venerdì 31 agosto 2012

Arirang di Kim Ki-duk

Questa non vuole essere una recensione classica. Nasce come un commento a caldo, riflessioni varie post visione butate giù alla bene e meglio. 

Arirang è un ottovolante e in quanto tale può provocare nausea e vomito oppure eccitazione e meraviglia. Ma soprattutto ha fasi ottime alternate al nulla, e idee anche geniali a errori di fondo.
 Allora, Kim Ki-duk a me continua a piacere, anche dopo gli ultimi lavori, perchè no. Si ripete? Può darsi, ma non vedo, per ora, un vero problema. Proprio in occasione di uno degli utlimi film, l'ultimo esattamente, Dreams, un'attrice è stata quasi realmente impiccata ma lui è riuscito a salvarla in tempo. Era regista-sceneggiatore-produttore. Triplice colpa in caso di morte. Idea, attuazione, produzione. L'attrice, invece, non si ricorda neanche più cosa sia successo. E invece lui ci è rimasto sotto, tanto da finire a vivere in una tenda dentro a una catapecchia nel be mezzo del nulla della campagna koreana per tre anni, fino al 2011.
Si ritrova incapace di scrivere, realizzare nuovi film, incapace di capire quello che stava dicendo o pensando. Prima faceva film a nastro, appena finita la produzione di uno già scriveva il successivo. Ma adesso è bloccato. Questo è il film. Lui stesso e basta, come attore/i, regista, scenografo, elettricista, truccatore e tutto il resto.

Ci sono 4 Kim Ki-duk, come fossero a matrioska. 1) quello depresso, che parla di quanto è successo e di chi è diventato ora. 2) quello spontaneo che lo attacca e che gli fa un intervista dove lo esorta a tornare al lavoro 3) quello esterno che rivedendosi, nello sfogo con se stesso, ride, e quando rivede i suoi film piange 4) la sua ombra, più pacata del Ki-duk spontaneo.
 Ci sono dei pro e dei contro in Arirang, come dicevo. Innazitutto è l'opera essenziale per capire e comprendere il regista, e allo stesso tempo è la più inutile. Poi ci arrivo.
 Il cinema è terapia. Ci aiuta a vivere meglio e a volte a stare meglio. L'urlo straziato di Ki-duk, Arirang Arirang Ariyo, chiede una cura e può trovarla solo nel suo mezzo espressivo. Si mette a nudo davanti alla sua arma, la cinepresa, e si fa un autoanalisi massacrante per potersi ricostruire piano piano. L'unico modo per tornare a fare cinema e diventare cinema. Kim Ki-duk diventa un film di Kim Ki-duk. Lontano dai suoi personaggi, per sua stessa ammissione, viene ingoiato dalle sue storie.
Primo risultato: non ha finito quello che ha da dire. Secondo: sfogarsi con tutti; fans, produttori, festivals, la Korea e i politici. Buttare fuori tutto, puntare il dito su chi l'ha tradito e chi gli ha voltato le spalle, e su chi lo incensa inutilmente. Perchè un premio, un onorificenza non ti cambiano la vita. Neache fare film, film belli o brutti. Terzo risultato: prendere coscienza di quello che si è e quello che si è fatto.
 Va bene, va tutto bene. Amo questo artista e mi sta bene pendere dalle sue labbra, capire che cos'ha, aiutarlo a curarsi, dargli una mano. Quello che mi chiedo però è: era necessario? La gente scrive libri, quando vuole far sapere al mondo di aver avuto un periodo nero e di come ne sia uscita. Alcuni fanno canzoni, altri film (Kitano, Von Trier). Qualcosa li spinge inesorabilmente a dire a tutti che ne sono usciti. Non mi voglio lamentare di questo, ognuno faccia quello che vuole per carità, ma lo trovo forzato e pomposo, soprattutto quando non è un film/canzone/libro girato/cantato/scritto in modalità depressione ON, ma un documentario su stessi. Finchè fai una trilogia -autodistruttiva- sul tuo blocco creativo (Kitano) o sul tuo status attuale e il rapporto con le donne (Von Trier), lo posso capire. Qundo te la canti e te la suoni, ti autoriprendi, ti auto intervisti, ti auto tutto, non ci intravedo un senso. E' solo uno sfogo di nervi, di cui, io e lo spettatore, ne facciamo a meno e non perchè siamo brutti e insensibili, ma perchè allora tutti dovremmo farlo, e lo facciamo, privatamente, e non in piazza. Eh ma sono artisti. 

