domenica 30 dicembre 2012

Il bianco e il nero #29: Nannarella goes to Hollywood

-"I never saw a more beautiful woman, enormous eyes, skin the color of Devonshire cream" Il ricordo di Tennessee Williams dopo averla incontrata per la prima volta.
-"Saluto la fraternità degli uomini, il mondo delle arti, e Anna Magnani" Yuri Gagarin, 1961.

Anna Magnani ad inizio anni '50 era il volto del cinema italiano. La diva incontrastata (se non l'unica) di tutta Roma, ed allo stesso la donna del popolo, la più grande attrice vivente, già vincitrice di ben 4 nastri d'argento, ai quali si sarebbero aggiunti molti altri riconoscimenti. Era la madre che in Roma città aperta inseguiva, gridando, il camion con cui veniva portato via suo figlio, Francesco.  Era stata Nannina Straselli, l'onorevole Angelina, Assunta Spina, Anita Garibaldi, fino a Maddalena Cecconi in Bellissima
Era stata diretta dai più grandi registi e con uno, Rossellini, aveva pure una relazione (era l'amante numero uno, dato che Roberto era sposato e aveva altre 3 o 4 amanti. Ma lei era quella ufficiale, così gelosa da comportarsi da moglie). Eppure, l'ultima arrivata, una biondona svedese venuta da Hollywood, l'aveva eclissata di colpo. Le aveva portato via la fama, un film e soprattutto l'uomo.
Una mattina Anna si svegliò e trovò Roberto Rossellini già sveglio e vestito, piuttosto nervoso. "Ma che fai già in piedi? E' domenica". Lui rispose che voleva fare una passeggiata, dato che ormai era alzato. Allora Anna gli disse di portarsi i cani, le sue amatissime bestiole ("gli animali sono meglio degli uomini, non ti tradiscono mai, loro" dirà in seguito) già che c'era.
Roberto obbedì, prese i casi e infilò la scala condominiale di corsa. Dopo un paio d'ore senza notizie sue o dei cani, Anna scese fino al pian terreno dove c'era il custode. "Ma che hai visto passare Roberto?". Certo signora Magnani che l'aveva visto passare. Due ore prima e, ah! ecco i cani, me li ha lasciati qua quando è sceso. Così Rossellini lasciò la Magnani. 

D'altronde aveva già ricevuto la lettera dalla Bergman, quella famosa, del "Ti amo", aveva già parlato con il cugino siciliano, Renzo Avanzo, da cui aveva appreso la sua mirabolante invenzione (una macchina da presa subacquea), aveva in mente di fare un film, su un isola siciliana ma non aveva idea di come dire ad Anna che tutto era finito e che Ingrid e i suoi dollari l'avrebbero sostituita. Così sparì e basta.

domenica 23 dicembre 2012

Vita di Pi di Ang Lee

Nelle sale dal 20 dicembre
Adattamento dell'omonimo romanzo di Yann Martel, è la storia di Piscine Molitor Patel (dal nome delle celebri piscine parigine) soprannominato Pi per sfuggire ad un nome così impegnativo. Nato e cresciuto a Pondicherry nell'India francese, manifesta fin dall'infanzia un insaziabile interesse per la religione, tanto che all'età di tredici anni ha già aderito all'islam, al cristianesimo e ovviamente all'induismo. Quando Pi è poco più che adolescente suo padre decide di vendere lo zoo di famiglia e di migrare in Canada, ma la nave su cui viaggiano affonda e Pi, unico umano sopravvissuto, è costretto a condividere la zattera di salvataggio con Richard Parker, una giovane tigre del Bengala. 
Quella di Pi è una storia che praticamente si vende da sola, prima di tutto perché almeno in parte è ambientata in India, quell'India recentemente riscoperta da Hollywood e trasformata ancora una volta nel luogo della magia e dell'esotico. E poi per il suo protagonista, un ragazzino indiano tanto puro e tanto ingenuo a cui dobbiamo a tutti i costi affezionarci perché non gli manca proprio niente, a tredici anni conosce a memoria le cifre decimali del pi greco (gli asiatici sono bravi in matematica), legge classici della letteratura alla luce del tramonto e ha unificato tre fedi religiose in guerra da secoli.
E infine c'è la storia, che combina il sempre fresco dramma del naufrago con l'immancabile crisi mistica, un geniale mix di Cast Away e Il Piccolo Principe insomma. Metteteci pure Ang Lee, il regista orientale più occidentale che esista, e condite il tutto con lo spirito natalizio. O forse sto esagerando, forse Vita di Pi è soltanto una bella favola che andrebbe giudicata come tale, il che però può risultare abbastanza difficile quando l'elemento religioso è chiamato in causa tanto spesso e tanto sgraziatamente, e allora non ce la faccio, è più forte di me, vedo solo un antipatico polpettone di due ore melenso e conciliante.
Non resta quindi che cercare soddisfazione altrove, magari nella regia di Ang Lee o nella realizzazione tecnica di quelle scene visionarie intraviste nel trailer, che poi sono anche i motivi principali per cui mi sono interessato al film. Ma niente da fare, anche da questo punto di vista Vita di Pi è un bel pacchettone di natale ben confezionato ma molto poco sostanzioso, le scene di cui sopra non sono altro che cartoline esotiche costruite ed inserita ad arte, un'ammucchiata di effetti speciali quasi tutti ottimamente realizzati ma che risultano anche troppo sgargianti. La verità è che di visionario non c'è nulla, si tratta solo di intervallare il dramma della sopravvivenza con immagini ad effetto ottenute facendo incrociare il cammino di Pi con tutta una serie di fenomeni sorprendenti, meduse luminescenti, stormi di pesci volanti e isole carnivore dalla morfologia umana. Tutto molto bello, ma più che un film sembra di guardare uno di quei filmati dimostrativi che usano nei supermercati per mostrare le prestazioni delle nuove televisioni ad alta definizione.
Insomma in Vita di Pi è tutto troppo finto, ma gli effetti speciali sono l'ultimo dei problemi.

sabato 22 dicembre 2012

Il bianco e il nero #28: Lo special natalizio è qui!

Paulette Goddard sarebbe un bel regalo per Natale
"It's that time of the year again".

Si è di nuovo quel periodo dell'anno. E' Natale, siamo tutti più buoni e tutti più ipocriti. Per quanto mi riguarda sono stato per anni un fervente sostenitore della bellezza e della gioisità del Natale -come festa commerciale e non religiosa, chiaro-; i regali, il clima, l'albero, la tradizione. Poi ho piano piano lasciato perdere e il mio spirito natalizio è morto miseramente quest'anno, maledetta crisi.
L'unica tradizione che ancora seguo è quella di alzarmi presto per vedermi Il canto di Natale versione Muppet, ma ormai è da qualche anno che, o lo hanno spostato o hanno deciso di non trasmetterlo più (preferendo in alcuni casi Stanlio e Ollio o in altri il solito Il grande dittatore di Chaplin). Questo però mi ha fatto venire in mente un argomento per il nuovo segmento della rubrica in uscita proprio il giorno della vigilia. Una top 5 (+1) di film natalizi da consigliare a chi non li ha mai visti e da rispolverare per chi non li vede da tanto o è alla ricerca di una bella storia perfetta per il post cenone/pranzone. E magari fare bella figura coi parenti, "Ue nonno, ma lo sai che questo film qua, lo hanno fato d'estate al posto che di Natale? Adesso mi sganci altri due centomila, che sono stato bravo?".
Come già fatto per lo speciale di Halloween, sono film scelti secondo qualche criterio: - devono essere sul Natale (maddai!) e quindi in qualche modo ci deve rientrare. O anche no, ma sono storie che si prestano al nostro stato d'animo tanto caritatevole di queste 24 ore. -Bianco e nero, chiaramente, quindi film di un certo periodo. -Perciò, per rispondere anche a mio cugino, niente Mamma ho perso l'aereo o Una poltrona per due o Chi più spende... più guadagna!, ovvero i classici Mediaset. -Il che non mi vieta di mettere classiconi già visti e rivisti e ri rivisti.
E a proposito, proprio perchè sono talmente conosciuti a memoria, non starò qui a fare un riassunto della trama o a esporre lungamente i motivi per cui li ho messi, ma mi limiterò, come mio solito, a spararvi qualche bella chicca che li riguarda; dietro le quinte, curiosità, fatti storici. E quindi partiamo, e buon Natale.

venerdì 21 dicembre 2012

Filmbuster(d)s - Episodio #19

DOUBLE FEATURE! Episodio dedicato a 2 film recensiti dal prolifico alexdiro: Moonrise Kingdom di Wes Anderson e Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato di Peter Jackson.
Vi facciamo i nostri più sinceri auguri di Buon Natale, durante il cenone della vigilia metteteci in sottofondo e date da parte nostra una carezza al bambino di turno. Ditegli che Il Monco lo sta cercando.

Nell'episodio 19 di Filmbuster(d)s:


[00:09:00]Moonrise Kingdom
[00:25:20]Lo Hobbit











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martedì 18 dicembre 2012

Il bianco e il nero #27: John, Gena e la nascita del cinema indipendente

"Abbiamo promesso a noi stessi di non dirci mai delle cose carine".

La storia che c'è dietro al film che ha "inventato" il free cinema, l'indie cinema americano e che ha fatto conoscere uno dei migliori registi americani e una delle mie attrici preferite, se non la preferita. La nascita di un modo di fare cinema che avrebbe rivoluzionato l'America e che la coppia non avrebbe mai abbandonato.
E' difficile raccontare la storia di questi due per diversi motivi. Prima di tutto erano gli outsiders per eccellenza, lontani dai riflettori, dalle mode, dal gossip, secondo perchè ai loro amici e parenti dicevano "Se la stampa vi chiede qualcosa, mentite, voi non gli dovete la verità", quindi è difficile capire cosa è corretto e cosa no. Avrei quindi voluto parlare della loro bella unione e del loro amore ma dovrò per forza di cose direzionarmi verso la loro prima creatura, Shadows - Ombre.


