mercoledì 4 settembre 2013

A field in England di Ben Wheatley

Qui ne trovate un'altra stupenda
Disponibile in dvd e blu ray sugli store inglesi
Solo in lingua originale con sottotitoli

Il 5 luglio 2013, con una manovra distributiva forse senza precedenti, l'ultimo film del geniale Ben Wheatley veniva distribuito in tutto il Regno Unito attraverso ogni canale disponibile: le sale cinematografiche, dvd/blu ray, la pay tv e persino alcuni canali gratuiti, il tutto condito da un Q&A con il regista in collegamento satellitare in molte sale del paese. E non so voi, ma innamorarmi di un film al cinema e andarlo a comprare appena uscito dalla sala è uno dei miei sogni erotici.
Una splendida iniziativa (che io applicherei sempre, almeno per il cinema indie) e soprattutto un importante riconoscimento per un regista che dopo pochi anni e soli tre film (Down Terrace, KillList e Sightseers, di cui vi prescrivo la visione) è diventato uno dei nomi più importanti del cinema (di genere) indipendente.
E A field in England non potrebbe essere più indipendente di così, cinema che procede per brutali sottrazione fin dalla scelta titolo: un prato in Inghilterra, l'unica location del film, uno spazio totalmente spoglio da qualsiasi tipo di scenografia, reale o artificiale. Un lembo di terra incontaminata che per quanto ne sappiamo potrebbe essere lo stesso da centinaia di anni, e quindi il luogo perfetto per ospitare un film in costume sorprendentemente realistico. Siamo nel 1600, durante le guerre civili inglesi. Un uomo di nome Whitehead (Reece Shearsmith) fugge terrorizzato dal campo di battaglia e si imbatte in altri tre superstiti: Jacob (Peter Ferdinando), Cutler e il sempliciotto Friend (Richard Glover, l'inventore della roulotte per bici in Sightseers). Ingannati da Cutler, i tre finiscono in una trappola del diabolico O'Neill (Michael Smiley), che, dopo averli drogati con funghi allucinogeni, li costringe a cercare un tesoro sepolto nel campo.

Sottrazioni anche sul piano narrativo quindi. Wheatley e Amy Jump (moglie del regista) eliminano dalla sceneggiatura ogni elemento superfluo con un drastico lavoro di lima, finché sulla scena non restano soltanto cinque personaggi diversamente patetici e le loro esilaranti idiosincrasie. Pochi dialoghi taglienti che però bastano a mettere insieme un affresco grottesco e impietoso dell'Inghilterra del tempo, un paese di codardi e assassini dove i soldati abbandonano la battaglia per farsi una pinta e i servi non sanno nemmeno di avere le stelle sopra la testa ("Have you never looked up ?" "Sounds badly paid."), un ambiente e dei personaggi che rimano con quelli degli altri film del regista, e che tutti insieme, secondo la sua intenzione, vanno a comporre un unico distorto albero genealogico.
Se poi si riesce a superare lo scoglio dell'incomprensibile (ma bellissimo) accento inglese, gli scambi di battute tra Whitehead, Trower e Friend diventano dei momenti assolutamente irresistibili, carichi di un delizioso humor nero che non risparmia davvero nessuno (i problemi scatologici di Trower o l'interminabile elenco delle sue malattie).
E ancora, sottrazioni anche sul piano visivo, perché A field in England spoglia il cinema in costume di tutto il suo colore e ci lascia soltanto con un abbagliante bianco e nero, che, anche per via dello sfondo rurale, ricorda tantissimo quello di Il Nastro Bianco. Un omaggio al cinema sperimentale inglese anni '60 (i film di Peter Watkins e Kevin Brownlow) ma anche il modo migliore per dare il massimo risalto a linee e ombre sui volti bestiali dei protagonisti, spesso inquadrati con primi e primissimi piani dalla fotografia chirurgica di Laurie Rose.
Proprio Rose si è inventato per l'occasione un nuovo tipo di lente: il mesmerizer, ottenuto praticando un piccolo foro sul tappo dell'obiettivo, al cui interno viene incollata la lente di un telescopio per bambini. Un accorgimento che permette di mettere a fuoco solo ciò che si trova a pochissimi centimetri dalla lente, e che Rose e Wheatley usano per delle inquadrature in cui gli attori avanzano da una nebbia insondabile verso la macchina da presa.
Le grandi protagoniste della pellicola sono infatti le allucinazioni indotte dai funghi, dei "trip" che il regista sceglie di realizzare con lo stesso approccio minimalista che caratterizza il resto della pellicola. Invece di ricorrere ad effetti speciali digitali o a "inserti" di materiale esterno, Wheatley lavora quasi esclusivamente sul materiale girato, giocando con il montaggio o con la distorsione di suoni e immagini per creare effetti di simmetria ed echi visivi (la sfera nera, la macchia di sangue sulle mani, la pietra divinatoria). Troviamo per esempio un effetto "specchio" in cui tutto viene risucchiato verso il centro dell'immagine, oppure sequenze di fotogrammi provenianti da due o tre scene diverse che creano un cortocircuito visivo in cui l'occhio segue tre azioni contemporaneamente. Ci sono poi delle splendide inquadrature in cui gli attori restano immobili sulla scena come in dei tableau vivant pasoliniani (o come in My son, My son, What Have Ye Done), un espediente che accresce la sensazione di trovarsi di fronte ad un affresco storico grottesco e straniante.
Notevole anche il lavoro sulle musiche, assoli di chitarra languidi e malinconici, allegre canzonette folk molto dissonanti e una parentesi elettronica di ronzii e fruscii che scandisce l'ultima allucinante mezz'ora del film.
Se in questo delirio visivo a bassissimo budget metà del lavoro grava sul regista, l'altra metà è tutta sulle spalle degli attori, e il cast di A field in England è assolutamente fenomenale, un piccolo gruppo di attori che raggiunge un'alchimia quasi perfetta, così naturali che sembrano davvero saltati fuori dal 1600. Bravissimo soprattutto Reece Shearsmith, che in una struttura quasi corale e con un ruolo molto dimesso riesce a rubare la scena a tutti.
A field in England è un film sporco, spigoloso e opprimente, un delirio visivo che chiede moltissima complicità allo spettatore ma che in cambio offre una messinscena pazzesca, interpretazioni memorabili e un'esperienza divertente quanto disturbante.

Mentre scrivo, Ben Wheatley ha già preso accordi per portare sullo schermo High Rise (Il Condominio) il romanzo fantascientifico di James Graham Ballard, autore tra le altre cose di romanzi come Crash e L'impero del Sole. Non vedo l'ora.

 

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