domenica 20 gennaio 2013

Lo speciale. Django: uno, nessuno e centomila.

"Django!/ Django, now your love has gone away. /Once you loved her, whoa-oh... /Now you've lost her, whoa-oh-oh-oh.../But you've lost her for-ever, Django". Louis Bacalov featuring Rocky Roberts.

Gli inglesi hanno James Bond, i giapponesi Godzilla, gli americani ...bè loro ne hanno anche troppi, i francesi hanno Angelica e molti altri, gli italiani hanno Django. Numericamente -ovvero per numero di capitoli dedicatigli- non ha rivali. Qualunque pessimo regista ci ha provato, qualunque pessimo attore o macchietta ce lo ritroverete dentro, qualsiasi pessimo sceneggiatore ha voluto dire la sua. E così Django è cresciuto e ha varcato i confini italiani per finire persino nell'estremo oriente ed oggi nell'America di Tarantino.
Quanti Django esistono? Difficile dirlo, sono come la muffa, ma in questo speciale tenteremo di ritrovarli tutti, persino i suoi cugini di terzo grado e persino quelli in cui non c'è Django.

"-E in principio fu Corbucci".
1966, in Italia è scoppiata una moda, un caso, un genere. Da ormai due anni Sergio Leone ha dato il la allo spaghetti western -facendo subito uscire i suoi film da questa denominazione-, termine dato dagli americani, ovvero il western all'italiana. E' un genere semplice; non servono molti soldi, non servono grandi attori e la sceneggiatura si può scrivere in poche ore. Eppure il pubblico ne va pazzo e ne chiede sempre più. 
Il western all'italiana è molto diverso da quello americano d'epoca, ormai antico. Effettivamente è più brutto e più sporco, meno fine ma è proprio questo il suo fascino. Però appunto, dovete dimenticare Leone e la sua trilogia del dollaro perchè dobbiamo scendere in un universo sconosciuto e tetro da cui non è facile fare ritorno, fatto di registi svogliati, paesaggi spagnoli e parecchi litigi oltre che mille versioni diverse riguardo qualsiasi scena. Ognuno ha il suo ricordo e guai dire il contrario.
La cosa che l'italiano sa fare meglio al mondo è cavalcare l'onda. Se c'è riuscito Leone, quel ciccione barbuto che ha rubato l'idea a un filmetto giapponese e l'ha girato stravaccato sulla sua seggiolona, ci riusciamo tutti, con questo grido iniziò il tutto. Prima del Django corbucciano si erano cimentati già in tre o quattro, da Alberto di Martino con 100.000 dollari per Ringo a Duccio Tessari con Il ritorndo di Ringo (ovvio) fino a Joaquín Luis Romero Marchent (e il papa giovanni in porta! (cit.)) con I sette del Texas, coproduzione italo spagnola quindi è uno spaghetti y tapas western, e Mario Bava che ha codiretto Ringo del Nebraska (a ridaje).
Corbucci dopo aver esplorato qualsiasi genere ed essere stato apprezzato particolarmente per i suoi peplum, si era buttato a capofitto nel western con la tripletta Minnesota Clay (1965), Navajo Joe (1966) Johnny Oro (1966). Pronto al capitolo 4, un altro Johnny Oro sempre con Mark Damon come protagonista, le cose andarono diversamente. 
Manolo Bolognini, produttore e fratello del famoso regista, lo chiamò sul set di Johnny Oro per affidargli un nuovo western, perchè aveva bisogno di spendere poco e guadagnare tanto dopo il super flop che era stato La donna del lago di Bazzoni.
Prima di tutto venne deciso il nome e qui entriamo nella prima jungla composta di tante versioni. Corbucci ricorda che il nome Django è un omaggio al chitarrista belga Django Reinhardt, consigliatogli da Vivarelli. Bolognini invece dice che era il nome di un chitarrista greco che nessuno conosceva. Insomma, almeno siamo d'accordo che fosse un chitarrista. 
Poi la sceneggiatura e qui le versione aumentano. Vivarelli ricorda "Mi chiamò e mi chiese: Pierino, lo faresti ancora lo sceneggiatore? Allora, passa domani da Bolognini in ufficio e firma il contratto per la revisione. Dopo andai a casa di Sergio e gli chiesi, allora, cosa avete? Sergio mi disse: C'è questo pistolero che cammina da solo trascinandosi dietro una bara nella fanga. E poi? Poi non lo so. Allora inventammo il film partendo dal finale. Sergio aveva già fatto un finale col pistolero sordo, poi con quello cieco. Gli dissi facciamolo senza mani. Cioè senza mani perché gliele hanno calpestate i messicani. E così venne la storia. All'incontrario.". Bolognini invece sostiene che sia tutta stata scritta dal fidato Franco Rossetti, il quale ricorda che Vivarelli venne coinvolto solo alla fine per una revisione. Un altra versione vuole che ci sia la mano di Fernando Di Leo che scrisse per una notte intera con Corbucci che gli disse "Io vado a dormire, tanto mi va bene tutto quello che scrivi".
E poi, ovviamente, lo stesso Corbucci ricorda di averne scritta gran parte sul set, lui in persona e che l'idea della bara gli era venuta dopo aver letto un fumetto. Questo tipo di storie è alla base di molti film italiani; un figlio, mille padri. Eppure la cosa più interessante è che nessuna versione escluderebbe a priori l'altra, mah...