Bisogna partire da una piccola cittadina (per gli standard americani) del Wisconsin, Madison, famosa per la sua storia, il suo lago e il panorama annesso e per la sua università. Proprio qui troviamo una bella e giovane ragazza bionda che va per i venti. Studia con metodo -ma sarà un altro metodo a cambiarle la vita- è amata e conosciuta (è la figlia di un pezzo grosso, banchiere, poi membro del governo). Eppure quella vita le va stretta, ha un solo sogno, forse banale; andarsene da lì e diventare un'attrice, di talento. Quindi nel 1950 molla Madison, gli studi e il panorama e parte per New York. Da Madison a Madison Avenue.
Al momento di partire, mentre è sul pullman, si pone degli obiettivi; concedersi anima e copro al teatro, non sposarsi nè avere figli. Ripensandoci, più in là con gli anni penserà "Dio ride dei nostri piani".
Si iscrive alla American Academy of Dramatic Arts, scuola di un certo livello. Dopo quattro anni di fatiche inizia a ricevere qualche offerta dal mondo del teatro e soprattutto dal ricco mondo della TV. In occasione di una recita la nota un ragazzo, con l'aria seria ma anche da ribelle. Non è di certo timido e dopo averla vista all'opera va a presentarsi nel dietro le quinte.

sabato 15 dicembre 2012

Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspettato di Peter Jackson


Bilbo Baggins era uno Hobbit del tutto rispettabile, passava le giornate ad amministrare casa Baggins in vicolo cieco, Sottocolle a Hobbiville, a fumare l'erba pipa in giardino e, cosa più importante, non si era mai cimentato in un'avventura, almeno fino al giorno in cui lo stregone Gandalf il Grigio lo coinvolse, spacciandolo per uno scassinatore, nella riconquista di Erebor, il regno sotto la montagna.
Tredici nani, capeggiati da Thorin Scudodiquercia, nipote del fu re di Erebor Thrain ed erede al trono, tenteranno di scacciare il drago Smaug dalla fortezza e riprendersi ciò che è loro, ma il cammino è lungo e un nemico apparentemente sconfitto, l'orco pallido Azog, renderanno l'impresa più ardua di quanto già non sembrasse.
Primo episodio della seconda trilogia di Peter Jackson basata sulle opere di John Ronald Reuel Toklen, Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato arriva nelle sale tra la curiosità e lo scetticismo di molti appassionati e della critica di settore: la divisione in 3 film di un libro di sole 350 pagine circa e l'integrazione di eventi narrati nelle appendici di altri romanzi dell'autore hanno destato le perplessità di chi ha istintivamente intravisto l'ombra di un'operazione commerciale per battere il ferro finchè caldo, sfruttando fino al midollo lo stratosferico successo de Il Signore degli Anelli. La tanto decantata innovazione tecnologica del 3D a 48 fps (frame per secondo Ndr) si è rivelata una sorta di rivoluzione silenziosa sia per l'esiguità delle sale con una strumentazione adatta a proiettare il film in questa forma che per le sensazioni sortite: si è parlato di effetto a là Benny Hill Show con buffi e repentini aumenti della velocità dell'azione, al punto che molti ne hanno caldamente sconsigliato la visione.
Purtroppo non posso fornire il responso di un'esperienza diretta, dato che ho visionato il film in 3D e in 2D a 24 fps, quindi da questo punto di vista mi limiterò a quanto appena detto aggiungendo che la stereoscopia “classica” m'è sembrata, al netto di un paio di giochi prospettici notevoli, francamente superflua. Era lecito aspettarsi di più da quello che è considerato insieme a James Cameron uno dei padri del moderno 3D.
Sin dalle prima battute appaiono immediatamente evidenti le differenze con la trilogia cinematografica del Signore degli Anelli: i toni si fanno più fiabeschi e pacati, attenuando, se non smorzando del tutto, quella sensazione di precarietà e di pericolo che dovrebbero invece scaturire dalla difficoltà intrinseca dell'impresa disperata della riconquista di Erebor e degli innumerevoli ostacoli incontrati sul percorso e che caratterizzavano invece l'avventura della Compagnia dell'anello. Non che sia un male, anzi, ma qualcuno aspettandosi una continuità con la sopracitata trilogia potrebbe storcere il naso difronte a momenti come le canzoni “disneyane” o elementi e personaggi meno solenni e più ridanciani come lo stregone Radagast.
Solennità che invece è la caratteristica principe del co-protagonista del film, Thorin Scudodiquercia, l'erede al trono di Erebor interpretato magistralmente da Richard Armitage, vero e proprio Re decaduto e ansioso di riprendersi ciò che è suo di diritto, domina la scena in collaborazione con il mite Bilbo: l'evoluzione dei due personaggi, l'iniziale diffidenza e il reciproco avvicinamento, l'esaltante e rincuorante caldo abbraccio sulle battute finali, sono le vere e proprie colonne portanti della pellicola, portavoci del sentimento di amicizia tra diversi che domina la poetica di Tolkien e, di riflesso, di Peter Jackson.
L'allegra combriccola di nani, adorabili casinisti instabili capaci di cambiare umore in un istante, è composta per lo più da caratteri e macchiette, ma va considerato il gran numero di membri e la natura episodica dell'opera; avranno spazio nell'arco dei 3 film di esprimere le proprie potenzialità. Quel che Jackson fa però con grande maestria in questo primo episodio, e che si manifesta in maniera prorompete in momenti di grandissima intensità emotiva, è la natura vagabonda della compagnia: esuli contro la propria volontà, senza patria, costretti a vagare a vuoto e a barcamenarsi in lavori poco onorevoli, in una lotta per la sopravvivenza continua affrontata con la stessa grinta che li porta a cimentarsi in un'avventura impossibile. Non esistono parole migliori di quelle di Thorin: “Lealtà, onore, un cuore volenteroso, non posso chiedere di più”. A renderli irresistibili è la vena malinconica che li caratterizza e che ci regala un paio di sequenze davvero toccanti.
Tra me e questa pellicola è stato amore a prima vista, inutile negarlo e nascondersi dietro la patina del “critico”: hanno ragione molti a criticarne l'eccessiva lentezza di alcune scene, le lungaggini, il ritmo latitante della prima metà del film che funge da lungo prologo, la dilatazione dei tempi non in linea con la concretezza narrativa mostrata in precedenza da Jackson, ma sono cose che ai miei occhi passano in secondo piano quando al prezzo di un biglietto del cinema si guadagna la possibilità di tornare nel fantastico mondo della terra di mezzo per vivere un'avventura tutto sommato semplice e di buoni sentimenti, ricca di momenti epici e di personaggi genuini che si muovono in paesaggi incantevoli, supportati da una colonna sonora, del sempreverde Howard Shore, che, tra sonorità derivate dalla trilogia e felicissime varianti dell'imponente canzone nanica Misty Mountains Cold, al solito suggerisce e sottolinea le emozioni senza mai imporle.
Ogni tanto si sente il bisogno di piccole storie dalla morale semplice, dove i buoni sono buoni e i cattivi sono veramente cattivi, storie che ci insegnano che bisogna sempre combattere, sopratutto per le cose importanti, anche quando sono nostre di diritto, e che anche le persone più piccole possono compiere grandi imprese.

martedì 11 dicembre 2012

Il bianco e il nero #26: Il 1939, il miglior anno di Hollywood.

"The greatest year in the history of Hollywood!"

Ci sono tante domande bizzarre o talvolta legittime che gli appassionati di cinema si pongono: chi è il miglior attore di tutti i tempi? E l'attrice? Il più bel film? La miglior colonna sonora? Il miglior regista? La più bella storia raccontata? Il miglior horror o western o la miglior commedia? Qual'è il paese che ha fatto i migliori film? Ovviamente sono tutte domande che non prevedono una risposta univoca e oggettiva. Le riviste stilano classifiche, ogni anno o ogni tot. anni, gli esperti contribuiscono, i lettori votano ma è impossibile stabilire il migliore in assoluto in una data categoria. 
Anche io mi pongo spesso queste domande e come tutti ho le mie preferenze e proprio mentre pensavo ai tanti film che amo, ho notato una particolarità: molti sono del 1939. Analizzando meglio ho scoperto che è stato un anno sensazionale per il cinema americano (come sempre io parlo più che altro di questo lato del mondo) e onestamente credo che non ne esista un altro di eguale livello qualitativo e di eguale importanza storica. E allora con la consueta macchina del tempo, torniamo all'inizio del 1939 e scopriamo cosa si stava producendo in quei mesi e cosa stava per uscire al cinema, soffermandoci su quattro film in particolare e escludendo i due colossi più celebri, Via col vento (ne ho già parlato un pò in La scelta di Rossella) e Il Mago di Oz (ne parlerò separatamente).

