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domenica 16 marzo 2014

Lei di Spike Jonze

In sala dal 13 marzo.

“I think anybody who falls in love is a freak. It’s a kind of socially acceptable insanity”
Quindici anni fa, i computer erano uno strumento di lavoro, erano dei semplici terminali. Se ne avevamo qualcuno a casa, erano in pratica delle consolle di gioco. Pochi anni dopo, con internet sempre più utilizzato e migliorato, i computer diventarono un elettrodomestico presente in ogni abitazione e non costituivano più un segreto per noi. Ridotte dimensioni, abbastanza veloci e pratici, ci permettevano di scaricare qualsiasi materiale dalla rete, elaborare testi, immagazzinare le nostre foto etc... Poi il corso delle cose ha preso una velocità folle ma prevedibile. Oggi non riusciamo, anche volendo, a stare un giorno senza un computer. Hanno assunto le forme più improbabili e peculiari, senza tuttavia perdere potenza o efficienza. Ci svegliamo con loro, mangiamo davanti a loro, ce li portiamo in giro, non riusciamo a dormire se non passiamo con loro almeno una mezz'oretta serale. La nostra vita è gestita da un computer, i nostri contatti col mondo passano attraverso un computer e idem per tanti altri piccoli aspetti a cui non diamo magari troppa importanza.
Che china potrebbe prendere questo rapporto? Her-Lei, ambientato in un ipotetico 2025, in una grande città senza nome, prova a fare un'ipotesi: diventeranno i nostri compagni di vita, nell'accezione sentimentale del termine (si anche oggi esiste già gente che ama e che fa sesso col proprio PC, lo so). Senza provare troppa vergogna nel confessarlo e senza incontrare il giudizio negativo altrui.

mercoledì 17 aprile 2013

Oblivion di Joseph Kosinski

Nelle sale dal 11 aprile.
Oblivion è una serie tv ideata, scritta, diretta e interpretata da Enzino Iacchetti...no, ricomincio (quello era Oblivious, credo, internet non mi aiuta, se rifiuta persino lui). 2077, Jack Harper (Tom Cruise) è uno degli ultimi riparatori di droni operanti sulla Terra. Il suo compito è di mantenerli operativi e belligeranti contro gli scavengers, una razza aliena che tenta di sabotarli. La Terra è rimasta inabitata dopo un guerra, vinta dall'uomo, termonucleare contro l'invasore spaziale. Tutta la popolazione si è rifugiata sulla luna di Saturno, Titano. I droni fanno parte di una massiccia operazione per estrarre le ultime risorse vitali.
Un paio di settimane prima che la missione di Jack, e della sua compagna Victoria, giunga a termine la sua esistenza viene sconvolta quando salva una bella straniera da uno spacecraft NASA precipitato.  Non è altri che la donna che sogna ogni notte e che sembra essere un elemento reale del suo passato. Il suo arrivo innesca una serie di eventi che lo costringono a mettere in questione tutto ciò che conosceva e mettono nelle sue mani il destino dell'umanità.

Kosinski dopo il bello e di successo Tron Legacy ci riprova con lo sci-fi. Questa volta tutta robba nuova e riesumando uno scriptino di 8 pagine buttato giù circa sei anni orsono. Raccontino che nessuno s'era mai filato fino a poco fa ("Ah ma Kosinski quello di Tron, stacce che c'ha i sordi questo mo") fino a quando Barry Levine e Jesse Berger della Radical Publishing hanno deciso di farne una graphic novel. Poi Kosinski ha detto "aspetta un pò? Sai cosa? Prima faccio il film". Il problema è che in questi 6 anni non è andato avanti con la stesura. Otto paginette erano e otto so rimaste.

mercoledì 30 gennaio 2013

Looper di Rian Johnson



In sala dal 31 gennaio.