Al contrario di quanto è creduto da molti oggi, Django non è un capolavoro, almeno secondo molti addetti ai lavori del tempo, in primis Corbucci che si svegliava la notte con gli incubi e sostenendo che stava facendo un disastro, era tutto sbagliato. Addirittura arrivò a un passo dal mollare tutto.
Un altra storia però racconta che Corbucci non avesse mai voluto girare Django e che di fatto non lo girò e non mise mai piede in Spagna, sul set. Ruggero Deodato dice che l'ha girato quasi tutto lui. Vivarelli dice che qualcosa l'ha girata lui e che Deodato non c'era mai mentre Corbucci si. Corbucci dice che lui c'era e che Vivarelli si ma non girò e Deodato non c'era. Ci capite? No. Franco Nero ricorda che Corbucci e la troupe gli fecero uno scherzo -lo fecero camminare, trascinando la bara per una lunga strada, fino alla svolta dietro a una montagnola. Solo quando avesse sentito la parola stop poteva girarsi e tornare indietro. Pioveva e Nero aveva la febbre. Dopo mezz'ora che camminava si girò e tornò indietro. Erano già andati tutti a casa- questo quindi dimostra che Corbucci c'era. E...no mi arrendo. 
A proposito di Nero. Corbucci non lo voleva, lui impazziva per Damon ma dovette cedere e in seguito asserì entusiasta che "John Wayne aveva John Ford, e Franco nero ha me!". Si cercò anche di cambiare il nome dell'attore in Frank Black ma il suo nuovo protettore cassò l'idea "Ma no, fa schifo!".

Django fu un successo impensabile, soprattutto perchè, si simile ai capitoli di Leone, ma molto più violento e sporco. In Django c'è un orecchio mozzato, molto più sangue e molta più morte. Incassò cifre astronomiche e diede vita a una infinita sfilza di progenie. 

"-Ferdinando Baldi scelgo te!"
Il primo seguito non ufficiale fu Texas addio. Di nuovo Franco Nero, di nuovo Bolognini produce ma niente Corbucci, entrato in conflitto con il produttore e regia affidata al navigato Ferdinando Baldi, alla prima con un western, genera da lui disprezzato. In Texas addio non c'è nessun Django ma diciamo che lo stile è quello. Si sarebbe dovuto chiamare Viva Django ma nessuno sa spiegare perchè venne cambiato il titolo e Nero prese il nome di Burt Sullivan. Entro poco però la Warner Bros. strappò Nero dall'Italia e lo mise sotto contratto per Camelot dove incontrò Vanessa Redgrave e si innamorò senza quasi più tornare indietro. In attesa di un nuovo volto per il personaggio -e bastava poco per trovarlo- Baldi diresse il musicarello Little Rita del West con Rita Pavone (dove c'è un Django). Un vero e proprio cult che diede fama al coprotagonista, un certo Mario Girotti, poi divenuto Terence Hill. L'abbiamo trovato. 
Venne quindi girato il primo sequel con un vero Django tra i protagonisti, ovvero Preparati la bara, che in pratica è un prequel. Per tutti quelli che dopo aver visto il primo erano curiosi di sapere perchè la bara e perchè tante altre cose, in questo prequel vengono date molte risposte. Alla sceneggiatura c'è ancora Rossetti, Terence Hill viene truccato e bardato à la Django ma, seppur ne venne fuori un buon film, il migliore dei seguiti secondo la maggioranza, Hill non era adatto a fare il cattivo, lo spietato, il sanguinario. Venne quindi scaricato, ma tornerà con il suo ruolo più famoso, quello di Trinità.