Grande anno il 1939. Nasce Batman, esce Finnegans Wake di James Joyce, Enzo Ferrari fonda la propria casa automobilistica e si, se non fosse stato per quella guerra iniziata a settembre, sarebbe filato tutto liscio. 
Per Hollywood sarebbe sembrato un anno come gli altri, nel senso che siamo nel pieno periodo d'oro che continuerà grazie anche proprio a quel conflitto mondiale che non toccherà mai (o quasi, Pearl Harbour) suolo americano. Ma la verità è che sarebbe stato un anno ricco di film che avrebbero fatto la storia, vuoi per gli incassi surreali, vuoi perchè avrebbero rivoluzionati i loro generi e vuoi perchè sarebbero entrati a pieno titolo non solo nella storia del cinema ma di quella con la S maiuscola. 
E' incredibile come in un solo anno siano stati sfornati così tante pellicole magnifiche. Dal noir Hanno fatto di me un criminale, al sentimentale Donne che raccoglieva tutte le deluse dalla mancata scelta come Rossella O'Hara, dallo strappalacrime La voce nella tempesta (adattamento di Cime tempestose) di Wyler a I ruggenti anni venti con Bogart e Cagney, dallo spassosissimo Tre pazzi a zonzo dei fratelli Marx allo struggente Addio mr Chips, passando poi per Intermezzo che segnava il debutto sugli schermi americani di Ingrid Bergman, l'horror Il fantasma di mezzanotte, il bellissimo Beau Geste e Passione con una fenomenale Barbara Stanwyck. E tutti questi senza, come detto, citare due dei miei preferiti di sempre, Via col vento e Il Mago di Oz.

domenica 9 dicembre 2012

Filmbuster(d)s - Episodio #18

Holy Motors alza l'asticella: al di là dell'ambiguità di un'affermazione simile, il film di Leos Carax ci è piaciuto veramente tanto, al punto che in sede di registrazione c'è scappata più di una volta la tanto abusata (non da noi) parola "Capolavoro".
Per il resto, puntata ricca di spunti, dall'organizzazione pessima del Torino Film Festival ai film visti dai nostri due inviati nordici.

Nel 18° episodio di Filmbuster(d)s:


[00:03:00]Paranormal Activity 4
[00:12:40]Dracula 3D
[00:30:25]Le 5 leggende
[00:44:30]Torino Film Festival
[00:52:30]Lords of Salem
[01:04:00]Wrong
[01:17:15]Holy Motors
[01:38:15]Ruby Sparks


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mercoledì 5 dicembre 2012

Le 5 Leggende di Peter Ramsey


Nelle sale dal 29 novembre.
Pitch Black, l'uomo nero, è tornato dopo essere stato sconfitto al termine dei “secoli bui”, quando diffondeva ovunque terrore ed incubi. Ad abbatterlo furono Babbo Natale, Calmoniglio (il coniglio pasquale), la Fatina dei denti e Sandman, i 4 guardiani, che adesso hanno bisogno di un quinto elemento per fronteggiare la minaccia incombente. L'uomo della Luna, un'entità astratta, suggerisce allora a Babbo Natale di reclutare lo scapestrato Jack Frost, spirito del ghiaccio sconosciuto ai più che non riesce a farsi vedere dagli umani perché nessuno crede in lui.
Diretto dall'esordiente Peter Ramsey e doppiato da un cast di star hollywoodiane di prim'ordine come Chris Pine, Jude Law, Hugh Jackman e chi più ne ha più ne metta, Le 5 Leggende impone l'ennesima riflessione sul modo di fare cinema di Dreamworks e sul confronto con quello dell'eterna rivale sul campo dell'animazione in computer grafica, Pixar.
L'outsider, l'emarginato é sempre al centro dei film di entrambi gli studios, ma sono evidenti le differenze tra le declinazioni dello stesso topos. Prendiamo ad esempio proprio Jack Frost: pettinatura emo, pose plastiche, un visino adorabile, felpa con cappuccio e jeans alla moda e un fare spavaldo da vero duro; l'emarginazione dalla serie A dei guardiani, l'invisibilità agli occhi dei bambini, paiono quasi motivi di vanto piuttosto che di imbarazzo o ragione di goffaggini e disagi assortiti.
Si diceva su questi lidi, in riferimento a Biancaneve e Il cacciatore, hai gioco facile a fare innamorare Biancaneve del cacciatore se questo é interpretato dal sex symbol Chris Hemsworth, anticonformista dei miei stivali! Appunto, Jack Frost é un figo poco credibile nel ruolo di un outsider che finisce per stonare e per rompere l'empatia.
Più dell'evidente abisso nella caratterizzazione, sia visiva che contestuale, di personaggi e situazioni, più della vittoria delle idee e del colto citazionismo sulla facile comicità slapstick e sul cavalcare le mode (qualcuno c'ha visto, giustamente, parallelismi con The Avengers) la ragione principale per cui Pixar é rock e Dreamworks spesso e volentieri non lo é sta proprio nella rappresentazione e nella credibilità dell'emarginato.
Inutile rimarcare in questa sede le lapalissiane caratteristiche che rendono i personaggi Pixar veri outsider, piuttosto proviamo a spiegare cos'altro funziona e non ne Le 5 leggende.
Apprezzabile il fatto che siano state rispettate le origini dei guardiani nella tradizione popolare, specie il Babbo Natale russo al quale é riservato il momento migliore del film, una deliziosa metafora raccontata per mezzo di una matrioska.
Se dal punto di vista visivo la pellicola é un gioia per gli occhi è anche grazie al contributo tecnico di uno dei migliori direttori alla fotografia in circolazione, Roger Deakins, così come si sente in un paio di sequenze squisitamente dark l'influenza del produttore esecutivo Guillermo del Toro. 
Purtroppo però, l'idea alla base del plot, tutto sommato suggestiva, meritava una scrittura migliore, specie per quanto riguarda un background praticamente inesistente: non bastano 2 battute in croce su eventi passati a dare l'impressione che quel mondo esista anche al di fuori, nel tempo e nello spazio, della vicenda narrata nel film. Ciò si traduce in una generale mancanza di mordente e superficialità imperante, il che rende ancora più inspiegabile il didascalismo estremo e ridondante.
Alla fine della fiera , Le 5 leggende è un film lontano dalla mediocrità di altre pellicole della Dreamworks come Madagascar o La gang del bosco, ma ugualmente distante dai titoli migliori, Dragon Trainer e Shrek su tutti, in primis per il discorso in apertura, ed è un peccato viste le professionalità in ballo e il l'idea di partenza. Un film d'animazione trascurabile in un anno sottotono e decisamente poco interessante per il genere.  

lunedì 3 dicembre 2012

Il bianco e il nero #25: Tutto quello che avreste voluto sapere su Gli Uccelli ma non avete mai osato chiedere


"...And remember, the next scream you hear could be your own" una delle pubblicità per il film.

Dove eravamo rimasti? Ah si, Hitchcock aveva appena fatto il suo primo slasher-horror, Psycho. Filmettino fatto con due lire, autoprodotto, senza star, in bianco e nero e lontanissimo dai suoi tipici lavori. Vincendo quella scommessa, da regista osannato in tutto il mondo da critici ed esperti, divenne acclamato anche dal popolino, dagli appassionati del cinema commerciale. Dopo Psycho Hitch ottenne quello status di icona a cui noi siamo abituati, con mostre, saggi e tavole rotonde dedicate alla sua vasta filmografia. Ma dopo l'enorme successo del suo horror il pubblico voleva qualcos'altro, magari qualcosa di simile e cosa mai poteva inventarsi uno che aveva ormai fatto di tutto? Insomma nel 1961 Hitchcock si ritrovava al punto di partenza e con la classica domanda, "E adesso? Che storia nuova posso proporre? Che genere? Con cosa posso stupire ancora il pubblico?". Adesso Gli Uccelli.

*Se è andata bene la prima volta, perchè non riprovarci?
A dir la verità Hitchcock aveva bene in mente cosa volesse fare dopo Psycho, ovvero fare un altro horror, come gli chiedevano a gran voce le platee mondiali. In fin dei conti il successo era stato surreale ed imprevedibile, e ciò era in maggior parte causato da un pubblico nuovo, di una nuova "epoca", gli anni 60. Lui si era divertito a girare quel film, per gioco, per dimostrare di essere ancora il numero uno e soprattutto di essere più forte di un gruppo di dirigenti e produttori che credono di saperla lunga.
Allora sotto con un nuovo soggetto a tinte forti, molto più cruento e violento, macabro. Già ma non è facile trovarne uno decente, basti ricordare quanto fu difficile trovare Psycho di Robert Bloch. L'entourage di Hitchcock si mette in moto alla ricerca del nuovo formidabile testo da trasporre. Per fortuna questa volta la ricerca dura poco, anzi, bastava guardare dentro casa.
Tempo prima infatti, era stato acquistato un racconto breve di Daphne du Maurier -scrittrice inglese amica del regista e autrice del romanzo Rebecca - La prima moglie, con il quale Hitchcock trasse il suo primo lungometraggio in America- dal titolo Gli uccelli. Era stato comprato però per farne un episodio della fortunata serie tv Alfred Hitchcock presenta, proprio per la sua breve durata. Inoltre non era neanche la prima volta che veniva utilizzato. Ben due volte venne rappresentato alla radio e una volta sul piccolo schermo, per un'altra serie tv, Danger, sceneggiato da James P. Cavanagh, proprio colui che venne chiamato per scrivere lo script di Psycho ma che fallì miseramente.
Non era importante tutto ciò, a Hitch piaceva e voleva tirarne fuori il seguito spirituale di Psycho. Gli piaceva il fatto che i "killers" in questo particolarissimo racconto fossero delle bestiole che abbiamo attorno ogni momento del giorno, totalmente innocue. Inoltre da qualche tempo, sui giornali, si leggevano alcuni articoli di attacchi isolati di gabbiani a persone sulla costa occidentale degli Stati Uniti.

