martedì 4 febbraio 2014

Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée

Nelle sale dal 30 gennaio

Sai che gli Oscar sono vicini quando pellicole (ma si può ancora dire ?) come Dallas Buyers Club invadono i cinema. Storie vere dai risvolti drammatici, racconti di formazione costruiti intorno ad un personaggio (e quindi un attore) che in qualche modo riesca a catalizzare l'attenzione dello spettatore, possibilmente qualcuno disposto ad attraversare una trasformazione fisica più radicale possibile, che si tratti di lunghe e intensissime sedute di make-up, o di invasive metamorfosi auto-inflitte.
Quella raccontata da Jean-Marc Vallée è la vera storia di Ron Woodroof, elettricista e cowboy da rodeo (che qui diventa ovvia metafora, visto che il vero Woodroof era solo un appassionato) nel bigottissimo Texas degli anni '80. Omofobo, donnaiolo e consumatore abituale di droghe, un giorno perde i sensi sul lavoro e si risveglia in ospedale, la diagnosi è un'infezione da HIV, la malattia delle "checche", un male che ha appena iniziato a flagellare l'America e che il caso di Rock Hudson ha portato all'attenzione pubblica.

Il classico contrappasso, e un altrettanto classico stratagemma narrativo che di punto in bianco catapulta il protagonista dall'altra parte della barricata, tra quei diversi tanto temuti e repellenti. Una realtà che Ron è costretto suo malgrado ad accettare, prima per l'utile personale (il profitto ricavato dal traffico di farmaci, ma anche la semplice volontà di sopravvivere) e poi per un'inevitabile presa di coscienza, che forse arriva in modo anche troppo repentino. Il tutto trasportato nel profondissimo sud, in quel polveroso Texas che Matthew McConaughey aveva già attraversato negli stivali dello spietatissimo Killer Joe, un enorme parcheggio di camper sul cui sfondo svettano onnipresenti pozzi di petrolio. La storia di Ron non poteva svolgersi in un luogo migliore (o peggiore, a seconda dei punti di vista), su quel confine estremo che in un certo senso è anche il cuore dell'America e delle sue contraddizioni, lo Stato in cui alcohol, droga e prostituzione sono più tollerabili o moralmente più accettabili dell'omosessualità (torna in mente la scena del maggiordomo nel recentissimo The Wolf of Wall Street).
Il disastro era dietro l'angolo, o meglio, i presupposti per un biopic all'insegna del patetico c'erano tutti, ma Melisa Wallack e Craig Borten (che ha ricostruito la vicenda di Woodroof dalle interviste) riescono a mantenere il controllo sulla storia e ad evitare grossi scivoloni. Per esempio ci viene risparmiata una storia d'amore nel verso senso del termine, anche perché le condizioni fisiche del protagonista avrebbe impedito gli sviluppi classici del genere. Dall'altro lato però si nota una certa goffaggine nelle scene "catartiche", come quella in cui Ron viene ricoperto dalle farfalle, che alludono didascalicamente ad un'avvenuta metamorfosi. I due sceneggiatori quindi imboccano la strada della fiction, e in diverse occasioni si allontanano di molto dal dato reale, per esempio riducendo al minimo lo spazio dedicato alle vicende giudiziarie di Woodroof, oppure eliminando e aggiungendo personaggi (nessun riferimento alla figlia di Ron, mentre Rayon e Eve sono personaggi inventati). Il risultato è un film diviso, o forse sarebbe meglio dire indeciso, tra dramma, biopic e film di denuncia (in leggero ritardo), e, nonostante la durata, si ha come l'impressione che tutto proceda troppo frettolosamente, soprattutto per quanto concerne l'evoluzione del personaggio, che passa da perfetto imbecille a sensibile attivista politico in un paio d'inquadrature. Tant'è che per descrivere la sua maturazione è necessario ricorrere a scene emblematiche come quella del supermercato.
Neanche a dirlo, a reggere la baracca sono proprio Matthew McConaughey e Jared Leto (già premiato con il Golden Globe), che come Christian Bale in American Hustle (ma anche The Fighter e L'uomo senza sonno) scelgono di puntare (quasi) tutto sulla fisicità. Ma se la trasformazione di Bale nel film di O'Russell sembrava un tantinello fine a se stessa, qui assistiamo a un tentativo di avvicinarsi il più possibile alla condizione dei personaggi, sperimentando per quanto possibile lo stesso deperimento fisico. Ma al di là delle trasformazioni fisiche, McConaughey offre l'ennesima grande interpretazione di questa stagione cinematografica, dimostrandosi attore maturo quanto versatile.
Jean-Marc Vallée dirige il tutto con mano tremolante, tentando di dare al film una patina documentaristica. Ma se cercate cinema verité sull'AIDS e le varie terapie vi consiglio il recente E agora ? Lembra-me di Joaquim Pinto.

1 commento:

  1. Allora non sono l'unico ad avere percepito quella sensazione di fretta e superficialità nello sviluppare Ron ed i temi collegati.
    Mi sono consolato però col fatto che comunque il film non annoia, ma sopratutto con le grandi prove di McConaughey e Leto.

    RispondiElimina