mercoledì 3 aprile 2013

Come pietra paziente di Atiq Rahimi

Nelle sale dal 28 marzo.
Attenzione: articolo-recensione su film che nessuno leggerà/vedrà!
Lo scorso weekend (e va bene, giovedì) sono usciti diversi film interessanti. Tre blockbusters (The Host con Saoirse Ronan e tratto dalla nuova "fatica" letteraria della mamma di Twilight; Il cacciatore di giganti, con I Giganti, il gruppo rock melodico italiano anni 60; G.I. Joe - La vendetta, eh degli spettatori dopo il primo), Marsupilami (...)(si, ne ho visto metà), Due agenti molto speciali (con l'attore di Quasi amici, ormai non ha più un nome) e Un giorno devi andare di Diritti.
Avrei potuto parlare di uno a caso di questi film, soprattutto dell'ultimo Diritti, -ma sarebbe stato abbastanza breve, tipo "si belle immagini, bella fotografia, ma è la solita storia infarcita di retorica e buoni sentimenti. Non all'altezza degli altri suoi due, molto più documentaristici"- ma ho preferito scrivere di un bel film franco-afghano che non avrà il cast, i soldi o la pubblicità degli altri film ma vale quantomeno il doppio.
Come pietra paziente, tratto dal romanzo omonimo dello stesso regista, racconta di una donna afghana e del marito, in coma, dopo aver riportato una ferita al collo durante uno scontro a fuoco. Lei lo accudisce e tenta in tutti i modi di tenerlo in vita, nonostante i soldi scarseggino -sarà costretta a fargli una busta con acqua, sale e zucchero come alimentazione, invece che una soluzione medicinale. A complicare le cose c'è la guerra, tuttora in corso, con bombardamenti giornalieri, invasioni delle abitazioni da parte della milizia e famiglie stuprate, uccise e derubate, non necessariamente in questo ordine.
Man mano che il tempo passa l'uomo non guarisce, come invece aveva pronosticato il mullah, e la donna inizia a aprirsi con lui, e per la prima volta nel loro matrimonio di undici anni, parlano. O per lo meno, parla lei. Gli racconta del suo passato, di come sono le sue giornate e di quanto non abbiamo mai realmente vissuto insieme, se non al massimo per un annetto. Tramite i flashback assistiamo alla loro festa di fidanzamento o al matrimonio, dove in vece dell'uomo c'era solo un pugnale di guerra e una foto, anzichè lui, sempre impegnato in combattimento. 
La donna si rende conto di quanto sia stato terribile aver vissuto con lui ma proprio quando sta per lasciarlo senza alimentazione si rende conto che per una volta nella sua vita è felice. L'uomo è diventato come la pietra paziente (syngué sabour) di una nota storia tradizionale locale. Si dice che se ci si vuole liberare di un peso o di un segreto, bisogna raccontare tutto a una grossa pietra e una volta che si avrà finito, la pietra si gretolerà in mille pezzi, liberandoti.
Nel frattempo la loro casa viene invasa da un giovane militare impacciato che si innamora della donna. Lei per evitare uno stupro, si finge una prostituta, ma il giovane, vergine, la paga per godere del suo corpo. Per lei sarà l'occasione di poter essere finalmente felice e libera anche nell'atto dell'amore.

Acclamato al TIFF, la seconda opera del regista, documentarista e scrittore Atiq Rahimi arriva anche da noi questo bellissimo esempio di grande cinema che contrappone la prigionia del corpo con quella dello spirito e dell'anima. Un film fatto di silenzi assordanti, di cose non dette per non essere didascalici ma cristalline. Per fortuna che ancora una volta la Francia, qui nella figura di Jean-Claude Carrière, ci permette di godere di pellicole simili e di aprirci verso un mondo e una cultura da noi conosciuta solo per luoghi comuni.
Difficile parlare di film simili. Da una parte si tende a non essere obiettivi davanti a storie di questo spessore. Il valore tecnico, registico o quant'altro, perdono di importanza quando si ha il coraggio di trattare un tema così pesante come la condizione della donna nel medio oriente. Dall'altra si rischia di farsi abbagliare da questo specchietto e non cogliere le tante pecche e i difetti di un'opera che si limita a raccontare e non a condannare o almeno giudicare. Come pietra paziente è un film privo di difetti, capace di intrattenere nonostante un impostazione di difficile assorbimento (già è afghano, poi mi metto uno in coma e una donna che racconta e basta), vivo e vivente, che porta a pensare e a commuoversi ma anche a essere orgogliosi di questa donna, simbolo di tutte le donne costrette al burka o al chador e a una famiglia patriarcale dove sono schiacciate e umiliate.
Purtroppo, se proprio si vuole trovare una qualche falla, non proprio piccola, è quella in cui il film sembra dire, troppo spesso durante la sua durata, che l'unica libertà che una donna puà prendersi è quella sessuale e nessun'altra. Inoltre il finale è piuttosto ostico per un occidentale, in quanto legato al Corano, e sebbene il significato a mo di metafora, venga introdotto a tre quarti di film, è comunque di difficile comprensione.
Eccezzionale la prova di Golshifteh Farahani, sola per quasi tutta la durata del film e bravissima nel mostrare l'intimità più profonda di un'essere umano finalmente libero di sentirsi al livello dei suoi simili di sesso opposto.
In definitiva Come pietra paziente è un bellissimo film, delicato e intimista, capace di parlare al cervello e al cuore. Purtroppo con tutta la concorrenza nelle sale e la bassa distribuzione, incontrerà ben pochi interlocutori. Da recuperare in home video assolutamente.

3 commenti:

  1. L'ho visto anch'io e credo che un film del genere non meritasse un così scarso interesse. Magari fra un anno lo passeranno in tv, alle 3 di notte a causa dei contenuti "scabrosi".
    Mi è sembrato bellissimo e forse quel che voleva dire il regista/autore è proprio questo, che in certe culture quella è l'unica libertà che una donna si possa prendere. Agghiacciante il commento della zia quando la protagonista racconta di essersi spacciata per prostituta al comandante (o era un generale?). Se no l'avrebbe violentata, considerando la caterva di insulti con cui la investe.
    Se proprio devo trovare un difetto è l'iterazione delle scene "persona esce dalla stanza e la si vede passare attraverso la finestra".
    In effetti, il finale non mi è stato chiaro anche perché la metafora del Corano (immagino sia quella di cui parla la zia) mi ha colto impreparata e con basso livello di attenzione.

    Golshifteh Farahani splendida. Trovo che quel look le conferisca un fascino maggiore rispetto alla mise di Pollo alle prugne.

    Senz'altro da rivedere.

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  2. Agghiacciante anche la famiglia di lui che li molla da soli perchè la loro casa è in zona di guerra. I grandi sostenitori dell'eroe combattente!

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  3. A me non è piaciuto affatto. Non l'ho trovato noioso, ma banale. La condizione della donna nel medio oriente e nella cultura musulmana lo trovo un tema un po' trito e ritrito, forse non troppo nel cinema, ma in generale per me è così. A mio parere per rendere il film più originale la "ribellione" della protagonista sarebbe dovuta essere un po' più "profonda" e "sconvolgente" (ok, basta virgolette).
    Non è un film per occidentali, mi rimane difficile da apprezzare e capire, avendo quel mondo un po' più vicino a me forse l'avrei visto sotto un'altra luce, chissà.

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