venerdì 30 novembre 2012

Holy Motors di Leos Carax

Proiettato al Torino Film Festival 
Ma anche a Locarno qualche mese fa, e ancora prima a Cannes da cui, secondo molti recensori, sarebbe uscito come vincitore morale. Apprezzatissimo dalla critica americana, e infatti subito acquistato per una futura distribuzione, ed eletto miglior film dell'anno dai Cahiers du Cinema.
Holy Motors è il ritorno dietro la macchina da presa ( di quelle enormi, a cui serve ancora un bel “motore, ciak, azione!”) di Leos Carax che dopo Pola X, il suo ultimo lungometraggio, si era preso una pausa di ben 13 anni, interrotta soltanto dalla regia di uno degli episodi di Tokyo, film a sei mani realizzato insieme a Michel Gondry e Bong Joon-ho.
E proprio Carax è il protagonista della primissima scena del film: un uomo si sveglia in una camera da letto, si avvicina ad una parete ed apre una porta nascosta (la quarta parete ? una selva oscura ?), con un dito che è anche una chiave. La porta si spalanca su una sala cinematografica, una folla siede immobile e con gli occhi chiusi davanti ad uno schermo su cui scorrono immagini ottenute con il cronofotografo di Etienne-Jules Marey, fotografia in movimento, la prima forma di cinema.
Dopodiché fa la sua apparizione Monsieur Oscar (Denis Levant, attore feticcio di Carax e suo alter ego sullo schermo, il vero nome di Carax è infatti Alex Oscar Dupont), all'apparenza un ricco e cinico banchiere. All'apparenza perché appena sale sulla sua limousine bianca (alzi la mano chi ha pensato a Cosmopolis) e inizia a chiacchierare con la sua autista Celine (Edith Scob, protagonista dello stupendo Occhi senza volto di George Franju, a cui è dedicato uno dei tanti omaggi cinematografici del film) capiamo che quello del banchiere è solo uno dei tanti ruoli che Oscar è chiamato ad interpretare. Inizia quindi un'altra giornata di lavoro, e Oscar dovrà attraversare Parigi per vestire di volta in volta i panni di una vecchia mendicante, un attore di scene in motion capture, un musicista, un assassino o Monsieur Merde, lo stesso personaggio che interpretava in Tokyo.
E' difficile parlare di Holy Motors, perché è un film proteiforme e sfuggente come il suo protagonista, un uomo, forse un attore, che trascorre le sue giornate correndo di ruolo in ruolo, interprete per pochi istanti di storie sempre diverse, incontri fugaci, brevissimi spaccati di vita. Impossibilitato o forse incapace di fermarsi, è se stesso solo nel ventre della limousine, a contatto con Celine che forse è l'unica figura reale della sua vita, l'unica oltre al misterioso personaggio interpretato da Michel Piccoli (a cui Carax deturpa quel volto così fanciullesco con una grossa cicatrice) protagonista di un bel dialogo, anche questo fugace, in cui traspare un po' dell'Oscar sotto le maschere, interprete che ha perso la passione per un cinema fatto di macchine da presa sempre più piccole, ma che continua “per la bellezza del gesto” anche se la bellezza sta tutta nell'occhio di chi guarda. Holy Motors è un film sulla finzione e sulla recitazione, che diventa un mezzo per vivere e rivivere diverse esistenze, finché questa finzione non comincia a confondersi con la realtà, o più semplicemente finché la realtà non scompare del tutto e restano solo situazioni artificiali e personaggi fittizi, copie di copie che si incontrano in ruoli diversi sulla stessa scena.
Holy Motors è un film sul cinema e sull'amore per il cinema, anche quando tenta di decostruirlo, una corsa rocambolesca che attraverso le tante interpretazioni di Oscar ci accompagna in una decina di generi cinematografici differenti: fantascientifico, sentimentale, noir, musical (la scena di canto con la bellissima Kilye Minogue, ma anche il piano sequenza con le fisarmoniche) e comico-grottesco (la lunga scena con Monsieur Merde, forse uno dei momenti più alti dell'interpretazione di Levant, di una fisicità impressionante). E' un omaggio a un certo cinema del passato, come nei riferimenti più o meno diretti al già citato George Franju o a Rene Clair, ma è anche incredibilmente moderno e fuori dagli schemi classici, il film perfetto per risvegliare dalla catatonia gli spettatori che abbiamo visto all'inizio. Risvegliare in tutti i sensi, perché Holy Motors, grazie alla struttura episodica e al suo incredibile protagonista è anche genuinamente divertente, un film che fa sorridere di gusto e appaga lo sguardo con soluzioni visive audacissime. E poi c'è Denis Levant, volto bestiale e mimica esplosiva, capace di passare in un solo film attraverso un ventaglio ampissimo di ruoli diversi, una maschera malinconica nascosta sotto tante maschere.
Per la seconda volta in una settimana mi ritrovo a dover usare l'aggettivo "unico", ma non posso proprio farne a meno, quello di Carax come quello di Rob Zombie è un film unico, l'opera di un artista che può permettersi di giocare liberamente con il mezzo cinematografico, di sconvolgerlo e strapazzarlo a piacimento, sconvolgendo e strapazzando anche lo spettatore, per scuoterlo dal torpore di un cinema tutto uguale.

giovedì 29 novembre 2012

Ruby Sparks di Jonathan Dayton e Valerie Faris

Visto al TFF ma già passato in altri festival precedenti. Nelle sale italiane dal 6 dicembre.
No adesso ditemi voi se la Fox Searchlight, studios che prolifera ogni anno svariati indie movies, ha mai sbagliato un film. Non dico che siano tutti capolavori, ma ogni volta sono prodotti di ottima fattura, con un solido e originale script dietro, con un casting eccezzionale e le musiche più adatte. Insomma ogni volta mettono al mondo l'indie perfetto, a regola d'arte. Sarà che io vado pazzo per questi filmettini non mainstream, ma ogni volta me ne innamoro, mi stregano sempre. Ruby Sparks non è da meno.
L'avevo già adocchiato a Locarno ma non so perchè, non mi fidai. Poi col tempo mi ha convinto sempre più e mi sono lasciato vincere. E che bella sorpresa! Una commedia alleniana con una spolverata di Sofia Coppola. Un gioco divertente e intelligente, metaletterario con un ritmo coinvolgente ed un gruppo di attori scelti a puntino.
Tutti noi abbiamo immaginato almeno una volta la donna/l'uomo dei sogni. Magari non abbiamo un'idea precisa di come debba essere (viso, colore dei capelli, colore degli occhi), è un'immagine sfocata che con il tempo si affina e si delinea meglio, in base anche alle nostre esperienze. Qualcuno di noi riesce addirittura a scriversi sopra, un racconto una immaginaria storia d'amore, una descrizione fin nei particolari di chi è, da dove viene, e soprattutto cosa le piace e cosa non le piace, della persona ideale. Scrivere diventa la creazione di un mondo dove quella persona esiste e noi viviamo con lei, e dove tutto è sotto il nostro controllo.
La stessa cosa è successa a Calvin Weir-Fields (W.C. Fields anyone?), diventato famoso in giovane età per aver scritto un romanzo capace di entrare direttamente nella storia della letteratura americana. Anni dopo lo troviamo con il classico blocco dello scrittore. Calvin è una persona schiva, con molte nevrosi e problemi nel relazionarsi con gli altri. Ogni notte sogna una ragazza, all'inizio vaga, poi più definita. Su consiglio del suo analista, scrive qualcosa su di lei. La cosa gli prende la mano, funziona alla grande e da una paginetta di prova, diventa un racconto di una quarantina di pagine, una vera e propria biografia. Intere giornate dedicate alla scrittura pur di "stare" con lei. Le da un nome, Ruby, un cognome, Sparks, una data di nascità, un luogo di nascità, un background, tutto. Poi un giorno, dal nulla, se la ritrova in casa. La sua mente ha partorito, realmente, una persona. Non è impazzito, non la vede solo lui, è li, in carne e ossa. Ed è proprio come la vuole lui, come l'ha descritta lui. Può nascere del vero amore da una relazione simile?
Essendo una creatura di Calvin, Ruby, può essere modificata in tutto e per tutto. Forme (quello che vorrebbe il fratello di Calvin), idee, orientamenti politici/religiosi/culinari, conoscenza delle lingue, personalità insomma. E qui si solleva un interessante discorso: quanto è moralmente, eticamente? Proprio il fratello, prima che Ruby uscisse dalla carta, ne parlava come una persona finta, costruita, non credibile perchè totlmente diversa dalle vere ragazze e critica la scarsa conoscenza dell'altro sesso di Calvin. Sua moglie, invece, è pazza, incomprensibile, ed è proprio questo a renderla reale. Questo non va bene a Calvin, che ricorre alla macchina da scrivere ogni volta che Ruby inizia a piacergli meno, vuoi perchè si sta stufando di lui, o perchè è troppo lagnosa o troppo appiccicaticcia. Ruby segue quindi gli ordini impartiti. Più sono approfonditi e più sarà sfaccettata lei.
Nonostante sia una sua opera, sfugge al suo controllo, è incapace di farsela piacere in maniera costante. Come una cosa, manipolabile, si stufa presto, la deve ritoccare forse solo perchè ne ha la possibilità. Il problema però non è Ruby, ma è chiaramente lui, così instabile, noioso e banale, rifiutato persino dalla sua stessa creazione. Molti argomenti interessanti e fonti di discussione per una "semplice" commedia romantica.

