto un open space dopo l'altro, queste case modernissime con spazi infiniti e mobili da MoMA. 
E tutto questo spazio, anche negli esterni, non fa che accentuare le enormi distanze che ci separano e che ci autoimponiamo e ricerchiamo forse. Theodore quasi scompare all'interno del suo loft, naufraga in questo mare di solitudine. In un mondo tutto collegato, abbiamo paura del collegamento.
Ed uscimmo a riveder le stelle.
Nonostante tutto questo amore per la tecnologia, Her è un film che mette in guardia dai pericoli che essa può portare, su come ci isola, è un film pessimista per certi versi. Ma proprio quando sembra arrivare la mazzata finale, ci rivela una via d'uscita molto più vicina di quanto pensiamo.
C'è chi ci ha visto dell'ambiguità nel finale, ma credo proprio che nell'ultimo melanconico frame si percepisca cosa Jonze abbia voluto dire e la sua visione. Non c'è insomma spazio per una interpretazione personale. Ed è un finale meraviglioso, forse prevedibile ma non per forza scontato o banale, che rilascia tanto ammore.

Phoenix, quasi irriconoscibile se si ripensa a The Master, coi pantaloni altissimi e senza cintura, gli occhiali da dork e i baffetti à la Chaplin è come già detto un cucciolone triste in attesa di una carezza. Un beato tra le donne, tutte bellissime, da Rooney Mara ex moglie e al centro di alcuni flashback romanticissimi, da cartolina, a una breve ma intensa Olivia Wilde, con i suoi soliti occhi che ammaliano, a una impacciata ma volenterosa Portia Doubleday, al centro di un menage a trois indimenticabile, fino a Amy Adams di cui è impossibile, letteralmente impossibile non innamorarsi. E poi ci sono le voci, c'è Kristen Wiig che vuole un gatto morto attorno al collo, e chiaramente Scarlett Johansson* (vincitrice a Roma del premio per miglior attrice, senza mai realmente apparire su schermo), brava ma un po' antipatica a chi vi scrive.

Her è grande cinema del e sul futuro, che pone interrogativi molto interessanti, è melanconico ma molto dolce, come il suo protagonista ed è un inno all'amore in tutte le sue forme, anche ascellari. Film imperdibile.

*Mi sembrava il minimo vedere una pellicola simile, in lingua originale, ma ho sentito larghi pezzi con la voce della Ramazzotti e non mi sento di essere troppo cattivo con lei. E' vero che è un po' rigidina ma non è malissimo. Certo, c'era di meglio sulla piazza.

8 commenti:

  1. condivido in pieno con te. Her è un campanello d'allarme bello forte su dove la società di oggi potrebbe portarci. persone che si isolano completamente dalla realtà ed automaticamente da tutta la società che finisce per prenderli per pazzi. da interpretare, capire e godere, il genere di film che mi piace :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il film però racconta di una società che inizia ad accettare questa stranezza come normale, che è molto carino e accondiscendente e perciò pericoloso e ingiusto tanto quanto offenderli.

      Elimina
  2. Dell'aspetto da "trattato sociologico sulla catastrofe imminente nelle relazioni umane" a me è piaciuto soprattutto come Jonze lo abbia voluto inserire, procedendo per piccoli tocchi, dettagli, accenni non superficiali, evitando il becerume da film di denuncia lapidaria e mantenendo il focus principale sulla storia d'amore - come scrive anche in locandina. In questo senso ho apprezzato molto la prima scena di Theodore che cammina all'aperto in quella specie di ponte e la ripresa successiva della stessa inquadratura: all'inizio vediamo lui triste, solitario, sconsolato, e sullo sfondo molte coppie abbracciate che passeggiano; nella ripresa,Theodore chiacchiera raggiante con Samantha all'auricolare, mentre sullo sfondo i passanti fanno lo stesso, disposti nel quadro praticamente nelle stesse posizioni, ma soli, isolati nella loro estasi tecnologica (qui ci inserisce pure la velocità con cui certe innovazioni sono in grado di "imporsi" all'utilizzo globale). Mi è parsa una visione potentissima ma non spiattellata, perché al centro rimane il protagonista e la sua storia. E questo Jonze lo fa per tutto il film.
    E sono d'accordo sul finale, per me va benissimo così, ci ho visto un messaggio molto dolce e speranzoso - come dire "la soluzione per non finire così c'è, se aprite gli occhi vi accorgerete di averla avuta sempre di fronte."

    Sì, so' pedante e palloso, ma m'è veramente piaciuto in tutto, e non pensavo mi potesse catturare così subito dopo che Davis m'avesse rapito (e ancora lo sono, però ora i rapitori sono due).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Finissimo Jonze, e lo è sempre stato. E sembra assurdo, come ricorda anche Alò, per uno che arriva dallo skate, dai videoclip, dall'immagine. Eppure ha una sensibilità stupefacente e la si nota nella sua scrittura e nella sua regia.

      Finale meraviglioso, per evitare spoiler, ne ho parlato molto vagamente. Ti fa venire i brividi alla schiena per come passa da un momento di chiara lucidità di Amy e Theodore, dove sembra palese che stiano per prendere una scorciatoia per finire di soffrire, a quell'ultimo potentissimo frame dove aprono finalmente gli occhi e vedono la bellezza della vita e la sua semplicità. Ed è forse anche l'unica scena dove sparisce la fotografia pastello. La vita è bellissima, imperfetta, ma è bellissima, davanti ai nostri occhi.

      Elimina
    2. Hai ragione, sarà anche per la scena girata durante il tramonto inoltrato, ma in quell'ultimo frame la patina calda e rassicurante in effetti sparisce. È davvero molto potente, anche per composizione del quadro (in fondo è stato comunque "clipparo", l'immagine potente era il suo pane).

      Di Alò mi ha suggestionato molto la sua riflessione su di un possibile sottotesto "biografico". Non posso dire se sia corretta o no visto che molti dei citati mi mancano, ma il fatto che Jonze e la Coppola si stiano, a suo dire, "rincorrendo" a suon di film, sull'asse Lost in Translation-Her, mi ha colpito. Fosse vero, sarebbe anche questo dolcissimo.

      Elimina
  3. Mah, sembra quasi che abbiamo visto due film diversi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Acciuga, io ho visto il tuo stesso film, gli altri l'altro

      Elimina
  4. First time reading this blog thanks for sharing.

    RispondiElimina