Ok, fin qui semplice. Riconoscere un film noir sembra un gioco da ragazzi. Abbiamo capito lo stile, le riprese, gli elementi principali e i suoi protagonisti. Quindi quando manca qualcosa delle cose appena elencate non è un noir, o meglio, magari ne può mancare uno o due ma non di più, giusto? Sbagliato.
E' ben più complicato di quanto sembra. Per esempio, una sorta di documentario, può essere un noir, un classico film di evasione (letteralmente) lo potrete trovare catalogato sotto noir, idem per certi drammi storici o quei film che hanno tutto per essere dei gialli ma che invece non lo sono. Va bene, l'ho detto, non è semplice -e forse neanche importante, anche io non amo molto catalogare e etichettare- ma nelle prossime puntate cercherò di rendere la nebbia meno fitta analizzando i sottogeneri e dedicando alcuni numeri interi a un film particolare per volta, quelli che mai avreste giurato che sono noir.
Oggi tocca al docu-noir, a metà tra un film e un mockumentario.
Una delle caratteristiche del noir è proprio quella di essere terra terra, realistico, di parlare di cose concrete e reali e quindi di parlare del quotidiano, della società in cui viviamo ogni giorno. Certo il lato oscuro, quello che non vediamo, quello che si nasconde nel sottosuolo, che esce la notte e che si nasconde nei vicoli bui.
Molto spesso dentro queste pellicole c'è una amara quanto sincera analisi sociologica e antropologica, degna di un documentario. Non è un caso che queste pellicole fossero viste malamente dai benpensanti, quelli dei telefoni bianchi, quelli con la paura dei rossi, quelli che guai criticare la pura e florida America.
E siccome questi erano una buona fetta di pubblico, anche le major (e ne abbiam già parlato) preferivano evitare di fare questi film "scomodi" e dall'incasso incerto e potenzialmente nullo.
Intanto in Europa una certa guerra stava finendo e il cinema tornava a respirare oltre che a far uscire i film realizzati sotto i bombardamenti e in gran segreto. Capolavori come Paisà (1946), Ladri di biciclette (1948), Germania anno zero (1948) e Roma città aperta (1945) raccontavano di un Italia distrutta dal conflitto mondiale e della difficile ripresa e ritorno alla vita normale. Girati con pochi soldi, in esterni -ovviamente impensabile girare negli studios- con attori non professionisti e con tecniche nuovissime, improvvisate, furono i primi grandi mattoncini de il neorealismo.
Quando arrivarono in America furono una piacevolissima scoperta. Si possono fare film, bellissimi, con due lire. Non siamo più schiavi di pubblico e produttori. Dopo l'espressionismo tedesco e il realismo poetico francese, il neonato genere americano viene così influenzato da una nuova corrente, il neorealismo italiano.
I noir cominciarono a distaccarsi dai romanzi, hard boiled e non, e iniziarono ad attingere da fatti di cronaca tratti da giornali, riviste e archivi aperti al pubblico. Le scene girate in studio vennero montate con quelle girate in esterni, nelle grandi città americane. In Chiamate Nord 777, ispirato a un articolo del Chicago Time, si narra la storia dle reporter P.J. McNeal (James Stewart), che tenta di difendere una donna delle pulizie il cui figlio è stato ingiustamente arrestato. Ne La città nuda (1948) il narratore riassume il tono documentaristico nella nota frase "Vi sono otto milioni di storie nella città, ed eccone una".