Zoe Kazan, non solo protagonista ma anche sceneggiatrice, dimostra di essere una degna erede del nonno e dei tanti talenti di famiglia. Scrive un'ingegnosa opera prima, arguta quanto solida e briosa, piena di deliziosi discorsi metaletterari e trovate intelligenti (come per esempio il fatto che Ruby non si materializzi tutto d'un tratto ma che ogni giorno compaia nella casa di Calvin un suo oggetto; mutandine, reggiseno, schiuma e rasoio per depilazione delle gambe).
Un'idea che potrebbe essere uscita dalla mente di Woody Allen, e di fatti, ci sono diverse citazioni, somiglianze con il classico protagonista dei suoi film. Calvin è un Allen di 25 anni, con occhiali a montatura classica, un pò goffo, capelli tendenti al rossiccio, una famigia che lo mette a disagio, continue nevrosi e persino un analista e una BMW decapottabile. Proprio come nel capolavoro di Allen, La rosa purpurea del Cairo, un personaggio esce dalla finzione e si materializza per il desiderio amoroso del fruitore. Non è originale, ma poco importa. Invece quando ci sono quegli inserti musicali, francesi (Une Fraction De Seconde, Ca Plane Pour Moi, Quand Tu Es La) sembra di essere piombati in un film di Sofia Coppola. E' un mix che funziona alla perfezione e accontenta i giovani come i nostalgici, dando parecchio spirito a una commedia che lavora molto di cervello. Una decisione azzeccata da parte dei registi Jonathan Dayton e Valerie Faris, marito e moglie, che riescono a bissare il successo dell'ottimo Little Miss Sunshine, e di trasporre la sceneggiatura con sensibilità e bravura.
Devo per forza poi parlare del cast. Ogni attore è stato scelto per un ruolo che solo lui/lei avrebbe potuto interpretare, incredibile. Dano (coinquilino per davvero di Zoe) nel ruolo del giovane scrittore è perfetto, Zoe Kazan in quello di Ruby idem, tanto caruccia e originale, e poi Max Casella nel ruolo del fratello (personaggio simile in Greenberg), annette Bening come mamma neo new age, Banderas che continua a fare lo spot del Mulino Bianco anche al cinema, e infine Steve Coogan nella parte dello scrittore approfittatore e marpione. Tutti bravissimi e perfettamente in parte e Elliot Gould (mitico) in quella dell'analista.
In definitiva, una grandissima sorpresa, una pellicola fantastica, intelligente e romantica senza essere melensa. Carico di brio e con un bel messaggio finale (meglio vivere che fantasticare) degno di entrare nella lista dei più bei film dell'anno. La Fox Searchlight colpisce ancora.
"Can we start over?". Oh si per favore!

mercoledì 28 novembre 2012

Chained di Jennifer Lynch

In visione al TFF #30 e non so in quali altri festival precedenti.
Ad aprire la sezione Rapporto Confidenziale (di cui fanno parte moltissime interessanti pellicole) di questo trentesimo Torino Film Festival, il 23 novembre, è stata chiamata Jennifer Lynch che ha presentato il suo nuovo film, Chained, in uscita in Italia, direttamente sul mercato home video dal 6 dicembre.
Dopo un pomeriggio passato al cinema, il piccolo Tim e la mamma prendono un taxi per tornare a casa. Purtroppo il conducente ha altri piani e dopo averli chiusi dentro li porta a casa sua dove uccide violentemente la donna. L'uomo è un killer seriale che rapisce le sue vittime e le porta nella sua dimora isolata dove le uccide e in seguito ci fa sesso. Accortosi del bambino decide di tenerlo e di usarlo come aiutante; dovrà pulire il sangue, mettere in ordine, non uscire mai di casa (quando ci prova viene incatenato, da cui il titolo) e preparargli la colazione, oltre che raccogliere tutti gli articoli di giornale che parlano delle sparizioni delle "sue" donne. Gli anni passano e Rabbit, così viene chiamato, levandogli persino il nome, diventa un teenager, istruito dal suo carceriere e sempre più succube. Un giorno l'uomo decide che è il suo turno, tocca a lui andare a caccia, diventare un uomo assaggiando una donna, ma Rabbit-Tim non riesce ad essere un tale mostro e cercherà in tutti modi di non nuocere a nessuno.
Buon sangue non mente, si usa dire. Solo nell'ambito del cinema vengono in mente tanti buoni esempi. Sofia Coppola e Jason Reitman sono i primi che mi vengono in mente e i più recenti. Jennifer Lynch è l'eccezione che conferma la regola. Giunta al suo quarto lungometraggio, fatica ancora a imporsi come una talentuosa regista e ancora meno autrice, incapace di seguire le orme del padre e come stile e come bravura.
Chained sfrutta malamente un'idea già vista ma comunque interessante. Tutta la premessa inziale finisce per perdersi in un ritmo assente e pesante che rende la visione un vero e proprio supplizio. Nessun stravolgimento in grado di dare forza a uno script piatto e nessuno scossone capace di svegliare lo spettatore dal torpore. E' un vero peccato perchè il film è pervaso da un'atmosfera malsana e claustrofobica (e qui si vede di chi è figlia, ma sembra più adottata) che funziona più che egregiamente ma che difficilmente colpisce il pubblico, perso ormai a circa un terzo di film e mai più recuperabile. Perciò le disturbanti sequenze di necrofilia dell'aguzzino o il macabro gioco di memory fatto con le carte d'identità delle vittime, non trova molti svegli e disgustati/deliziati.
Ci prova con un colpo di scena nel finale a metà tra il ridicolo, il patetico e il forzato, fatto solo per non chiudere in manera banale un racconto privo di mordente. Un classico stratagemma di questo genere di film che invece che salvare il salvabile, danno l'idea che la sceneggiatura sia stata scritta con un'idea inziale e un finale geniale -secondo l'autore- ma senza capire come riempire la parte centrale e come farne un lungometraggio.
Notevolissima la prova, anch'essa malata, dei due protagonisti. Un Vincent D'Onofrio spaventoso, con quella sua voce appena comprensibile e un fisico e un'incedere dondolantemente ipnotico. Ed il giovane Eamon Farren, convincente nella parte del fragile ragazzo.
Chained rimane quindi una pellicola "che avrebbe potuto" ma che non è. Difficile capire come e dove andrebbe migliorata (forse farla durare meno) ma facile dire che ce ne si fa a meno di storie di questo genere.

martedì 27 novembre 2012

V/H/S di Adam Wingard, David Bruckner, Ti West, Glenn McQuaid, Joe Swanberg, Radio Silence

Proiettato in anteprima al Torino Film Festival 
A quanto pare il 2011 è l'anno del grande ritorno agli horror a episodi, infatti V/H/S (di cui abbiamo già parlato nella puntata speciale di Halloween) va ad aggiungersi ad un gruppetto di film che purtroppo hanno raggiunto solo un ristretto numero di sale, magari di qualche festival, come in questo caso, o che più spesso sono stati distribuiti direttamente sul mercato home-video, parlo di pellicole come Deadtime Stories, Little Deaths e Theatre Bizarre, o dell'imminente ABCs of death, una raccolta di ben 26 cortometraggi diretti da 26 registi diversi (tra cui gli stessi di V/H/S di cui tra l'altro è già previsto un seguito), nell'attesa potete già dare un'occhiata a T is for Toilet, il simpatico cortometraggio di Lee Hardcastle selezionato tramite un contest: http://www.youtube.com/watch?v=UCmMebE0pIg
Ma veniamo a V/H/S, ovviamente si parla di videocassette, e visto che viviamo nell'epoca dell'horror POV (Point of View) e del mockumentary, il film è girato tutto attraverso delle telecamere a mano più o meno moderne.

Partiamo dalla cornice, che costituisce anche un episodio a se:

-Tape 56 di Adam Wingard (You're next, 2011)

I protagonisti sono un gruppetto di bulli che si divertono a filmare le loro prodezze per poi rivendere i nastri al mercato nero. Qualche macchina vandalizzata, finestre rotte, gonne alzate, pestaggi... ma niente che valga un bel gruzzolo, così accettano di irrompere in un'abitazione per rubare un misterioso nastro. In realtà ne trovano cinque (i cinque episodi), e ogni volta che uno di loro guarda un nastro sparisce nel nulla.
Su questo episodio c'è poco da dire, è più che altro un pretesto per raccontarci le cinque storie e per giustificare la trovata della visuale soggettiva, a parte questo è piuttosto noiosetto e ogni volta non si vede l'ora che venga inserito il nastro successivo.

-Amateur Night di David Bruckner (The Signal, 2007)

Tre ragazzi allupati, una camera d'hotel e un paio d'occhiali con una telecamera nascosta. L'obiettivo è far ubriacare qualche donzella indifesa, portarla in camera e filmare tutto il fattaccio, purtroppo i tre malintenzionati rimorchieranno la ragazza sbagliata...
Uno degli episodi più divertenti, si presta particolarmente al formato breve e ricorda moltissimo i classici racconti horror televisivi, dove il viscidone di turno da predatore si trasforma in preda e viene in qualche modo punito per le sue malefatte. Una computer grafica scadente ben mascherata dall'oscurità e dalle inquadrature mosse. Buona anche se un po' forzata la trovata degli occhiali, che permette di mostrare tutto senza dover giustificare la presenza della telecamera.
Da ricordare anche per la protagonista femminile interpretata da Hannah Fierman, una bellezza veramente straniante.

-Second Honeymoon di Ti West (The House of the Devil, Innkeepers)

Non sto neanche più a ripetere quanto adoro Ti West, ci tenevo a vedere questa antologia proprio per lui e invece il suo è stato l'episodio più deludente del mazzo.
Una giovane coppietta alle prese con la seconda luna di miele nell'ovest dell'America, tra Canyon, deserti e antichi villaggi del Far West. Una notte una ragazza bussa alla loro porta chiedendo un passaggio, loro rifiutano e la notte stessa qualcuno entra nella loro stanza e li film nel sonno con la loro stessa videocamera...
Non c'è nulla che non vada in questo episodio, è semplicemente fiacco e poco interessante. Forse il limite della visuale soggettiva non permette a West di muoversi come vorrebbe, ma è più che altro la storia a lasciare interdetti, quel colpo di scena poi...
Di positivo c'è tutta la parte iniziale, con il discorso tra i due sposini ancora turbati dalla visita notturna della ragazza misteriosa, lì la tensione si fa abbastanza palpabile e i due protagonisti riescono a tirare fuori un'interpretazione quasi spontanea.