"-Brutto figlio di....Django"
Se persino Godzilla ha avuto un capitolo dedicato al figlio (due addirittura) e Indiana Jones ha visto il suo erede di sangue nel numero 4, è giusto che anche Django abbia il suo erede. Nel 1967 esce Il figlio di Django (all'estero The return of Django) con Gabriele Tinti e diretto da Osvaldo Civirani.  Brutto è dire poco, la critica ci sguazzò cercando in più modi possibili di insultarlo velatamente o augurargli ogni possibile male fisico e psicologico.Inoltre è un Django educato alla vendetta e alla giustizia da un prete cattolico. Stranamente non ci fu un Nipote di Django, chissà perchè.

"-Il falso Django numero uno"
Prima di continuare biogna fare un passo indietro. Pochi mesi dopo l'uscita del film di Corbucci, uscì Django spara per primo ovvero il primo caso di uso del nome a scopo commerciale. Il film di Di Martino con protagonista l'olandese Gleen Saxson non ha molto a che fare con Django o con la sua saga. E' un western classico influenzato da I tre moschettieri di Dumas (chi ha visto Django Unchained dirà "ma dai!"), ma è evidente che il titolo venne cambiato di corsa per seguire l'onda del successone. Ah gli italiani...

"-E gli altri falsi Django".
Sempre del 1966 è Pochi dollari per Django che vidi tempo fa, verso le 3.32 della notte su Italia Uno di Léon Klimovsky, uno dei tanti argentini che ha trovato l'america in Italia. Breve parentesi; la versione mandata in onda era terrificante. Tutta graffiata, con la pellicola -eh si, nonostante fosse in tv- che saltava continuamente e convulsamente, tanto che a volte si vedevano i bordi neri sopra e sotto. Cercai in qualche forum qualche commento su questa perla e tutti si lamentavano della stessa pessima qualità. Mi dissi, "possibile che l'hanno visto tutti su Italia Uno, ieri" quando uno dei forumisti disse "eh si, e pensate che è la stessa che hanno piazzato nella versione DVD". Ah...bene.
Pochi dollari...è tanto brutto quanto noioso e quanto slegato al vero Django. Ennesimo caso di nome appioppato a prodotto già pronto. Ma Klimovsky è un bel soggettone e non si accontentò di uno, ne fece quindi un altro nel 1969, con il titolo Django cacciatore di taglie, vagamente più legato all'originale. In nessuno dei due casi il protagonista si chiama Django, solo nell'edizione italiana prese quel titolo. Un andamento inverso ci fu in Germania ma ci arrivo. Se volete approfondire Klimovsky, a parte farvi qualche domande sulla vostra vita, vi invito a vedere anche La vendetta dei morti viventi, Dr. Jekyll y el Hombre Lobo, La sfida dei Mackenna e Le messe nere della contessa Dracula.

Altri casi simili sono quelli di  Django killer per onore (1965) di Maury Dexter, dove in realtà il protagonista si chiama Reese, Django non perdona dove il protagonista è un Peter, Nato per uccidere (1967), di Tony Mulligan, al secolo Antonio Mollica, cambiato di corsa in Django, nato per uccidere. Troppo di fretta perchè il protagonista nel doppiaggio rimane Rod Gordon, geniale. "Si ma chi era Django?" si sarà chiesto il pubblico. Poi I vigliacchi non pregano (1968) di Mario Siciliano dove Brian (Gianni Garko) diventa Django e Uccidi Django... uccidi per primo! (1971) diretto da Sergio Garrone -che manco se ne ricorda ma che non si fermerà a un Django solo- con Giacomo Rossi Stuart che nel film è un Johnny.
Ed infine il giallo western  Hai sbagliato... dovevi uccidermi subito! (1973) di Frank Bronston, al secolo Mario Bianchi, dove Django è uno sceriffo, lo sceriffo Django Ginzburg e deve risolvere dei casi misteriosi. 

