domenica 20 gennaio 2013

Django Unchained di Quentin Tarantino

Nelle sale dal 17 gennaio

Dopo Bastardi senza gloria, credo siano rimasti pochissimi spettatori che ancora non hanno imparato a conoscere e capire il cinema di Quentin Tarantino. Amarlo certo è un altro discorso, ma è diventato sempre più raro sentire qualcuno che scambia omaggi per plagi e si indigna davanti a scambi di battute così poco convenzionali. Certo c'è ancora qualcuno che magari a fasi alterne cede e sprofonda nella poltrona, ma sono pochi e spesso non lo ammettono. Insomma con il meritatissimo successo di Bastardi senza gloria Tarantino è stato finalmente metabolizzato dal grande pubblico, quindi non perdo tempo a ricordarvi l'importanza degli spaghetti western nella sua formazione di spettatore prima e regista poi, la conoscete già, e chi ormai lo conosce sa che quando Tarantino mette le mani su un genere cinematografico, in realtà sta facendo tutt'altro; di conseguenza saprete anche che il suo omaggio agli spaghetti western lo ha già girato, disseminato lungo tutta la sua filmografia. E Django Unchained naturalmente non costituisce l'eccezione, perché del western all'italiana veste solo gli abiti, o forse nemmeno quelli. 
L'irresistibile Christoph Waltz interpreta il Dottor King Shultz, che come tutte le leggende del far west ha un passato avvolto nel più fitto mistero. Immigrato tedesco, ex artista circense, ex dentista e ora temibilissimo cacciatore di taglie finito nel profondo sud a dare la caccia ai fratelli Brittle. Purtroppo non ha mai visto in faccia i ricercati in questione, così si rivolge allo schiavo Django (un Jamie Foxx che in quanto a glacialità non ha nulla da invidiare a Franco Nero) per poterli identificare. Oltre alla libertà, Schulz gli promette di aiutarlo a liberare sua moglie Broomhilda dalle grinfie del negriero Calvin Candie (un esplosivo Leonardo di Caprio). Così, riscosse le taglie, questo eroico e incazzatissimo Sigfrido parte alla volta di Candieland.

 
I panni sono quelli dello spaghetti western ma la sostanza è tutta blaxploitation, e nel caso non fosse abbastanza chiaro, ce lo ricorda Tarantino stesso attraverso una delle innumerevoli citazioni da cui veniamo sommersi: la bella Broomhilda infatti è stata cresciuta da tedeschi, e il suo nome completo è Broomhilda Von Shaft, il che suggerisce una lontana parentela con il detective John Shaft, protagonista dell'omonima pellicola del 1971 diretta da Gordon Parks, e spesso considerata capostipite del genere blaxploitation (nel 2000 è stato realizzato un remake in cui Shaft era interpretato proprio da Samuel L. Jackson, che qui interpreta lo “schiavo” Stephen, mi piacerebbe poter parlare di coincidenza ma Jackson è praticamente dappertutto). 
A voler essere più precisi, ci troviamo di fronte ad un buddy/revenge movie letteralmente inondato di sangue e infarcito di citazioni visive e musicali da tutta una serie di spaghetti western più o meno noti. Oltre ovviamente a Django di Sergio Corbucci, che presta il nome del personaggio, il tema musicale nei titoli di testa e Franco Nero, protagonista di un fugace cameo, ci sono riferimenti più o meno diretti a Il grande Silenzio e Il Mercenario, sempre di Corbucci, I giorni dell'ira di Tonino Valeri, e ovviamente Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone, più tutta una serie di film meno facili da individuare per uno spettatore italiano. 
Del western nostrano ritroviamo soprattutto gli stilemi, ben rappresentati dal ricorrente uso di un vertiginoso zoom nei reaction shot sui primissimi piani dei personaggi, con una particolare insistenza sul faccione di Leonardo Di Caprio. E naturalmente le musiche, da Morricone a Micalizzi passando per Bacalov, nella solita memorabile colonna sonora che però non manca mai di ribadire in modo piuttosto plateale la natura blaxploitation di cui sopra, basta pensare all'Ode to Django del fedelissimo RZA o all'improbabile duetto tra James Brown e Tupac Shakur. 
A sottolineare questa graduale virata ci si mette anche un non troppo repentino cambio di location. A una prima parte che si concede un sacco di scene in esterno, con campi lunghi e lunghissimi su pianure prima desertiche e poi completamente innevate, ne segue una seconda in cui i veri protagonisti sono gli interni, come i localacci sordidi in cui Calvin Candie si rintana, o la terribile Candieland. Spazi chiusi in cui Tarantino si trova più a suo agio per creare quel mix letale di suspense e tensioni pronte ad esplodere, e dove Django può finalmente dipingere le pareti di rosso, facendo schizzare sangue e schegge in faccia allo spettatore. Ed è questo forse uno dei punti di forza del film, una dose di violenza enorme, gratuita e genuinamente divertente, che anche dopo oltre due ore, riesce ancora a sorprendere e a strappare qualche sonora risata: teste di cavallo che esplodono, litri e litri di un sangue densissimo e gli immancabili occhi cavati. Ma è anche una violenza che nonostante tutto riesce a turbare, come succede all'impassibile Dottor Shultz costretto a guardare un uomo sbranato dai cani, o nella scena del combattimento tra schiavi, dove i pugni risuonano così forte che sembra quasi di sentirli sulla propria pelle. Una violenza terribile e liberatoria, quella di uno schiavo che impugna la frusta e restituisce tutti i colpi ricevuti, con gli interessi e un sorriso beffardo stampato in faccia. E Tarantino si accanisce allo stesso identico modo, dipingendo un sud peggiore di quello visto in Killer Joe, pieno di trogloditi che non sono nemmeno in grado di organizzare un linciaggio.
L'altra ciliegina sulla torta neanche a dirlo sono le interpretazioni. Sorvolando su Jamie Foxx, che deve solo far parlare le pistole e fulminare con lo sguardo, il cast è un'autentica delizia. Andando per ordine di apparizione troviamo un micidiale Christoph Waltz, ancora una volta nei panni dell'adorabile canaglia, questa volta leggermente più adorabile ma non per questo meno affascinante e sfaccettato. Il suo personaggio poi è assolutamente geniale, un raffinato tedesco finito in mezzo a schiavisti rozzi e ignoranti che faticano a stargli dietro con le parole e soprattutto con le pistole. 
Subito dopo ci si imbatte in un sorprendente Don Johnson, che forse non deve sforzarsi troppo per tirare fuori l'accento da sudista ma è comunque irresistibile. Probabilmente il suo è il personaggio più massacrato dal doppiaggio italiano, un vero peccato. Memorabile anche se molto straniante la scena dell'agguato, con una cavalcata che ricorda tanto quella dei membri del KKK in Nascita di una nazione. 
Di Caprio è una bomba ad orologeria, parte sommesso e disgustoso e conclude con un monologo tesissimo che lascia ammutoliti. Da ricordare anche solo per il fatto che dopo essersi mutilato la mano con un bicchiere rotto va avanti come un treno senza fare una piega. Un personaggio che ami odiare. E a proposito di odio, c'è il peggio del peggio, Samuel L. Jackson nei panni del fedele Stephen, lo schiavo che fa della viscida complicità con i padroni la sua arma, un bellissimo personaggio a due facce, disgustosamente servile in pubblico, spietato e calcolatore in privato. E' bello anche solo riscoprire Jackson in un ruolo degno di questo nome. Insieme sono un'accoppiata fenomenale e i loro scambi di battute sono spassosissimi.
E poi c'è la bellissima messa in scena, con la solita cura maniacale per i dettagli che quasi stride con la rozzezza dell'insieme, la scelta dei costumi, dei piccoli oggetti di scena, delle scenografie, o anche solo quella dei volti delle numerosissime comparse, tutte adeguatamente imbruttite con dentature disgustose, bende sugli occhi e capelli untuosi. 
All'apparenza tutto perfetto, eppure messo da parte l'entusiasmo ho l'impressione che manchi qualche centimetro per arrivare al capolavoro, o più semplicemente per mettere questo Django Unchained allo stesso livello degli altri lavori del regista. Forse i problemi più vistosi sono nella sceneggiatura e nella durata, il film infatti procede al galoppo per 165 minuti, che quasi sempre sembrano volare via, ma ogni tanto c'è qualche tentennamento e ci si rende conto che il tutto procede un po' a singhiozzo, soprattutto nella parte centrale dove la narrazione tende a farsi praticamente episodica, esattamente come avveniva in Bastardi senza gloria. Ma mentre lì la cosa ben si sposava con una struttura quasi corale, qui tende a dare al film un aspetto spezzettato e poco solido, e a sacrificare troppo il ritmo prima del climax finale.