-Tuesday the 17th di Glenn McQuaid (I sell the dead, 2008)

Il titolo dice tutto, ci troviamo di fronte ad uno strano omaggio a Venerdì 13 e a tutta quella serie di slasher ambientati in campeggi immersi nella boscaglia.
4 ragazzi decidono di campeggiare per qualche giorno vicino ad un lago. Come da copione uno di loro racconta che il posto è stato teatro di una strage, e ovviamente compare un pazzo in maschera per confermare la storia. Ma...
Banale nella storia ma non nella messa in scena, la prima buona idea è il colpo di scena che ovviamente non rivelo, la seconda è il fatto che ancora una volta la presenza della telecamera trova una giustificazione nuova e sensata, la terza è l'assassino, che per qualche inspiegabile ragione non può essere immortalato dalla telecamera e che quindi diventa una presenza fuggevole e ancora più misteriosa. Simpatico e divertente.

-The sick thing that happened to Emily when she was younger di Joe Swanberg (che interpretava il marito in Second Honeymoon)

Un modo originale di sfruttare il POV, la discussione via Skype tra due innamorati, idea che tra l'altro è stata sfruttata anche in Paranaormal Activity 4, nelle sale proprio in questi giorni.
James ed Emily sono fidanzati, e visto che lui è sempre in viaggio per lavoro comunicano attraverso Skype. La ragazza un giorno si sveglia con una strana escrescenza sul braccio che si gratta fino a provocare un'ulcera, la notte stessa sente degli strani rumori nell'appartamento e contatta James per mostrargli delle misteriose presenze...
Ecco a parte la buona idea di usare la webcam del computer come telecamera non c'è molto altro, sembra proprio di trovarsi di fronte a un Paranormal Activity breve, con un'atmosfera quasi disturbante e un paio di inevitabili salti sulla sedia. Peccato per il tono sconclusionato e involontariamente grottesco dei dialoghi, sorretti da interpretazioni ingessatissime. Ci sono un paio di topless che spiazzano.

-10/31/98 dei Radio Silence ovvero Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillet, Justin Martinez e Chad Villella, che interpretano anche i protagonisti.

E' la notte di Halloween e tre ragazzi in maschera raggiungono la casa di alcuni amici per partecipare ad una festa. La casa però è deserta e molto più grande del previsto, i quattro decidono di esplorarla finché non raggiungono il solaio dove si sta svolgendo uno strano rituale...
Si conclude con l'episodio più spassoso e adrenalinico, quello del mucchio che riesce a valorizzare di più il formato breve, praticamente un Paranormal Activity senza tempi morti, parte tranquillo e poi si trasforma in un rapidissimo tunnel dell'orrore pieno di mani che sbucano dalle pareti, lampadine che scoppiano e porte che sbattono, veloce, confusionario e divertentissimo.

Insomma V/H/S come molti altri film a episodi è fatto di alti e bassi, e in generale non raggiunge mai vette qualitative entusiasmanti. Però svolge dignitosamente il suo lavoro, mette insieme sei storielle semplici semplici e ce le racconta brevemente, senza darci il tempo di farci troppe domande, come è giusto che succeda in un film antologico. E poi, cosa più importante, recepisce un fenomeno sfruttatissimo come il POV e riesce a riciclarlo in modo relativamente nuovo e intelligente, in pillole, tentando di dare varietà all'uso della telecamera a mano e giustificando in modo originale la sua presenza. Delle storie un tantino più ispirate e una maggiore omogeneità nei ritmi e nella qualità dei singoli episodi lo avrebbero reso un esperimento molto più interessante. Non resta che sperare nel prossimo capitolo...

lunedì 26 novembre 2012

Wrong di Quentin Dupieux + Bobby Yeah

Visto al TFF, ma già proiettato in diversi festival nel corso dell'anno.
No, non mi lamenterò più del caotico TFF e tirerò avanti. Dolph si sveglia una mattina (alle 7.60) e scopre che il suo cane, Paul, è scomparso. Dopo una chiacchierata con il vicino, in procinto di partire per sempre, e una telefonata a una pizzeria, in cerca di una voce consolatrice, sconfortato va al lavoro. Tornato a casa trova davanti alla porta un mazzo di fiori e un bigliettino, "Se vuoi rivedere il tuo cane, chiama questo numero". Quindi dietro alla sparizione del suo amato Paul c'è una banda ben organizzata che rapisce gli animali domestici. Intanto il suo giardiniere gli comunica che dovrà fare alcuni lavoretti nel suo giardino. Fin qui tutto normale no? Bene, adesso scenderò nei particolari. 
Il suo vicino di casa, nega con tutte le sue forze di fare jogging, nonostante lo faccia tutte le mattine da anni, e non riesce a parlare a Dolph se non a circa 50 cm di distanza. Dolph è stato licenziato dal lavoro da circa un mese ma vi si reca ogni giorno, tuttavia all'orario che vuole. Il suo luogo di lavoro è un normalissimo ufficio, se non fosse che piove, anzi, diluvia, dentro tutto il tempo, e nessuno ci bada. La ragazza delle pizze che ha chiamato, si innamora di lui, vuole fare sesso con lui, ma finisce a letto con il giardiniere, che si finge Dolph. La ragazza molla il marito per il finto Dolph e il giorno dopo scopre di essere incinta. La banda ruba-animali è comandata da un certo Mr. Chang, un guru che scrive libri su libri sui cani e la telepatia. Un detective viene assunto per trovare i rapitori del cane e ci riuscirà tramite un macchinario che legge la memoria degli escrementi canini. La palma che Dolph aveva nel giardino si è trasformata in un piccolo abete. Etc.. No, non sono pazzo, nè sto inventando, è tutto nel film.
Mr Oizo AKA Quentin Dupieux è tornato! Dopo aver stranito tutti con il suo Rubber, e allo stesso tempo ottenuto grande fama, il produttore discografico e musicista elettro-beat francese torna alla regia, per il suo quarto lungometraggio (bisogna recuperare i suoi primi due). Chi si era perdutamente innamorato di Rubber, come me, non tema, non è stato un colpo di genio, o un ictus, ma è proprio il modus operandi di questo folle parigino. Wrong, ovvero sbagliato, continua su quella linea surreale che contraddistingueva il precedente film.
E' difficile parlare delle sue opere senza citare ogni singola folle sequenza, perchè è un cinema prettamente fatto di scene, gag, situazioni, più che profondi contenuti o messaggi. Persino la trama, seppur sempre ben scritta e delineata, non ha una importanza centrale.
Il pregio maggiore, e riscontrabile in tutta (spero) la breve (qui invece spero cresca) carriera di Dupieux è quello di costruire un mondo totalmente assurdo, caotico, incredibile, ma allo stesso, paradossalmente, realistico, basato su regole, su una struttura contenitiva, che non solo limita e delimita il nonsense infinito ma lo rende più che accettabile. All'inizio, entrare in un suo film è un esperienza straniante, ma man mano che il tempo passa, si accetta tutto ma si deve andare oltre il semplice patto di finzione, di sospensione dell'incredulità, si firma un vero e proprio manuale di regole, assurde e sensate allo stesso tempo, per cui quando scatta fuori l'ennesima gag senza senso o il personaggio stralunato, non pensiamo che sia wrong, sbagliato, ma che si trovi nel suo contesto più ideale. Sarebbe folle dire che non ha senso o che è fuori posto.
Quindi Dupieux fa un film, appunto, sbagliato, ma così sbagliato che ha fatto tutto il giro ed è diventato giusto, o ggiusto come dicono i ggiovani.
Certo, c'è chi si lamenterà, anche giustamente, lo capisco, che è facile fare film del genere, mettere insieme una serie di gag à la Monty Pythons e dargli un tocco visionario, e che è un pò paraculo. Vero, ma un conto è fare un film del genere e un conto è fare un buon film del genere. Wrong è una commedia dell'assurdo, esilarante dal primo all'ultimo minuto, fatta si di infinite scenette che potrebbero essere a se stanti, ma soprattuto con una struttura (stessa cosa che aveva Rubber) e un inizio e una fine classici. Ovvero, dietro al divertissement più smaccato e sciocco, c'è comunque una storia con una trama. E' per questo che Oizo-Dupieux si distacca dai tanti squinternati che mettono insieme semplici carrellate di idee(ine).
Per concludere, Wrong farà impazzire sia i fans di Rubber che i neofiti. In sala c'era una risata continua contagiosa. per tutti i 90 i minuti. Forse il grande talento umoristico di Dupieux sta nel fatto di dire tante barzellette, con ottime premesse; prepararti alla fragorosa risata, ma poi non concludere la storia, ma tirarne subito fuori un altra. Si è sempre in trazione e in attesa del gran finale, che non arriva, lasciando spiazzati. Tuttavia sta nelle premesse il nocciolo della battuta.
Viva Dupieux e viva i folli come lui.

Prima del film è stato proiettato anche un corto di 20 minuti.
Bobby yeah di Robert Morgan.
Qui il trailer. E' un corto in stop motion totalmente folle che mixa David Lynch con Polanski, il Burton dei primi tempi e gli incubi notturni causati dalla peperonata della nonna. Inutile raccontarne la trama (c'è un simpatico sgorbietto simile a un diavolo che si ritrova con dei mostri mutaforme dotati di un pulsante capace di cambiare il mondo in cui vivono), va visto. Interessante anche il suo autore, Robert Morgan, un tipino, come si può capire dalla sua breve autobiografia. Stralunato e disgustoso, in senso buono, ha stranamente convinto tutta la sala.

domenica 25 novembre 2012

The Lords of Salem di Rob Zombie

Proiettato al Torino Film Festival.