"-Il vero Django non è Nero, è un brasiliano"
Antonio De Teffé non dirà nulla a nessuno, ma se dico Anthony Steffen...idem. Steffen è un attore che avrete di sicuro visto almeno una volta nella vostra vita. Se vi è mai capitato di guardare un film italiano o coprodotto dall'Italia, degli anni 70 lo avrete di sicuro incrociati. C'è in tutti! Quelli brutti ovvio. Ebbene lui batte Franco Nero per numeri di Django, veri, tarocchi e presunti veri, presunti tarocchi. Era Django in Pochi dollari per Django, lo è di nuovo in Django il bastardo, un western-horror di Garrone -dove è presente una scena meravigliosa. Tutti sono alla caccia di Django ma nessuno sa come sia fatto. Allora uno scagnozzo entra in un saloon e urla "Chi sa usare la pistola, andare a cavallo e vuole guadagnare 1000 dollari venga con me. Dobbiamo trovare un certo Django ma non sappaimo come è fatto, sappiamo solo che gli piace giocare con le croci". Tutti entuiasti lo seguono. Lo scagnozzo si gira e vede in un angolo Django che gioca a carte, sta facendo delle croci. Non sapendo chi sia gli propone di andare con lui ma Django rifiuta "vedo, io so fare solo delle semplici croci". Al che, tutti gli spettatori dicono "bella battuta! che ganzo!". Solo che lo scagnozzo esce dal locale, guarda e comanda i suoi nuovi sottoposti e dopo circa due minuti dice "Ah! Delle semplici croci! Era lui!" ahaha dicesi, velocità di ragionamento- poi in Una lunga fila di croci sempre di Garrone con Mario Brega e dove c'è il primo scontro con Sartana, poi nello spagnolo W Django ed infine pure in Shango, la pistola infallibile,  terribile storpiatura anti SIAE(?) oltre nel già menzionato Uccidi Django...uccidi per primo.
Breve escursus su Sartana già che ci siamo. E' il suo rivale numero uno. Lo incontra varie volte ma in Django sfida Sartana, nonostante il titolo, sono alleati per una causa comune. Alla regia c'è l'"intellettuale" e senatore Pasquale Squitieri. Uno zozzeria di film, breve ma interminabile. Un altra cosa interessante; Sartana non è altri che una taroccazione del Sabata di Lee van Cleef. Alla fine Django VS Sartana è quasi una sfida tra chitarristi, un storpiati (Santana).
Tra i film dove si incontrano, merita la citazione anche il poverissimo Quel maledetto giorno d'inverno, Django e Sartana all'ultimo sangue (1970) con l'americano Hunt Powers e di Demofilo Fidani, il film è reperibile in spagnolo su Youtube, ed anche Arrivano Django e Sartana... è la fine!( 1970), firmato da Dick Spitfire, alias Diego Spataro. E'un film dove non succede nulla per interi minuti, decine di minuti, tanto che ci sono degli inserti copiosi da ...e vennero in quattro a uccidere Sartana. Probabilmente il peggior western della storia mondiale. 
Non pago, Demofilo Fidani (con quel nome...) realizza nel 1971 Django Story o anche conosciuto come Giù le mani ...carogna dove Django, in romanaccio, racconta e fa rivedere le sue avventure nei film diretti da Fidani. Il riciclo.

"-Gli ultimi fuochi italiani...laziali e siciliani per la precisione"
Il romanissimo Nino Scarciofolo, ribattezzato Jeff Cameron, diventa Django in Anche per Django le carogne hanno un prezzo (1971) definito dalla critica orrendo, terrificante, disgustoso. Eppure il trailer ne parlava come "un film di azione che esalta la psicologia di ogni uomo che si riconosce in Django", in realtà Django non fa altro che ordinare bare per tutto il film. Infine gli ultimi due: Allegri becchini... arriva Trinità dove trinità si fa chiamare Django (urgh!) e Seminò la morte... lo chiamavano il castigo di Dio dove il protagonista, un culturista ex dei peplum, si chiama Django o Durango, dipende dalla versioni.

