domenica 15 settembre 2013

Mood Indigo di Michel Gondry

Nelle sale dal 12 settembre

La versione di Intrinseco

Subito una doverosa premessa: non ho mai letto L'Écume des jours e finora non avevo avuto nessun tipo di rapporto con le opere letterarie di Boris Vian. Di conseguenza mi astengo da ogni tipo di discorso sulla fedeltà della trasposizione, o su i limiti del cinema in rapporto alla letteratura, e viceversa. L'unica cosa che so, è che il romanzo di Vian è in parte autobiografico, un racconto della vita dell'autore attraversato da quella che Quenau ha definito"la più struggente storia d'amore moderna mai scritta".
Dal canto mio, se dovessi fermarmi al risultato della trasposizione e all'aspetto narrativo del film, parlerei piuttosto di una storiella di una banalità disarmante: lui ama lei, lei ama lui, lei si ammala e la vita diventa grigia e triste. Il tutto condito da una critica sociale stilizzatissima e da una serie di riferimenti vaghi e frammentari che probabilmente possono essere colti facilmente solo da chi ha letto il romanzo (o da chi avrà la (s)fortuna di vedere la versione integrale del film).
E qui casca il proverbiale asino, Michel Gondry ha preso un romanzo che lo ha irrimediabilmente segnato e lo ha buttato su pellicola nel modo più violento possibile, tagliando, sforbiciando (forse perché costretto) e velocizzando fino al parossismo in nome della messa in scena. Mood Indigo è un
nauseante concentratodi Gondry e delle sue trovate "stravaganti": i giochi scenografici, le velocizzazioni, le stop-motion insistite, insomma tutti quegli elementi caratteristici del suo cinema accumulati in modo esasperato ed esasperante, come se l'unico interesse del regista fosse quello di riempire a tutti i costi un contenitore. Non surrealismo e gioco quindi, ma un freddo meccanismo che schiaccia tutto e tutti impedendo qualsiasi forma di empatia e interesse. Più che cinema, un lungo e noiosissimo atto masturbatorio, forse un brutale tentativo di esorcizzare la sgradevole esperienza americana (Green Hornet) con la classica opera personale, ma non di meno uno dei film più noiosi, vuoti e insopportabili dell'anno.

Nota a margine: Ero così infastidito che non mi sono nemmeno goduto Audrey Tautou, e questo la dice lunga.
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L'opinione Monca

In definitiva Mood Indigo è un film che sarebbe piaciuto molto ai surrealisti francesi anni 20; un esperimento folle, un gioco, un'esagerazione continua, sospeso tra Picasso e Picabia, gli effetti speciali di Melies e la cucina di Ratatouille, Vigo e Tati, un compendio della storia del cinema francese. Un surrealismo dove tutto è chiaramente al contrario, la fine è all'inizio, l'inizio alla fine e il centro nel mezzo (non narrativamente però), così i medici malati vanno dai pazienti, le macchine sono costruite nel senso opposto e i poeti suscitano tifo da stadio. Un mondo immerso nella geniale ed instancabile artigianalità a passo uno di Gondry e un pizzico di digitale del nuovo millennio. 
Ben presto però, così i surrealisti, come lo spettatore "normale", si accorgono del trucco e della natura doppia e inconciliabile dell'ambizioso progetto. Il surrealismo ha una trama fin troppo strutturata per essere preso surrealmente e chi voleva il solito Gondry dalle storie assurde e dalle emozioni dolciotte, si ritrova davanti a un film stancante, insostenibile, sempre di corsa, dove le emozioni e i sentimenti devono sgomitare con l'ennesimo trucchetto in stop motion o il giramento di mani meccanico, che porta al giramento di palle genitale, ed arrivare alla fine diventa un'ardua impresa (poi però pensi "E in Francia durava addirittura 35 minuti in più. Meno male!"). Non ho ancora capito però tutta questa fretta, frenesia di mettere in scena il più possibile e non far apprezzare nulla pienamente.
Lo stile del regista di L'arte del sogno è portato qui all'eccesso, senza limiti e senza regole, il che conferma quella che pensavamo tutti; finchè il suo occhio e la sua mano, vengono ben imbrigliati, da produttori accorti o da ottime sceneggiature (Kaufman x2, e Human Nature per me rimane il miglior Gondry visto sinora), tutto va bene; quando gli si da carta bianca e un libro gondryano come L'ècume des jours, allora si salvi chi può.
Però...ieri sera, mentre cercavo di dormire e non ci riuscivo, si eran fatte le 3 e le avevo provate tutte, compreso episodio di Star Trek e gran premio di formula uno, mi rivenivano in mente alcuni sequenze, e sarà stato il poco sonno, il tempo sufficiente passato dalla visione, altro da inserire dopo, ma mi sembravano belle e mi veniva anche un bel sorrisone a ripensarci. Tutta la smielata finale, se non arrivasse dopo due ore al limite della sopportazione, è tristemente emozionante; l'uscita dalla chiesa, dopo il matrimonio, nuotando, galleggiando è una bellissima idea, espressionista (e a volte sembra di vedere anche un accenno di Vigo, chissà se voluto); Audrey Tautou (invecchiata porella, almeno sembra) che ti viene a svegliare canticchiando la la la li le, è un sogno; tutto il tour sul cantiere aperto con la nuvoletta speedy; la casa costruita dentro un vagone del treno; il modo in cui si ammala Cloe e la visita dal medico luminare; il tempo passato tramite una didascalia dietro una foto. Tante belle idee, troppe, in mezzo a cattive, troppe, in mezzo a una storia banale e strascicata.  D'altronde doveva essere solo un episodio dentro a L'arte del sogno (il personaggio della Gainsbourg si ammalava e mentre stava a letto disegnava e animava L'ecume des jours) e nient'altro.
A piccoli pezzi, piace e incanta anche, ma nella sua interezza è un mattone epocale. Ovvero la stessa cosa che dico dopo ogni film surrealista. Tuttavia sento odore di futuro cult, d'altronde io a distanza di cinque ore lo stavo già rivalutando un pelino.Insomma è difficile volergli male, anche se è effettivamente un flop. Vedremo.

I legumi del giorno. Grande delusione.

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