Dei disagi e delle incazzature che bisogna superare per assistere a queste proiezioni se n'è già parlato, ma ci tenevo a raccontarvi brevemente questa brutta esperienza anche dal mio punto di vista, così, tanto per far sbollire un po' di rabbia, e poi in questi casi ripetere non fa mai male. Potrebbe andare per le lunghe, quindi se non siete interessati passate direttamente alla recensione più in basso.
Per evitare code e ritardi avevo deciso di approfittare della possibilità di acquistare un biglietto giornaliero online, visto che per il festival di Locarno si era rivelata una soluzione comodissima. Nel regolamento del Festival c'è scritto chiaramente che biglietti e abbonamenti acquistati online vanno ritirati alle casse dei multisala coinvolti nell'iniziativa, bene, arrivati a Torino scopro che queste casse non sono attive, quindi ci rechiamo all'unica biglietteria visibile (non segnalata) e ci imbattiamo in due code chilometriche. Io mi infilo in quella con l'indicazione “Abbonamenti e Pass” e dopo averla superata tutta scopro che il pass giornaliero va ritirato nell'altra cassa, quella dei biglietti singoli. Quindi il pass giornaliero è perfettamente inutile, devo spararmi un'altra coda interminabile solo per ritirarlo, e devo comunque ritirare i singoli biglietti per i film che intendo vedere. La coda ovviamente è completamente immobile, ci sono un sacco di problemi, le cassiere sono lentissime e molti clienti ne approfittano per comprare in blocco un sacco di biglietti.

sabato 24 novembre 2012

Torino Film Festival: la disorganizzazione è di casa

"Vergognatevi" "E' una truffa" "Mai vista una cosa del genere". Questi sono solo alcuni -i meno scurrili- dei molti inferociti commenti di alcuni spettatori del Torino Film Festival, giunto alla 30esima edizione quest'anno. Festival iniziato ieri e in tempo zero, già sprofondato in un mare di critiche provocate da una disorganizzazione esemplare. Ma andrò con ordine.
Questa mattina, in compagnia del collega Intrinseco, sono partita alla volta del capoluogo piemontese per la mia priva volta al TFF. Lui aveva già comprato un abbonamento online di tipo diurno, valevole per gli spettacoli tra le 9 e le 19, io lo avrei comprato alla prima biglietteria. Il nostro obiettivo era di vederci il tanto atteso Lords of Salem di Rob Zombie e Wrong di Quentin Dupieux. Avendo già partecipato a qualche festival, partivamo preparati (anche grazie a una lettura maniacale della guida) ma non saremmo mai stati in grado di prevedere quello che è successo.
Siamo arrivati alle 9.20 con il primo film, Zombie, alle 11 al Cinema Reposi, praticamente attaccato alla stazione di Porta Nuova. Ora cito il regolamento-guida "L’acquisto dei biglietti e il ritiro di quelli preacquistati avrà luogo presso le casse di tutti i cinema. Apertura casse: Cinema Massimo dal 23 novembre alle ore 13.00, Cinema Reposi e Cinema Lux dal 24 novembre. Le casse saranno aperte da 30 minuti prima dell’inizio della programmazione a 30 minuti dopo l’inizio dell’ultimo spettacolo. Presso le casse dei cinema potranno essere acquistati biglietti e abbonamenti sia a tariffa intera che a tariffa ridotta. Per questi ultimi è necessario presentare documenti (carta d’identità) o tessere convenzionate".
Memori di ciò abbiamo aspettato le dieci circa quando abbiamo trovato per caso un baracchino ufficiale del TFF dove si era già assembrata una discreta coda. Nessuna problema, noi andiamo al cinema e in poco tempo dovremmo sbrigarcela. Prima sopresa. Le case del Reposi non sono aperte, nemmeno uno, anzi una si, dove una signorina aveva l'unico compito di distribuire gli accrediti per i film BLU -una serie di film proiettati al pomeriggio, senza nessun'altra distinzione di nota dagli altri- ma impossibilitata da fare biglietti o abbonamenti. Ecco quindi che il regolamento non è stato rispettato. perchè le casse erano chiuse? Girava voce che è stato fatto perchè erano cinema piccoli -parliamo di multisala, altroche- e si voleva evitare code eccessivamente lunghe o ingorghi. Quindi cosa hanno fatto? Hanno messo una sola cassa per tutta la città, geniale.

Il bianco e il nero #24: L'impassibile Buster Keaton

*(causa impegni, lunghi viaggi e poco tempo, questa puntata andrà "in onda" in edizione breve).

"Il silenzio è degli dei: solo le scimmie ciaccolano".

Da discreto appassionato di film muti e fervente spettatore di commedie, uno dei miei attori (e registi) preferiti è il funambolico Buster Keaton. Con i suoi film riesce sempre a farmi spuntare un sorrisone a 32 denti e a spazzare via in un colpo tutte le delusioni di una giornata storta. La magia terapeutica del cinema! 
Aimè, Keaton è famoso si, ma vuoi perchè appartiene a quei "brutti filmacci senza audio" e vuoi perchè, normalmente viene eclissato dalla mole del collega Charlie Chaplin (anche lui silenzioso ma famoso anche e soprattutto per le pellicole sonore), non ha tutta quella gloria che meriterebbe, ed inoltre raramente il pubblico guarda interamente i suoi film. 
Con questo però non voglio sminuire Chaplin, un altro dei miei preferiti, nè voglio fare un'analisi delle diverse comicità dei due (forse più profonda e celebrale quella di Chaplin, mentre più fisica e malinconica quella di Keaton), voglio solo scrivere due righe su uno dei miei eroi e darvi dei link giusti.

Con una faccia simile si potrebbe pensare tutto di Keaton fuorchè sia un attore da commedia che ha fatto ridere milioni di persone e diverse generazioni. Eppure, senza mai fare la benchè minima espressione, è riuscito a firmare le più belle e divertenti pellicole della storia del cinema. Capolavori come Io e il ciclone, Io e la vacca, oppure Come vinsi la guerra, Calma, signori miei! ed ancora Il cameraman e Il navigatore sono in grado ancora oggi di surclassare commedie infarcite di grandi dialoghi e situazioni spassosissime. Grandi come Woody Allen, Orson Welles, e poi Maurizio Nichetti e Carmelo Bene hanno sempre sottolineato, e omaggiato talvolta, l'importanza di Keaton nel loro modo di fare cinema e di esprimersi. Molti invece hanno voluto lavorare con lui, come Wilder che l'ha inserito nel suo ritratto nostalgico del cinema del passato in Viale del tramonto, o Chaplin con cui ha fatto coppia nel celeberrimo Luci della ribaltà, o ancora Samuel Beckett nell'unico corto da lui scritto ed infine persino gli italianissimi Franco e Ciccio in Due marines e un generale.

Paranormal Activity 4 di Henry Joost e Ariel Schulman

Nelle sale dal 22 novembre.
E siamo a 4. La saga mockumentary horror più famosa del mondo aggiunge un altro, ennesimo, capitolo. Ma cosa si saranno inventati stavolta gli sceMeggiatori? Protagonista è una famiglia con due figli, Alex, una quindicenne molto bellina, e Wyatt di cinque o sei anni. Ogni giorno, da un pò di tempo, capita a casa loro Robbie, il bambino della casa di fronte. La giovane mamma è sempre via e sentendosi solo cerca in Wyatt un compagno di giochi. Una notte accade un incidente alla madre di Robbie e il bambino si trasferisce momentaneamente a casa dei vicini . Robbie è un bambino molto strano, non tanto perchè dice di avere un amico immaginario, un classico dell'infanzia, ma perchè rimane sveglio tutta notte e ha degli atteggiamenti molto bizzarri, talvolta pericolosi, con Wyatt. Proprio mentre è nella sua sua nuova casa, accadono le cose più strane. Lampadari che si sfracellano al suolo, forti colpi che provengono dal soffitto, apparizioni notturne. Cosa si cela dietro? Cosa è davvero Robbie? Si, ma soprattutto, come si ricollega ai prequels e alla storia principale? Eh...non spoilero nulla ma lo fa e in una maniera imbarazzante e tiratissima per i capelli. 
 Questa volta quindi si gioca la carta dei bambini terribili e degli amici immaginari che tanto immaginari non sono, buttando li anche una citazione palese a Shining. Non solo il collegamento agli altri capitoli è appiccicato come fosse un obbligo, ma sembra proprio che ci sia qualcosa che non va. E' altamente illogico perchè dal nulla, anche se è molto prevedibile, salta fuori un personaggio a noi già conosciuto. 
Ai tempi del primo capitolo fui uno dei pochi a prenderne le difese da attacchi e critiche abbastanza ridicoli incentrati tutti sul "eh ma non si vede/succede nulla". Poi quando uscì il secondo, tenni duro e continuai a difenderlo ma senza la stessa convinzione dell'anno prima. Quando venne il turno del terzo gettai la spugna. Non perchè fossi stanco, ma perchè ormai avevano ragione i detrattori.
Il giocattolo si è rotto (oltre a altri due oggetti sferici nella zona intima maschile). Questa lunga, lunghissima, se vogliamo contare anche i capitoli apocrifi come il Tokyo Nights e la trilogia fatta dal'Asylum, quindi più scopiazzatura che altro, non funziona più per diversi motivi. Prima di tutto perchè la presunta autenticità va a farsi benedire quando inizi a mettere un numerino a fianco del titolo. Non che sia un problema, nessuno credeva fosse vero manco il primo, e neanche il mitico The Blair Witch Project (insomma...però erano altri tempi), ma di certo ci crederanno molto di meno al capitolo numero quindici. Secondo perchè lo stato di tensione in cui ti mette il film, quelle lunghe sequenze in cui ti aspetti capiti di tutto, vuoi perchè sono di notte o vuoi perchè vuoi dare un senso alla visione e al tempo che stai sprecando, alla lunga si è usurato. Passino 90 minuti in cui non sai in cosa ti sei cacciato e quindi l'ignoto può fare effetto, ma dopo quattro interi lungometraggi, hai preso le misure e non ti accontenti più di aspettare e aspettare. Hai bisogno di qualcosa, diamine, qualsiasi cosa. Ed infine perchè il meccanismo è sempre quello; un ora e mezzo di nulla e l'unica volta in cui ti distrai quel mezzo secondo per scaccolarti, bam, ti perdi l'unico momento "de paura". I vari Paranormal si basano solamente su questo, quello spaventone istantaneo che proprio quando ti stai abbioccando ti fa risvegliare. Solo che appunto, sistematicamente te lo perdi. Ma non c'è problema, te lo fanno rivedere almeno due o tre volte, così, anche per chi fosse stato sempre attento e si fosse domandato "ma me lo sono immaginato o non è successo un ciuffolo?" avrà la risposta alla sua domanda.
Ad essere sincero, Paranormal Activity 4 non è un brutto film, è semplicemente al livello di tutti gli altri, anzi leggermente migliore del terzo. Non si inventanto più nulla e non hanno quasi più una storia da raccontare (forse non l'hanno mai avuta fin dall'inizio) ma non si fanno problemi, tanto in un modo o nell'altro ce la infilano la storia di Katie and co. . Ogni tanto assestano un bel colpo alla coronarie, ma parliamo di due scene a fronte di un intero film fatto di vuoto totale. Questa volta sono riusciti a usare una tecnologia moderna per aggiornare e modificare le solite tecniche di ripresa e di ripresa dei fenomeni paranormali (usano il Kinect che funziona sparando sensori cattura movimenti per tutta la stanza e se lo si riprende di notte, con visione infrarossi, si vede la stanza tutta disseminata di puntini. "Wow! Che figata ho scoperto! Ci faccio su un film!" avranno detto i due, ben due, registi) ma si tratta dell'unica innovazione, originale, ma l'unica.
In definitiva, se non siete sazi della saga, potete anche vedervelo, tanto non è così pessimo e qualche saltone sulla sedia lo provoca, ma se proprio non ne potete più meglio guardare V/H/S, e soprattutto il segmento The Sick Thing That Happened to Emily When She Was Younger, da cui forse hanno rubacchiato un pò? Può darsi, non importa. A questo punto dobbiamo aspettarci un 5? Non è da escludere, tanto potrebbe andare avanti all'infinito, soli un incasso minore, causa Twilight, potrebbe scoraggiare i produttori.