Dalla sicilia con furore sono ben tre. Il primo è l'apocrifo Cjamango (non so come si pronunci) con Sean Todd (in realtà Ivan Dejerasimovic) diretto da Edward G. Muller, (in realtà Edoardo Mulargia) e scritto e prodotto da Glenn Vincent Davis (in realtà Vincenzo Musolino). Con pure un seguito, dall'altisonante titolo Chiedi perdono a Dio... non a me. Ed infine Non aspettare Django, spara!, sempre di questa premiata ditta ma senza Todd, impegnato in Se vuoi vivere... spara! dove interpreta Johnny Dall (ma in realtà Django).
Rimanendo in Sicilia come si può non citare i mitici Franco e Ciccio in una delle loro tante parodie western, con I due figli di Ringo dove Franco è Django.
"-Django nel mondo"
I sempre spettacolari turchi nel 1967 producono Cango Korkusuz Adam - Ölum Suvarisi con Tunc Oral. Cango è Django in turco e il titolo è letteralmente Django cavaliere della morte. Rimamendo in Turchia non riesco a consigliarvi il Rambo turco, lo Star Wars turco e l'E.T. turco, tutti reperibili su Youtube. Peccato l'assenza di sottotitoli di qualsiasi lingua. Era comunque usanza rifare i film americani di grande successo negli anni 80 invece che farne nuovi. Ma non costava meno importarli? No...
Nel 1972 in Brasile arriva D'Gajao mata para vingar capostitipe del bangue-bangue, lo spaghetti western verde oro.
E poi il Giappone. I giapponesi se magnano de tutto, quindi figurati se non si mettevano a omaggiare Django. L'ha fatto Miike nel 2006 con Sukiyaki Western Django, che a più riprese lo cita (soprattutto con quel finale) ma che più semplicemente si rifà a Yojimbo di Kurosawa e quindi a Per un pugno di dollari di Leone. Vivace, colorato, poco miikeiano, e a tratti lentino, è molto interessante e vale certamente la visione. Quella battaglia nel centro del paese, bello infangato, come il paesino corbucciano, sembra una prova generale per I 13 assassini (anche quello omaggio a I sette samurai di Kurosawa). Da ricordare il cameo di Quentin Tarantino che nel 2012 ha diretto Django Unchained.
Sempre rimanendo in Giappone e sempre nel 2006 uscì Bokura no taiyô DS: Django & Sabata (ehehe no, Sartana, ma fate pure) di Ikuya Nakamura un videogame, l'unico col nostro eroe. Credo sia impossibile reperirlo ma forse facile farselo spedire.
Passo indietro fino agli anni 60-70 e in Giamaica dove scoppiò la mania. Djangmaica dovevano chiamarla, oppure no. Vengono dedicati al pistolero un film, The Harder They Come di Perry Henzell, e una canzone raggae, The return of Django. 
In America, una copia del Django originale è conservata al MOMA di New York e George Lucas ha chiamato il padre di uno dei cacciatori di taglie più celebri della vecchia trilogia, Bobba Fett, Django, apparso nella nuova trilogia. Franco Nero sostiene che Jack Nicholson dopo averlo visto volesse comprarne i diritti per farne un remake. 

"-Il vero ed unico sequel"
Dopo 21 anni di attesa, Franco Nero torna ad essere Django nell'unico vero sequel, Django 2 di Nello Rossati AKA Ted Archer (avrebbe dovuto dirigere Corbucci ma si chiamò fuori per paura di un grande flop). In questo seguito, Django è vecchio e stanco, si è ritirato da tempo in un monastero. Riprende la pistola quando scopre che la figlia che non sapeva di avere, è stata rapita da un cattivone e condotta a lavorare come schiava in una miniera. Django entra, la libera, si libera grazie a Donald Pleseance (anche lui in quanto a film brutti...) e ritrova la bara con il suo amato mitragliatore per la carneficina finale.
Fu un massacro al botteghino però, non incassò nulla. E' a metà tra Rambo e Indiana Jones e soprattutto non è un western. Si parlò di occasione mancata e fino a Miike e Tarantino mise Django nella sua tanto amata bara.

Non posso però chiudere senza citare anche il Django a luci rosse, ovvero Django Nudo und die lusternen Madchen von Porno Hill o Nude Django di B. Ron Elliot. Qui i buchi vengono tappati, credo.
E soprattutto senza ringraziare il mitico Marco Giusti e il suo Stracult e il suo dizionario del western. Grazie per rendere film, saghe e attori e registi insignificanti, valevoli di un'approfondimento.
VIVA DJANGO!

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