sabato 1 marzo 2014

Snowpiercer di Bong Joon-ho

Nelle sale dal 27 febbraio

"La rivoluzione non è un pranzo di gala"
Da un punto di vista strettamente cinematografico, la Corea si può considerare a tutti gli effetti una nuova potenza mondiale, la patria di un'industria cinematografica rigogliosissima, capace di conciliare grande cinema d'autore e intrattenimento di altissimo livello. Così piccola e distante eppure così minacciosa per il monopolio hollywoodiano dell'intrattenimento. Naturalmente Hollywood se n'è accorta e, come capita spesso (anche di recente, con 12 Anni Schiavo), ha cercato di portare il cinema straniero negli Stati Uniti, di americanizzarlo e addomesticarlo, lo abbiamo visto poco tempo fa con il remake di Oldboy, ma anche l'anno scorso con le trasferte di Kim Jee-woon (The Last Stand) e Park Chan-wook (Stoker). Ma Snowpiercer è un caso a parte, forse addirittura unico: il film più costoso nella storia del cinema coreano (ha stracciato il record di The Host, sempre di Bong Joon-ho), per metà finanziato dal perfido Weinstein, ma per l'altra da case di produzione rigorosamente coreane, tra cui la Moho Film di Park Chan-wook. Per di più le riprese sono avvenute in Repubblica Ceca, che non è la Corea ma non sono nemmeno gli Stati Uniti. Insomma, forse per la prima volta nella storia, non è il regista coreano ad andare in trasferta ad Hollywood, ma è Hollywood che presta i suoi soldi e i suoi attori ad una grossa produzione coreana. Sottigliezze direte voi, eppure a me sembra una cosa davvero grossa.
Ma veniamo al film: Snowpiercer si ispira molto liberamente alla graphic novel Le Transperceneige di Jacques Lob, Benjamin Legrand e Jean-Marc Rochette. Liberamente perché, delle tre storie che compongono l'opera originale, il film riprende solo la prima con modifiche piuttosto sostanziose.
Siamo nel 2031: una violenta glaciazione, aiutata dall'intervento umano, ha posto fine alla civiltà. I pochi supertiti hanno trovato rifugio nello Snowpiercer, un treno avanzatissimo in perenne movimento attraverso tutto il pianeta. All'interno i vagoni scandiscono l'ordine sociale, dei passeggeri, in coda, o se vogliamo in terza classe, ci sono i poveri stipati come bestie, e più su, man mano che si sale, i benestanti, fino alla sacra locomotiva, dove il "grande ingegnere" Wilford custodisce il motore eterno. Ma il popolo è stanco e sotto la guida di Curtis (Chris Evans) inizia l'ennesima rivoluzione.
Volendo trovare un filo conduttore nelle opere di Bong Joon-ho, questo potrebbe essere il gioco, la volontà di giocare con i generi cinematografici, di svecchiarli e reinventarli per farne qualcos'altro: non sterili contenitori ma pur sempre contenitori, per raccontare tra le righe la storia tormentata della Corea o, come in questo caso, una storia universale. Il thriller (Memories of Muder, ma anche Mother), il monster movie moderno (The Host) e ora la fantascienza distopica, ma, più in generale, il blockbuster americano, vero e proprio genere che il regista abbraccia con grande naturalezza, senza scendere a compromessi, coniugando classico e moderno, scene di grande eleganza con sequenze d'azione concitatissime.
Bong sostituisce giganteschi eserciti in computer grafica con pochi disperati stretti in un vagone, sporchi, male armati e sempre in netto svantaggio, eppure gli scontri sono assolutamente spettacolari, orchestrati alla perfezione con un uso misuratissimo di ralenty e camera a mano. Ancora una volta aderisce ad un modello di riferimento e lo rivoluziona, sceglie la forma del bockbuster senza subirla, limando le imperfezioni e i cliché che sono la rovina del cinema d'intrattenimento. Emblematico in questo senso il personaggio di Chris Evans, presentato fin da subito come eroe dal cuore tenero, il classico leader che non vuole essere leader, eppure, man mano che avanza da un vagone all'altro, scopriamo qualcosa in più su di lui, su cosa ha fatto e cosa è disposto a fare pur di raggiungere la meta. Un viaggio di deformazione che cambia la nostra percezione dell'eroe e rende difficile se non impossibile qualsiasi forma di immedesimazione.
Senza rinunciare all'ironia e alla spettacolarità, Bong riesce a raccontare tutto l'orrore di una rivoluzione in scala ridotta, una guerra violentissima, fatta di sacrifici enormi e compromessi ancora più grandi, ma soprattutto ci racconta un'umanità condannata a ripetere gli stessi errori (come il treno è condannato a ripetere il suo giro, e i suoi passeggeri  a rivivere gli stessi cicli) irrimediabilmente violenta e incapace di esistere senza gerachie. Una razza votata all'autodistruzione, che transita per qualche istante nell'immensità della storia mentre fuori dal finestrino il mondo va avanti.


3 commenti:

  1. Dal trailer ho avuto la sensazione che fosse una cagata...Non mi hai convinto al 100%.
    I will back

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    1. Dagli un'occasione perché sicuramente non è una "cagata". La maggior parte dei trailer danno un'idea completamente sbagliata del film.

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  2. Visto oggi! Per puro caso perchè eravamo andati per i Lego ma una mandria di bambini gremlins ha impedito l'accesso: mai imprevisto fu più divino!
    Film spettacolare, davvero bello! Tutta la sala era incollata allo schermo, siamo rimasti entusiasti!

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