 Mi sto perdendo, e mi sono perso. Urge spiegazione. La cosa peggiore di Arirang è che è finto. Abbiamo un uomo che attraversa una crisi e ne vuole uscire. Sceglie il mezzo, il suo lavoro. Sceglie il modo, il documentario privato. Discutibili ma è quello che è, allora, però, sii fedele a quello che vuoi fare.
 Una confessione senza filtri e senza teatralità. Dici quello che devi, ne fai un film perchè qualcuno te lo produrrà o lo fai da solo, ma quello è quello che è. E invece Ki-duk deve metterla in maniera drammatica, e lo fa notare anche ("Si prima ho pianto, forse l'ho fatto per drammatizzare").
 Il montaggio, le riprese a camera ferma e a mano, gli inserti (Ki-duk sulla ruspa. Adesso posso morire contento), il duetto con se stesso (Tolleranza Zoro). Lo rendono totalmente finto. Prima dice che non c'è struttura, e non ci sono titoli-credits, e musiche, poi però tiri fuori queste cose, chiaramente pianificate. Un pò, sempre rimanendo in tema Von Trier, quello che dicono e poi fanno con il Dogma 95. Fai una cosa intimista e sperimentale, la accetto, poteva benissimo essere una intervista e basta, e però ci metti della finzione che mi isola da te, si frappone tra noi. C'è un filtro di mezzo, lo schermo e non dovrebbe, stavolta. Quando grida contro i fans e li chiama figli di puttana, è falso. Quando piange, è falso. Quando grida distrutto, è falso. Non è falso, ma lo è. E' falso perchè è cinematografico. C'è un idea, ci sono riprese fatte apposta, perchè c'è dietro un intenzione di piazzarle poi qui o là, all'interno del film/documentario. Dov'è quindi la spontaneità, la naturalezza, lo sfogo perde sincerità.

Ma non è che ci ha trollato? Il dubbio si insinua.
Occhio però. Non voglio bocciarlo. E' molto interessante, molto più di tantissimi esperimenti o cazzate spacciate per artistiche. Solo che sbaglia modo. L'esempio è stupido ma mi viene questo; è come voler fare uno pseudo mokumentario camera a mano sul Rio delle amazzoni ma renderlo irrealistico, con riprese perfette e miliardi di telecamer (The river? no no). Può piacere, può venir fuori bene, ma è strafinto. Ogni cinque minuti, lo spettatore ritorna nella realtà, continua a pensare che tutto ciò è una fiction e non dovrebbe essere cos' orco can! Qui è identico. Il montaggio uccide tutto. Youtube amatoriale, vero. Aggiungi montaggio, finto. Godard avrebbe fatto una intervista a camera fissa di 4 ore con lui che blatera. Ecco, serviva quella radicalità, quell'estremismo. Ma Godard è uno stronzo, e gli stronzi non cadono mai in depressione.
Chiudo. Hai fatto un film per farci sapere che; sei stato in una tenda, shockato, per 3 anni, ora ne sei uscito; hai sentito il peso di fans urlanti e scalcianti che hanno rotto le palle per un nuovo film e che magari ti hanno voltato le spalle e che magari ti hanno criticato ma loro volevano uno dei tuoi "film grezzi e veloci, a ciclo continuo". Bene, evviva ora sei guarito.
Magari queste cose colpissero ben altri autori (Miike per dirne uno).
Diagnosi: Kim Ki-duk è un compiaciuto bastardo, forse ha sofferto davvero, ma è passata. Prognosi: sta benissimo, è già a Venezia con uno dei suoi film classici.

Se si perdona Arirang a lui, si perdona questo post a me.

