Vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2012
Luciano Ciotola (Aniello Arena) è un padre di famiglia napoletano, per vivere gestisce una piccola pescheria insieme all'amico Michele (Nando Paone), e nel tempo libero tenta di arrotondare lo stipendio con una complicata truffa organizzata insieme alla moglie Maria (Loredana Simioli). Nel suo quartiere lo conoscono tutti, un po' per il mestiere che svolge, un po' per il suo carattere esuberante e chiassoso con cui si guadagna l'ammirazione di figli e parenti, che approfittano di ogni occasione per spingerlo a mettersi in mostra con giochi e travestimenti. Un “personaggio” insomma, e come tale decide di presentarsi ad uno dei provini del Grande Fratello, sempre sotto pressione da parte dei famigliari. All'inizio prende la cosa come un gioco, un modo di accontentare i capricci insistenti dei bambini, ma col passare del tempo e il susseguirsi di telefonate e provini comincia a crederci veramente, intanto però la conferma da parte della produzione tarda ad arrivare, e Luciano inizia a vivere l'attesa in modo molto poco sano per lui e chi gli sta accanto.
Con questo Reality Garrone riprende il discorso più o meno da dove l'aveva lasciato con Gomorra, e se all'apparenza i due film non potrebbero sembrare più distanti nei toni e nelle storie che raccontano, in realtà condividono molto più di quanto si potrebbe pensare. Intanto c'è la materia prima, Reality si ispira a un fatto di cronaca esattamente come il libro di Saviano si ispirava a vicende vere o verosimili, poco importa comunque che i fatti siano realmente accaduti, ciò che conta è lo spaccato di vita. Subito dopo c'è lo sfondo, la città di Napoli osservata da punti di vista diametralmente opposti ma non per questo meno autentici, lì c'era il mondo del crimine organizzato o disorganizzato, qui c'è l'individuo comune alle prese con un fenomeno di costume che in quel particolare contesto assume una rilevanza particolare. E poi i toni, perché anche se Reality viene venduto e promosso come commedia, graffiante o agrodolce a seconda dei casi, sarebbe più giusto parlare di black comedy, o addirittura di film drammatico, perché a quella prima parte colorita e spensierata che intravediamo nei trailer ne segue presto una più cupa e tragica, che si fa sempre più scura con lo sprofondare del protagonista nelle sue insane ossessioni, quando anche le macchiette e le situazioni tragicomiche viste in precedenza assumono una connotazione patetica.
Anche Reality è quindi un film freddamente realista, il gelido affresco di una napoletanità fatta di squallore, furberie e ignoranza, dove a dominare sono i contrasti forti, come lo stridore tra la bianca modernità di un gigantesco ipermercato e il degrado degli interni di un quartiere popolare. La distanza tra l'essere e l'apparire non è più quindi quella del reality show, che nel film è solo elemento accessorio, ma quella degli spettatori su cui questo fenomeno si ripercuote, quando la speranza nella grande occasione sembra l'unica cosa in cui è ancora possibile credere. Emblematica in questo senso tutta la prima parte del film, una festa di nozze di un cattivo gusto abbagliante seguita dallo svestimento delle vecchie zie, che nello sfacelo delle loro case si liberano dai vestiti terribilmente appariscenti mostrando le carni cascanti. Qui come nel resto del film la regia di Garrone si fa discreta, un vero e proprio pedinamento da film neorealista, con la macchina da presa sempre distante che si limita a spiare i gesti e le azioni degli attori, avvicinandosi solo per studiare qualche particolare o quei volti grossolani che sembrano quasi maschere.
E a proposito di maschere, portentosa quella del protagonista interpretato brillantemente da Aniello Arena, che regala al personaggio grande spontaneità e naturalezza, oltre alla forza di uno sguardo quasi infantile che riesce a spaventare ed intenerire. Vale la pena spendere qualche parola sull'attore, Arena è infatti un membro della Compagnia teatrale della Fortezza e un detenuto del carcere di Volterra condannato all'ergastolo nel 1991 per aver partecipato alla strage di Piazza Crocelle a Barra, Garrone avrebbe voluto utilizzarlo anche in Gomorra, ma la magistratura non concesse l'autorizzazione. Il resto del cast non è assolutamente da meno, e non parlo della fedina penale.
Volevo chiudere con una piccola riflessione: qualche settimana fa mi è capitato di parlare (molto male) di Bella Addormentata di Marco Bellocchio, che secondo qualcuno non avrebbe vinto/convinto al Festival di Venezia perché troppo italiano per essere compreso da un pubblico, o in quel caso una giuria, di stranieri. Ecco su quel film ho già detto la mia e non intendo ripetermi, ma non si può fare a meno di sollevare la stessa questione per Reality, una pellicola che come Gomorra racconta una realtà profondamente italiana, anzi, una realtà che potrebbe addirittura risultare distante per un italiano che non conosce particolarmente bene il sud. Quello che fa la differenza in questo caso è la forma, Garrone gira due storie provinciali (passatemi il termine) senza risultare provinciale, Bellocchio gira un film su un tema internazionale come l'eutanasia, lo fa molto male, e ha anche l'arroganza di affermare che solo gli italiani possono capirlo.