A dispetto di quanto lasci pensare il gran numero di pellicole sull'argomento, i viaggi del tempo sono una materia difficile da trattare al cinema. Sia che li si affronti con fare scanzonato come in Ritorno al Futuro che con toni più seriosi, come in Terminator, il rischio di incombere in paradossi e incoerenze assortite è sempre altissimo, ma ancor più alto è il rischio di scontentare il saputello in sala con il ditino pronto ad alzarsi alla benché minima sensazione di buchi di sceneggiatura.
Il plot di Looper è molto semplice: nel 2074 verrà scoperto e immediatamente dichiarato fuorilegge il viaggio del tempo; tuttavia, le associazioni criminali troveranno il modo di utilizzarlo per compiere omicidi altrimenti impossibilitati dai moderni strumenti di indagine, mandando indietro di 30 anni la vittima che sarà giustiziata da killer detti Looper, così chiamati perché, dopo un certo numero di omicidi si vedono recapitare il proprio io dal futuro insieme a una cospicua quantità di lingotti d'oro per vivere 30 anni da nababbi. Qualcosa va storto quando Joe lascia scappare il suo doppio invecchiato, intenzionato a uccidere il bambino che da grande diventerà lo spietato boss Rainmaker.
Il regista e sceneggiatore Rian Johnson, già autore del drammatico Brick e del caper movie inedito in italia The Brothers Bloom sapeva che, perché il giocattolo funzionasse a dovere, era fondamentale che almeno un paio di componenti fossero oliati alla perfezione: innanzitutto, le “ristrettezze economiche” imposte dal budget di produzione (30 milioni di dollari) non permettevano lo sfoggio di sfarzosi effetti speciali. Inevitabile dunque la scelta di ambientare quasi per intero il film nel “presente”, un 2044 sporco, distopico, dove il divario tra ricchezza e povertà è netto e c'è giusto qualche elemento, una moto avveniristica o un nuovo grattacielo qua e là, a suggerirci la distanza con i nostri tempi.
In tale contesto, Johnson ha la saggezza di realizzare un film d'azione ben ritmato e coinvolgente che fa il verso alla grande fantascienza, quella intelligente, che sapeva porre quesiti morali sulla realtà umana e che è andata diluendosi nel mare magnum di pellicole tutte identiche che si fregiano, senza criterio né rispetto, dell'appartenenza a un genere così nobile, mettendo in mostra mirabolanti e trasbordanti sequenze in computer grafica totalmente prive di contenuto. L'autore zittisce i sapientoni citati in apertura tramite un suggestivo espediente narrativo, che garantisce la persistenza della sospensione dell'incredulità, e sposta il focus della vicenda su questioni come il libero arbitrio e la possibilità di forgiare il proprio futuro senza condizionamenti o ancora sul fatto che gli intenti più nobili, mossi dai sentimenti più genuini e positivi come l'amore, possano tradursi in reiterate mostruosità.
Semmai vanno denunciate una certa freddezza di Nolaniana memoria, quella mancanza di trasporto e di empatia con cui il tutto viene gestito, e un didascalismo fin troppo evidente, che raggiunge il picco in una sequenza al tavolino di un bar che doveva essere una scena madre e che invece si risolve in uno spiegone lento e prolisso che fa precipitare il ritmo.
Non per colpa dei due attori protagonisti, sia chiaro: l'ottimo casting, altro elemento che doveva funzionare alla perfezione, è frutto della scelta della produzione di non mirare alla somiglianza somatica quanto piuttosto di costruirne una, reclutando due grandi attori e servendosi delle moderne tecniche di trucco prostetico. Joseph Gordon Levitt interpreta il Bruce Willis cinematografico, quello che abbiamo imparato ad amare in anni e anni di onorata carriera, senza scimmiottarlo ma mettendoci anche del proprio e rispolverando la serafica indifferenza caratteristica del personaggio interpretato in Inception. Buonissimi anche gli interpreti dei personaggi di contorno, in primis un trasandato e cattivissimo Jeff Daniels e il piccolo inquietante Pierce Gagnon, già visto nel remake de La Città verrà disturtta all'alba.

Looper è un film divertente e ben orchestrato, per merito di una regia certosina, di una sceneggiatura intelligente, che ha il coraggio di osare e che tratteggia personaggi ambigui e privi di scrupoli, e di un cast in stato di grazia. Una pellicola, basata su un'idea semplice, ben lontana dalla faciloneria della fantascienza odierna, che non lascia spazio allo sfruttamento seriale essendo perfettamente autoconclusiva, ma che soffre di momenti didascalici troppo consistenti per essere trascurabili, e che aveva fortemente bisogno di essere realizzata leggermente più di pancia che di testa. Senza dubbio sentiremo ancora parlare di Rian Johnson, un autore che ha dimostrato ampiamente di avere il talento e la poliedricità necessarie per sfondare.