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venerdì 5 aprile 2013

Hitchcock di Sacha Gervasi.

Nelle sale dal 4 aprile.
Nel 1959, in seguito al grandissimo successo di Intrigo Internazionale, Alfred Hitchcock (o Iccicocke) si ritrovò davanti a un interrogativo cruciale per la sua carriera: e adesso? Dopo aver regalato alla storia del cinema pietre miliari in diversi generi, aver sperimentato nuove tecnologie, confinato l'azione in microcosmi o averla spalmata su monumenti nazionali, il maestro si trovava a corto di idee. Con la stampa già pronta a eleggere il suo erede e una banda di cloni alle calcagna, una fama da mantenere e allo stesso aggiornare, Hitch doveva trovare l'ennesimo coniglio da cavare dal cilindro. Ed è così che gli capitò tra le mani il libro Psycho, di Robert Bloch, ispirato alla reale vicenda di Ed Gein, il macellaio del Wisconsin.
Scelse quindi di fare un horror a basso budget, uno slasher di infimo livello sulla carta, ma il genere più in voga in quegli anni, con migliaia di ragazzini che invadevano i cinema. Si finanziò da solo, andò contro le major e l'opinione di colleghi e amici, persino contro la censura. Ed ebbe successo, il più grande della sua carriera già gloriosa. Ma quanti e quali problemi affrontò durante la produzione e come venne accolto? (per un approfondimento, meglio il mio speciale su Psycho). 
Dopo The girl, produzione BBC-HBO uscita direttamente in tv che raccontava del rapporto tra Hitchcock e Tippi Hedren, ci ritroviamo a breve distanza con un altro film dedicato al grande maestro inglese. Fare peggio di quel film-tv era impresa ardua ma non impossibile a quanto ho visto.
Ispirato dal libro di Stephen Rebello, Come Hitchcock ha realizzato Psycho, un ottimo libro pieno di aneddoti sul film e sul regista, scritto con grande stile e dovizia di particolari, il film di Sacha Gervasi non potrebbe essere più inferiore e deludente di così.
Siamo di fronte al classico "era meglio e più approfondito il libro" anche se per una volta ci confrontiamo con un saggio di analisi e storia e non di narrativa. Nel film si perde tutto l'interesse che lo spettatore potrebbe trovare nello scoprire i tanti retroscena, le litigate tra gli attori e i problemi sul set. Rimane un lieve alone, un qualcosa di non detto, sovrastato dalla ben poco interessante diatriba coniugale tra Alfred e la moglie Alma.
E' vero che il film si chiama Hitchcock e non Psycho, ma questo non significa che non puoi parlare di un'artista attraverso una sua opera, non soprattutto quando hai una base, il libro di Rebello, così affascinante. Tra una scenata di gelosia e l'altra, tra un tentativo di far apparire Hitch come uno stronzo (ci riusciva molto meglio il prodotto BBC-HBO) e uno di far apparire Alma come una devota e maltrattata madre di un bimbo troppo cresciuto, ci si dimentica del resto e ci propinano un finale romanzato e felice che è tuto il contrario di come proseguirono realmente le cose (ancora una volta, The girl).
L'approfondimento della psiche di Hitch è affidata ad alcune imbarazzanti conversazioni con un Ed Gein immaginario. Per il resto non si impegna molto, a parte quando lo vediamo pensare al passato, fatto di Grace Kelly, Vera Miles e Ingrid Bergman o quando si incazza perchè insoddisfatto dalla vita. In definitiva era solo un ciccione bontempone frustrato e sempre in giacca e cravatta, anche quando fa giardinaggio. Non si fa un solo riferimento alla sua bravura e inventiva da regista o alla sua infinita conoscenza dei mezzi.
Quindi si, non parla di Hitchcock, non parla di Psycho, non parla di nulla che sia interessante.

domenica 10 giugno 2012

My week with Marilyn di Simon Curtis

(uscito nelle sale italiane il 1 giugno)
Nel 1957 il leggendario Laurence Olivier si apprestava alla sua quarta fatica da regista cinematografico. Dopo tre opere di Shakespeare (Amleto, Enrico V e Riccardo III) era pronto a fare qualcosa di più leggero, ovvero la commedia Il principe e la ballerina, già portato a teatro con la moglie Vivien Leigh. Per la versione sul grande schermo però Viv era ormai invecchiata e serviva un volto giovane. Dall'altra parte dell'oceano Marilyn Monroe era al culmine della fama. Aveva già realizzato i suoi più famosi film e aveva lavorato con i più grandi, da Wilder a Hawks. Così nacque l'unione, artistica, tra Olivier e Marilyn.
Sul set c'era un giovane rampollo riccastro e innamorato del cinema, assunto come terzo aiuto regista, Colin Clark. Il ragazzo riusciì fin da subito a legare con l'nstabile attrice e la sua esperienza venne raccolta nel libro Il principe la ballerina e me, da cui è tratto questo film. Vediamo quindi il codazzo di ammiratori di marilyn, il suo status di dea e icona mondiale, le sue insicurezze e debolezze, il marito non tanto convinto Arthur Miller, la sua incapacità a recitare, le sue crisi, la sua leggerezza etc...
Tutto molto bello e educativo per chiunque abbia vissuto sotto un sasso per tutto questo tempo. Il film e l'esperienza di Clark non aggiungono esattamente nulla a quello che sappiamo, anche il più superficiale degli spettatori, sulla Monroe. Se la prima parte, quella delle prime difficoltà sul set è molto interessante e mostra delle ottime ricostruzioni del set de Il principe e la ballerina, i costumi ben ricalcati, introduce e caratterizza degnamente i volti noti della vicenda (Vivien Leigh già malata, un permissivo quanto poco credibile Olivier, o Paula l'insegnante del metodo Stanislavskij perfetta antitesi del teatro inglese) e ha un che di "nuovo", la seconda, quando Colin passa questa famosa settimana con la diva assume le dimensioni del racconto-spacconata da bar. Quella volta che mi feci un giro in macchina con la Monroe e facemmo il bagno al fiume.
A questo calo improvviso di interesse e mancanza di polpa, di ciccia, si male abbina un casting di favolosi attori si (la Williams sempre più brava, Branagh non ha bisogno di altre lodi), ma francamente lontanissimi dall'essere anche solo simili ai personaggi che interpretano. Michelle Williams non ha il phisique du role e meno male per lei, neanche l'aria da scema. Branagh non è Olivier, punto. Julia Ormon non assomiglia manco vagamente a Vivien (a da suo grande fan, mi dispiace molto, seppur la parte sia breve).
Si potrebbe passare sopra, vero, non sono altro che maschere dopotutto, eppure se passo sopra a questo non troov comunque nulla di salvabile pienamente.
In definitiva è un film di buona fattura ma risulta essere un riassunto concentrato dalla tipica e forse stereotipata immagine di Marilyn, senza aggiungere nulla e senza indagare troppo la sua psicologia. Un film da "occasione da cestone", quelli che meritano quel posto, ma spiccano comunque sul resto del pattume.

Voto 5--


Il Monco