martedì 31 dicembre 2013

American Hustle - L'apparenza inganna di David O. Russell

Nelle sale dal 1 gennaio 2014


Si avvicinano gli Oscar, e, come da (recentissima) tradizione, si avvicina anche l'uscita italiana dell'ultimo film di David O. Russell, il regista-sceneggiatore che da tre anni a questa parte sembra lavorare solo in funzione della scintillante cerimonia del fu Kodak Theatre. Dopo le macchine da premio, o da nomination, The Fighter e Il Lato Positivo, è la volta di American Hustle, da noi con il sottotitolo "l'apparenza inganna", un heist movie che incontra una commedia che incontra una love story, condito con un cast di purosangue.
Irving Rosenthal (un irriconoscibile Christian Bale) è un inguaribile truffatore: traffica in opere d'arte false e organizza finti prestiti (ma qui non ho capito il meccanismo della truffa, urgono delucidazioni) tutto per vivere nel lusso e mantenere la moglie Rosalyn (Jennifer Lawrence) che non sopporta ma con cui continua a vivere per non danneggiare il figliastro. La sua ancora di salvezza è l'amante e complice Sidney (Amy Adams, sempre scollatissima), ma i due vengono beccati da Richie (Bradley Cooper), un agente dell'FBI che garantisce loro l'immunità se lo aiuteranno ad incastrare l'amatissimo sindaco Carmine Polito (pronunciato "carmain" e interpretato da Jeremy Renner).
Con American Hustle David O. Russell sembra quasi voler tornare sui suoi passi. Abbandonati i toni più leggeri della commedia romantica, torna ad affrontare una storia "vera" come quella di The Fighter, o meglio, dei fatti che "potrebbero essere accaduti realmente" e che, almeno nelle intenzioni, dovrebbero andare a comporre un affresco cinico e un po' spietato dell'America anni '70, e, di riflesso, dell'America contemporanea. 


Dopo l'inevitabile partenza in media res, una regia elegante e una sceneggiatura ben ritmata ci trasportano nel classico heist movie dalla struttura corale, tanti personaggi rigorosamente sopra le righe costretti a collaborare tra attrazioni e sfiducie reciproche. La prima cosa che balza all'occhio è la cura quasi maniacale per la ricostruzione storica. O. Russell e costumisti vari rievocano tutto il peggio degli anni '70 attraverso un vastissimo campionario di gadget e abiti, che scorrono davanti alla macchina da presa neanche fossimo ad una sfilata di moda. E l'immagine si presta molto bene a descrivere American Hustle e gli ultimi film del regista: una sfilata, anzi, una passerella solida e ben realizzata su cui far sfilare gli attori più quotati del momento. Il suo è un cinema costruito ad arte e un po' ruffiano, così ruffiano che ad un certo punto il protagonista deve prendere da parte un personaggio per spiegargli il film: non esistono il bianco e il nero, c'è solo il grigio. Ecco, dopo una scena del genere io non riesco più a stare al gioco, non mi diverto più e mi ritrovo a guardare tutto con freddo distacco. Quella messa in scena che all'inizio sembrava così solida comincia a scricchiolare, la storia si trascina prevedibilissima e paradossalmente smette di essere divertente proprio quando arriva la commedia a stemperare i toni. Perché poi non ha nemmeno il coraggio di andare fino in fondo, perennemente indeciso tra dramma e commedia, tra cinismo d'accatto e buonismo conciliante, pieno di personaggi che non sono troppo buoni ma nemmeno troppo cattivi. Certo ci sono le grandi performance degli attori, tra tutte quella del camaleontico Bale (ormai è una fisarmonica) e quella esplosiva di Jennifer Lawrence, ma restano appunto delle performance, grandi dimostrazioni di talento che non danno vita a nessun grande personaggio.
Forse ha ragione Irving, nel cinema di David O. Russell è tutto grigio: le superfici sono fastidiosamente patinate, gli attori sono in posa per il premio e il mondo è pieno di furbacchioni. Probabilmente qualche Oscar non glie lo toglie nessuno.

3 commenti:

  1. Quando ho letto della Lawrence, ho subito pensato ad un film furbetto alla The Great "Di Caprio" Gatsby. Grigio è la parola che più si addice a questi film.

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