martedì 13 agosto 2013

L'Étrange Couleur des larmes de ton corps di Hélèn Cattet e Bruno Forzani - Locarno66

Un'altra locandina stupenda
Concorso Internazionale

Ci sono un sacco di ottime ragioni per fare un salto al Festival del film di Locarno, dagli ospiti illustri (quest'anno davvero numerosi e importantissimi) alla variegatissima selezione di film in concorso e non. Ma per il sottoscritto, quest'anno valeva la pena esserci anche solo per assistere alla proiezione di L'Etrange couleur des larmes de ton corps, il secondo lungometraggio della coppia belga Hélèn Cattet e Bruno Forzani. Amer, il loro film d'esordio, era entrato nella mia personale top 10 ancora prima dei titoli di coda, un'esperienza unica a metà tra cinema d'avanguardia e omaggio ai Gialli anni '70, e questa loro seconda opera prosegue nella stessa folle direzione.
Dan Kristensen (Klaus Tange) torna a casa da un viaggio d'affari all'estero. La porta è chiusa dall'interno e nessuno risponde, sua moglie Edwige è sparita nel nulla lasciando solo una cappelliera piena di giocattoli. Dan inizia a cercarla, prima nell'appartamento e poi nel resto del palazzo, ma incontra una galleria di inquietanti personaggi che riescono solo ad infittire il mistero. Nel frattempo la palazzina che lo imprigiona e la realtà intorno a lui iniziano a piegarsi su se stesse.
Leggendo un riassunto della trama e osservando le prime sequenze, si potrebbe addirittura pensare che L'Etrange coleur sia un film più convenzionale rispetto ad Amer: c'è un protagonista ben identificabile, una storia apparentemente lineare e addirittura qualche dialogo sparso qua e là senza esagerare, ma è solo l'inizio, dopo queste brevi sequenze introduttive, sulla trama vengono innestate altre piccole storie, quasi dei cortometraggi, come le tre macro-sequenze che componevano la storia della protagonista di Amer. Poi di nuovo un altro scossone, e quel che rimane della trama viene letteralmente spazzato via da una spirale di immagini e suoni che confondono qualsiasi tipo di coordinata logica. Più che un film, L'Etrange coleur è un'esperienza sensoriale, un terrificante caleidoscopio che frantuma la realtà come un vetro colorato e la fa scorrere su se stessa producendo un rumore insopportabile, come nei meravigliosi titoli di testa, che non a caso richiamano alla memoria le immagini del Teatro Bolshoi in L'uomo con la macchina da presa.
Una realtà frantumata e quindi in un certo senso inafferrabile, perché il cinema di Cattet e Forzani non si preoccupa di coccolare lo spettatore con risposte e forme armoniose, ma anzi lo maltratta e lo tortura con una violenza più fisica che psicologica, bombardandolo con immagini di carni lacerate un numero infinito di volte, o suoni stridenti che quasi costringono a tapparsi le orecchie. Ed è proprio il suono uno dei veri protagonisti di L'Etrange couleur, elemento che fin dai primi istanti si impone prepotentemente all'attenzione dello spettatore con un volume ai limiti del nocivo. Ogni cosa viene trasformata in un elemento destabilizzante: l'urlo di una donna, lo sparo di una pistola ma anche il banale campanello di una porta, pulsazioni ripetute in modo ossessivo che fanno sobbalzare sulla sedia e stimolano in continuazione i timpani di chi guarda, mantenendolo in uno stato di tensione e angoscia quasi insostenibile. Una tecnica solo apparentemente rozza che nasconde invece una cura certosina e la creatività tipica dei grandi artigiani, quella in grado di trasformare il suono dei guanti di pelle (elemento tipico del cinema di Cattet e Forzani) in quello dei tendini sul collo di una donna urlante, con un effetto assolutamente fantastico.
A quello sul suono si aggiunge naturalmente un lavoro altrettanto schizofrenico sulle immagini, di volta in volta alterate con filtri colorati (altro marchio di fabbrica del duo), spezzettate con effetti caleidoscopici, frantumate in una serie di split-screen o semplicemente deformate con particolari tecniche di messa a fuoco. Tecniche nuove o già utilizzate dai due registi nei loro primi cortometraggi, basti guardare la sequenza in bianco e nero con Sylvia Camarda, che ricorda l'inizio di Chambre Jaune oltre che naturalmente La Jetee di Chris Marker.
Come Amer, L'Etrange couleur des larmes de ton corps è una lettera d'amore ai Gialli italiani degli anni '70, un chiaro omaggio ai soliti Bava, Fulci e Argento (quello di una volta, mi raccomando) e a registi solitamente meno citati come Sergio Martino e Massimo Dallamano. Ma trattare l'ultima incredibile fatica di Cattet e Forzani come un semplice film omaggio sarebbe scorretto e riduttivo, il loro è un cinema potente e personalissimo, qualcosa di così violentemente originale che non può e non deve essere analizzato a partire da altro. Potrà non piacere, e molto probabilmente non piacerà ai più (al festival pochi applausi e pochi superstiti), ma è un'eperienza cinematografica assolutamente unica.

I due geniali registi

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