5 commenti:

  1. Bella recensione, complimenti.

    Però sul fatto che un po' tutti comincino a capire il cinema di Tarantino non sono troppo daccordo, mi ritrovo di più in quello che dice Frusciante, in realtà il grande pubblico non lo capisce veramente, ma gli piace perché nei suoi film c'è una buona dose di violenza, e in effetti devo dire di averlo riscontrato anche io parlando con altri, quando salta fuori Tarantino l'unica cosa che riescono a dire per giustificare il loro apprezzamento è il fatto che c'è un botto di sangue. Inoltre, al cinema, durante la proiezione di Django la gente spesso rideva in alcuni dei momenti più drammatici e non si è sentita una risata in alcuni di quelli più divertenti.
    Per il resto mi trovo daccordo su ciò che hai scritto.

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    1. Grazie!
      Beh ma avvicinarsi a Tarantino solo perché è particolarmente violento e comunque un inizio, poi lo spettatore meno pigro può sempre approfondire per conto suo.
      Sicuramente c'è chi si ferma agli aspetti più superficiali come dici tu, ma io conosco anche diverse persone che dopo Bastardi senza gloria hanno iniziato a conoscerlo veramente.

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    2. Devo ammettere che, mai come in questo film, i momenti drammatici e quelli comici coincidevano spesso.

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  2. Io ho avuto sfiga... In sala ridevano tutti ad ogni parolaccia pronunciata, manco fossero bambini delle elementari, e ho sentito più di una persona lamentarsi del fatto che fosse poco violento... Quindi mi fa senso vedere tutta questa euforia da parte di persone che non hanno alcun motivo per gasarsi, se non quello di '' minchia paura cioè troppo splatter tarantino è un grande!!!'' Comunque ottima recensione che condivido appieno, anche se non essendo fan del genere avrò mancato grandissima parte delle citazioni del film...

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    1. Grazie. A me è andata meglio, qualche risata ma nulla di eccessivo. Forse l'ora tarda e la durata hanno aiutato.
      Credo che in pochi siano riusciti a cogliere la stragrande maggioranza delle citazioni, anche perché spesso va a pescare fuori dal genere di riferimento, come fa sempre.

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