domenica 1 dicembre 2013

Don Jon di Joseph Gordon-Levitt

Nelle sale dal 28 novembre

All'apice della sua carriera di attore, il fidanzatino d'America Joseph Gordon-Levitt si sposta dall'altro lato della macchina da presa per scrivere, dirigere ed interpretate il suo primo film, Don Jon, una rom com in odor di indie che sta mettendo d'accordo praticamente tutti.
Jon Martello, in arte Don Jon, è il tipico ragazzo del New Jersey: origini italo-americane, capelli perennemente impomatati, canottiera bianca e un bolide appariscente quanto rumoroso. La sua esistenza ruota intorno a pochi fondamentali punti fermi: il sesso, consumato meccanicamente una sera dopo l'altra, e la pornografia, in cui Jon cerca disperatamente quella perfezione che non riesce a trovare nella realtà. A rompere il cerchio di quello che è un vero e proprio rito arriva Barbara (Scarlett Johansson), una ragazza da 10, fantastica quanto le attrici dei porno. Con lei Jon costruisce un nuovo rito, ma nella sua vita compare un'altra donna.
Dopo le prime sequenze che mostrano l'assurda routine di Jon Martello, mi è venuto subito in mente Shame di Steve McQueen, un accostamento azzardato ma neanche troppo visto che i due film raccontano due storie e due personaggi più simili di quanto si potrebbe pensare. Dopotutto il Don Jon di Joseph Gordon Levitt non è altro che la versione cafona e proletaria del Brandon di Michael Fassbender, ad essere diversa è la realtà che ruota intorno ai protagonisti, in Shame trovavamo una Manhattan fredda e scintillante, qui il chiasso del New Jersey più caciarone. Consapevole di queste differenze abissali, Levitt sceglie di raccontarle con l'arma dell'ironia, accatastando in modo intelligente realtà e stereotipi. Assistiamo così al classico pranzo domenicale in famiglia, con il patriarca in canottiera (uno spassoso Tony Danza) che sbraita contro la televisione e la madre che ammucchia cibo nei piatti mentre ammorba i figli con domande sui nipotini. Poi per strada, nei locali, dove riconosciamo lo stile di vita raccontato da programmi educativi come Jersey Shore, con rapporti usa e getta che si consumano tra discoteca, taxi e appartamento, ogni sera di ogni settimana, fino alla domenica, quando si corre in chiesa per confessare i propri peccati prima di ricominciare tutto da capo. Una ritualità che Levitt racconta con un montaggio sempre più veloce di spezzoni sempre più brevi, fino a quando la vita di Don Jon non diventa una sequenza di immagini accompagnate da una sola parola: casa, macchina, palestra, ragazze, porno, chiesa. La scelta stilistica è piuttosto ovvia ma il regista esordiente la gestisce molto bene, sottolineando l'idea di ripetitività con l'uso di inquadrature sempre uguali, arricchite di tanto in tanto da qualche transizione particolarmente ispirata (il letto inquadrato dall'alto).
Si ride e si sghignazza insomma, almeno fino a quando entra in gioco il personaggio di Esther (Julianne Moore), da quel momento in poi la commedia cede spazio all'elemento romantico con una spruzzatina di dramma, e il graffiante affresco generazionale si trasforma in un bel racconto di formazione. Senza abbandonare quella leggerezza che è vero punto di forza del film, Levitt ci mostra finalmente il sesso (quello vero, non a senso unico) come un bellissimo strumento di rinascita e maturazione, portando il suo bizzarro alter ego nella migliore e più coraggiosa delle direzioni.
Tutto il cast è in splendida forma. Scarlett Johansson in particolare è una bravissima cafona (pare che il film sia stato scritto apposta per lei), e Joseph Gordon Levitt se la sbriga bene nonostante il viso da bravo ragazzo (per questo ruolo aveva pensato a Channing Tatum che effettivamente ha il perfetto physique du role. L'attore comunque compare in un divertente cameo). Ma il lavoro migliore lo fa nelle vesti di regista e sceneggiatore, e considerando che si tratta del suo primo lungometraggio, bisognerà tenerlo d'occhio.

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