venerdì 23 novembre 2012

Dracula 3D di Dario Argento

Nelle sale dal 22 ottobre
Visto in versione 2D
 
Prima alcune doverose premesse. Cominciamo dal regista, Dario Argento, il maestro del brivido, con lui ho mosso i miei primi passi (letteralmente, perché ho cominciato molto piccolo proprio con Profondo Rosso) nel mondo del cinema horror. Poi sono cresciuto, anagraficamente e come spettatore, ma la passione per sangue, frattaglie e guanti di pelle nera è rimasta, e così col tempo ho conosciuto e approfondito registi come Lucio Fulci, Riccardo Freda, Antonio Margheriti e Mario Bava, che ad oggi è ancora uno dei miei preferiti. Ma mentre io crescevo, il cinema di Argento rimaneva ben fermo dove stava, idee e stilemi degli anni '70 riciclati senza vergogna, sceneggiature approssimative, interpretazioni che gridano vendetta (e con interpretazioni intendo per il 90% Asia Argento), ridoppiaggi che gridano vendetta ancora più forte... Insomma un porcaio, si passa da disastri pretenziosi come La Sindrome di Stendhal a veri e propri abomini come Non ho sonno, forse una delle migliori commedie italiane degli ultimi 20 anni. Dopo un film del genere chiunque avrebbe cambiato nome e sarebbe sparito dalla circolazione, e invece no, Argento continua imperterrito la sua discesa nel baratro, mentre intorno a lui una folla ancora incredibilmente ricca di ammiratori accoglie a braccia aperte ogni nuovo abominio. E quindi largo a schifezze come Il Cartaio, La Terza Madre e Giallo, un film rimasto in ballo per mesi perché nessuno aveva il coraggio di distribuire l'ennesima fatica del Maestro, mentre contemporaneamente Adrien Brody era impegnato a fare causa alla produzione perché non era ancora stato pagato. Ma almeno si ride, e pure piuttosto forte, però ogni volta, mentre cerco disperatamente di riprendere fiato, ripenso ai suoi primissimi film e mi chiedo: cos'è andato storto ? Sono stati dei casi fortunati (non proprio tutti eh) ? Argento è stato colto da una precocissima senilità ? Oppure quel poco di talento che c'era si è adagiato su una formula vincente senza sapersi rinnovare ? Non mi è dato saperlo e nemmeno mi interessa più.
L'altra premessa era la questione Dracula, ma visto che mi sono dilungato abbastanza mi collego direttamente alla trama e colgo due piccioni con una fava. Nel 2012, quando i vampiri ci sono stati riproposti in tutte le salse e le variazioni possibili, ha ancora senso uscirsene con l'ennesimo film sul papà di tutti i succhia sangue ? 7 film della Universal tra il 1931 e il 1948, 9 film della Hammer dal 1958 al 1974, senza contare tutta una serie di apocrifi, parodie e altri casi isolati, come il celeberrimo adattamento di Francis Ford Coppola.
E cosa tirano fuori Argento e gli altri tre sceneggiatori ? Niente, ambientano tutta la storia a Passburg (siamo in Germania ? Pare di si) e trasformano Jonathan Harker in un bibliotecario. Dracula lo assume per sistemare la biblioteca di famiglia e intanto terrorizza gli abitanti del luogo, finché ovviamente non compare Mina e succede quello che deve succedere.
Mi direte voi “A chi interessa la trama di un horror di Dario Argento ?”, e avete ragione, a nessuno sano di mente, quindi vado dritto al punto: Dracula 3D è una delusione in tutti i sensi, lo è stato per me, che mi aspettavo un trash involontario esilarante, e lo sarà per molti altri che andranno al cinema sperando in una festa di frattaglie e violenza, perché Dracula 3D è semplicemente noioso. La dose di effettacci splatter per esempio non va oltre il livello a cui ci hanno abituato gli horror indipendenti italiani degli ultimi anni, e il ritmo non aiuta per niente, al punto che tra una risata e l'altra è una vera impresa trattenere gli sbadigli, o il sonno, come nel caso degli altri 4 spettatori nella mia sala.
Allora passiamo alle cose importanti, le risate. Purtroppo sono una rarità, soprattutto perché le scene veramente significative sono quelle che abbiamo già visto decine di volte nei trailer e nelle clip che circolano da mesi su internet (ricorderete tutti il troiler, quella cosa grezzissima senza post-produzione che mostrava persino il finale del film). Quello che balza subito all'occhio è una computer grafica imbarazzante e tremendamente invasiva, ci sono mosche, calabroni, ragni, ragnatele, gufi, lupi e intere stazioni ferroviarie ricreate nel peggiore dei modi, si tratta di fotogrammi davanti a cui è davvero impossibile rimanere seri. E poi c'è una delle apparizioni più attese, la mantide gigante, che però colpisce soprattutto per il suo essere completamente fuori luogo.
Subito dopo vengono regia e fotografia. Con l'eccezione di qualche scena particolarmente dinamica le inquadrature sono praticamente tutte identiche: piano americano di due personaggi ripresi di profilo mentre parlano, e quanto parlano... il solito concentrato di didascalismo e teatralità.
La fotografia condisce tutto alla perfezione, è così brutta che le scenografie reali sembrano degli sfondi digitali, e la luce è usata in modo così strano che gli elementi della scena sembrano appiccicati sgraziatamente su questi sfondi terribili. Probabilmente la cosa dipende dal fatto che il film è studiato per essere proiettato in 3D, ma il risultato è talmente antiestetico che si sposa alla perfezione con tutto il resto
Nel mucchio ci metto anche la solita Asia Argento, che insiste a recitare con la bocca piena di minestra, e un paio di topless talmente goffi e gratuiti che sembrano prelevati di peso da un film porno di quart'ordine, come le musiche di Simonetti.
Tirando le somme, Dracula è un disastro, ma non il disastro che mi sarei aspettato, se non fosse per questo incomprensibile abuso di CG potrebbe essere considerato addirittura un passo avanti rispetto agli ultimi due lavori di Argento. E' pessimo ma non per le solite ragioni. Ecco, si potrebbe persino dire che lo stile di Argento ha subito una svolta, le nuove tecnologie gli hanno offerto nuovi entusiasmanti modi di fare pessimo cinema.
E potrei fermarmi qui, perché non c'è molto altro da dire e perché è sempre piuttosto difficile parlare in maniera costruttiva di pellicole del genere, però ci tenevo a riportare alla memoria un'intervista che risale a quando Dracula 3D era ancora in fase di produzione. Ricordo che in quell'occasione uno dei giornalisti quasi sghignazzando chiese ad Argento cosa ne pensava del Dracula di Francis Ford Coppola e in cosa sarebbe stata diversa la sua versione, e lui si limitò a rispondere con un sorrisetto complice e un'aria di superiorità. Ecco, quel momento mi fece particolarmente schifo.

PS: Il fatto che il sottoscritto e Il Monco non siano stati accettati come comparse in questo film non ha influenzato il giudizio complessivo, ma il dolore ci lacera l'anima.

Presto chiudetela!

mercoledì 21 novembre 2012

Filmbuster(d)s - Episodio #17

Attenti che il 17 porta sfiga. Io (alexdiro) avevo proposto di saltarlo a piè pari e passare direttamente al 18 per poi farvi impazzire su internet alla ricerca della puntata perduta, ma sono stato gambizzato per questo. Comunque sia, Ben Affleck, quello che ci vuole per battere Maccio Capatonda, ha fatto 3 su 3 regalandoci l'ennesimo buon film; per il resto si parla di pellicole mal distribuite nelle sale italiane, quindi preparate il vostro fegato a sonore incazzature.

Nel 17° episodio di Filmbuster(d)s:

[00:04:00]La collina dei papaveri
[00:24:00]Red Lights
[00:37:30]Argo
[01:02:40]Ballata dell'odio e dell'amore



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