4 commenti:

  1. ho visto il film(il primo che vedo di Kim ki duk), e ho letto anche il l'analisi del Il monco. Non sono d'accordo su alcuni punti: premesso che sono(e siamo, spero. E se non lo siete lo sieterete) tutti fan del quadro "questa non è una pipa
    " di magritte, e che kim ki duk che si sfoga davanti una cinepresa non è il kim ki duk vero, ma una rappresentazione(o un'interpretazione), non capisco a che pro muovergli una critica sulla finzione che emerge da un'opera che si pone, secondo Il monco, come vera e autoanalitica. Non capisco perchè criticarne negativamente l'artificiosità. E qui veniamo al dunque: non credo che il punto di una possibile analisi si debba spostare sulla veridicità o meno della confessione del regista, ma su un altro aspetto: la dissoluzione del confine tra opera cinematografica e vita reale. Quando kim da il suo primo ciak, il film già è iniziato da un bel po', non c'è uno stacco vero e proprio tra l'arte e il quotidiano. Ecco, su un piano estetico, questo è interessante. Una dissoluzione che non può accettare interventi come le luci, che distorgono il reale(non si può fare a meno del montaggio, unico modo che il regista ha di intervenire e di non essere una scimmia che filma e basta). Tutto ciò però si mantiene nel campo della finzione, come giusto che sia, ma allo stesso tempo la dissoluzione non può essere netta(un film per motivi palesi deve avere un principio).Non lo so, sull'aspetto terapeutico sono meh, abbiamo immagini in cui kim ride di se stesso che parla, mi sembra tutto un grande bluff per prenderci in giro a tutti(e tanto è risolto, visto il finale; è inutile porci dei problemi).E al di là di questo, forse sono sensazioni che lui ha provato, ma dal momenti che sono filmate e diventate opera d'arte, non sono più sue: non è più kim ki duk quello che vediamo. (va beh, forse ho fatto un'analisi che esula dalla volontà dell'autore, e magari la tua è più inerente e precisa e io sono stato traviato dai libri di estetica, però un parere mi era stato chiesto e mi pareva scortese non dirloXD

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  2. Bello il paragone con Magritte, anzi azzeccato. Ottimo anche quello che sottlinei (si poi sposto tutto nel blog, fai anche te) sulla dissoluzione tra cinema e vita. Continuo a ritenere deleter...Visualizza altro
    Non capisco solo la questione deve avere un principio. Ce l'avrebbe anche il tipo di progetto che indicavo io, quelo à la Godard. E le sensazioni diventano arte perchè è voluto che diventino tali, e ancora, allora a che pro? Te la sei solo tirata, se avesse ato un impostazione diversa erano cronaca, e non arte. E sarebbero rimaste sue.

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  3. Beh non Il monco, l'arte non è che deve avere un perchè; l'arte la si fa come si fanno tantisssime cose inutili,l'importante è l'espressione e ciò che se ne può ricavare. Qualcosa è "artistico" quando si decide che è artistico(come un cesso può essere considerato arte proprio perchè si trova all'interno di un museo): quando l'oggetto, l'opera, è il terreno dove l'artista comunica con l'osservatore, proprio in virtù del fatto che entrambi sanno che che l'oggetto è un mezzo(il medium è il messaggio): per questo non si sarebbe potuto parlare di cronaca( ma anche per il semplice fatto che ci sono molti elementi surreali, senza contare il finale). Quì però ci stiamo addentrando in luogi che non hanno a che fare più a che fare con il film.

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  4. Finalmente l'ho visto anche io, mi ha fatto venire in mente Caro Diario di Nanni Moretti. Che si tratti di diari o di confessioni, come nel caso di Kim Ki-duk, credo che un regista non possa mai smettere di riflettere su e con il mezzo cinematografico, quindi il ricorso alla finzione lo trovo più che giustificato. Certo dice che sta girando un documentario, ma urla anche a gran voce che vuole disperatamente girare un film, un dramma in cui lui interpreterà tutti i personaggi, ed è quello che fa.
    E poi appunto, trattasi di opera d'arte, per di più abbastanza personale, non serve un perché e non esiste un modo giusto.

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